L’apparizione nel 1876 del poemetto di Stéphane Mallarmé (1842-1898) L’après-midi d’un faune [Il pomeriggio di un fauno] sancisce la nascita del Simbolismo. Pochi anni prima, Arthur Rimbaud (1854-1891) aveva espresso, nella Lettera del veggente del 1871, le basi della nuova poetica. Anche il lavoro di Paul Verlaine (1844-1896) stava andando nella stessa direzione, già a partire da una raccolta del 1866, Poèmes saturniens [Poemi saturnini], ispirata a Baudelaire. La nuova tendenza appare già una realtà affermata nell’antologia del 1884 Les poètes maudits [I poeti maledetti], curata da Verlaine, in cui appaiono, fra gli altri, testi di Mallarmé, di Rimbaud e dello stesso Verlaine. Di due anni dopo, e dunque del 1886, è il Manifesto del Simbolismo, pubblicato sul «Figaro» da Jean Moréas. Nasce così una poetica che dominerà largamente il periodo a cavallo fra i due secoli e che influenzerà in larga misura la poesia del Novecento. La nuova tendenza si rifà largamente alla poesia di Baudelaire e di altri autori francesi come Gerard de Nerval (1808-1855) e Isidore Ducasse, noto con lo pseudonimo di conte di Lautréamont (1846-1870). Il poeta cerca un rapporto con il mondo puramente sensuale, non più mediato dalla ragione. Dalla rinuncia alla ragione deriva quella a un discorso fondato sulla logica comune e dunque a una piena comunicazione semantica. Da un lato, è attraverso uno sregolamento di tutti i sensi — secondo quanto afferma Rimbaud — che il poeta diventa un veggente impossessandosi di una verità oscura e infinita, ignota ai più; dall’altro questa verità, proprio perché oscura e infinita, è anche inesprimibile e può essere resa solo attraverso le allusioni, le suggestioni musicali, la magia della parola. Fra la parola e il mondo, fra la poesia e la verità si stabilisce così una perfetta coincidenza. È stato scritto giustamente, a proposito di Rimbaud e di Mallarmé: «La poesia basata sulla magia del linguaggio e sulla suggestione conferisce alla parola il potere di essere il primo motore dell’atto poetico. Per una tale poesia, reale non è il mondo, bensì unicamente la parola» (Hugo Friedrich). La poesia non significa più il mondo, ma è il mondo. Dunque, non vuole più avere un contenuto semantico, rappresentativo, referenziale, ma tende a sciogliersi in musica, come voleva Verlaine: il quale infatti sostiene che la poesia è anzitutto musica, cioè arte asemantica. D’altra parte, già Rimbaud, nel sonetto Le vocali, aveva teorizzato una poesia come arte eminentemente fonosimbolica, in cui cioè il suono assume un fondamentale valore evocativo e simbolico. Ovviamente una poesia siffatta, nella misura in cui prescinde dalla comunicazione, tende programmaticamente all’oscurità. Nello stesso tempo il linguaggio poetico, rinunciando in ampia misura alla referenzialità, si specializza: diventa il linguaggio specifico e separato della poesia, fondato unicamente su se stesso e cioè sulla autoriflessività. I rapporti fra la percezione sensoriale e la natura inclinano a soluzioni mistiche o paniche, a una confusione vitale. Tendono perciò a essere esposti nella forma della metafora e in particolare della sinestesia (figura retorica molto amata e praticata dai simbolisti), e prediligono i procedimenti analogici, che accostano aspetti diversi e in genere irrelati e che quindi bene si adattano a rendere le corrispondenze fra i sensi umani e gli aspetti della natura e, nella natura, fra i profumi, i colori e i suoni (secondo il programma enunciato in Corrispondenze di Baudelaire). Prevale, allora, il senso di una partecipazione mistica al tutto. D’altra parte, il ricorso al metodo delle corrispondenze e delle analogie si spiega anche in un altro modo: poiché il particolare vale solo come simbolo dell’universale e questo si pone come un mistero insondabile, come un al di là del fenomeno, tale universale è significabile solo in modo indiretto, per approssimazione, attraverso accostamenti successivi, metafore e, appunto, analogie. Inoltre i procedimenti analogici sono ampiamente praticati anche per un’altra ragione: nella nuova poesia tende a prevalere l’andamento del sogno, della fantasia, dell’inconscio, che procede sempre attraverso una logica diversa da quella della ragione: una logica “simmetrica” o, appunto, analogica. La poesia simbolista sembra obbedire solo alle libere associazioni dell’io interiore. La centralità della parola come magia, allusione, musica e l’assorbimento in essa del mondo, sino al suo completo annullamento come oggettività, comportano un estremo soggettivismo e individualismo e una valorizzazione non meno estrema del poeta e dell’atto poetico, che viene ad assumere un significato superiore e addirittura religioso. Inoltre implicano una concezione della poesia come assolutezza: essa si presenta come “ab-soluta”, sciolta da ogni legame con il mondo delle cose e con quello della pratica e della morale comune. Dal carattere del tutto soggettivo della poesia deriveranno fondamentali innovazioni formali, come il verso libero già praticato da Mallarmé e poi teorizzato da Paul Adam e Gustav Kahn e, in Italia, da Gian Pietro Lucini. Dalla concezione “assoluta” della poesia nasceranno le teorie dell’autonomia estetica e della poesia “pura”, separata cioè da ogni preoccupazione civile, morale, comunicativa. Il poeta diventa un «veggente», appare dotato di capacità oracolari, orfiche, profetiche e in contatto diretto con l’assoluto. Di qui la tendenza della nuova poesia a porsi come religione; e di qui anche la tendenza all’estetismo (che, in fondo, è una sorta di religione della bellezza), che è una delle caratteristiche di fondo della civiltà del Decadentismo. In Italia, nell’esperienza di d’Annunzio il simbolismo si risolve integralmente in panismo e in estetismo e non viene mai approfondito teoricamente. La poetica del Simbolismo trova più piena espressione in Pascoli nella prosa Il fanciullino (1897), ma in modi molto moderati e concilianti rispetto alla tradizione letteraria e allo stesso classicismo. Più radicale e più legata all’esempio francese è la poetica di Gian Pietro Lucini, particolarmente in un testo del 1908, Ragion poetica e programma del verso libero. Lucini vi sostiene i seguenti punti: 1) il simbolismo è il gusto per un’espressione che privilegia il «suggerimento», l’«analogia», la «suggestione»; 2) si avvale di «segrete concordanze soggettive, il cui valore completo e complesso sfugge all’analisi critica, ma è sentito»; 3) è la manifestazione «libera, egoarchica, anarchica» della vita interiore dell’io; 4) proprio perché aspira a una libertà assoluta, non può che distruggere la tradizionale prosodia e praticare il verso libero. Come si vede, coerentemente con le proprie posizioni ideologiche e politiche, Lucini interpreta il Simbolismo in modo assai originale, in chiave anarchica e libertaria, sviluppandone gli aspetti di ribellione avanguardistica impliciti soprattutto in Rimbaud.
La poesia simbolista è l’espressione letteraria più importante della sensibilità e della cultura del Decadentismo: essa trova il suo precursore in Charles Baudelaire (1821-1867), che verso la metà del secolo XIX, con I fiori del male, segna una svolta radicale nel linguaggio poetico. Al suo magistero si rifanno i francesi Paul Verlaine (1844-1896), Arthur Rimbaud (1854-1891), Stéphane Mallarmé (1842-1898), mentre in Italia Giovanni Pascoli conferisce ai temi e allo stile del Simbolismo dei connotati molto personali. Al Simbolismo va inoltre riconosciuta un’influenza fondamentale su tutta la poesia europea del Novecento. Secondo i poeti simbolisti, la vera realtà non è quella che appare ai nostri occhi: essa non ubbidisce a regole scientifiche e oggettive e non può quindi essere indagata con il solo uso della ragione. Baudelaire afferma che nel mondo naturale l’uomo si muove attraverso “foreste di simboli” che deve cercare di decifrare seguendo l’unica forma di conoscenza possibile: quella intuitiva propria della poesia, che consente di penetrare a fondo nell’essenza più autentica delle cose. Da questa concezione derivano i caratteri fondamentali della poesia simbolista.
La ricerca di una poesia pura, espressione diretta delle emozioni, che non tollera le mediazioni razionali ed è di natura completamente soggettiva. La poesia si identifica spesso con l’essenza più pura della bellezza.
L’uso dell’analogia e del simbolo, che consentono di istituire rapporti tra immagini e contenuti che, secondo la logica razionale, appaiono molto lontani tra loro.
L’uso di figure retoriche adatte a esprimere tali rapporti analogici: oltre alla metafora e alla similitudine, l’ossimoro, l’onomatopea e, soprattutto, la sinestesia: essa consente di mettere in relazione immagini e parole che rimandano a sfere sensoriali diverse, rivelando le profondità nascoste dietro le apparenze della realtà oggettiva.
La ricerca lessicale che tende a privilegiare le parole maggiormente dotate di forza evocativa, sia sul piano del significato, sia su quello del significante: da ciò consegue, da una parte, la difficoltà e una certa voluta ambiguità dei testi simbolisti, dall’altra la loro raffinata musicalità.