La storia della realtà culturale australiana si dice che abbia avuto la sua origine nell’urlo di rabbia o di terrore con cui nell’aprile del 1770 gli aborigeni accolsero gli esploratori del capitano Cook. Certamente l’Australia anglosassone si è andata costituendo sulle basi di un contrasto fondante che ha visto fronteggiarsi libertà e prigionia, oppresso e oppressore anche all’interno dello stesso gruppo sociale.
Scelta come colonia penale extraterritoriale a partire dal 1787, i prigionieri inglesi e irlandesi ivi deportati hanno finito per costituire il nucleo omogeneo più significativo. Primo autore di rilievo della nuova colonia fu Charles Harpen (1813-1868) , un poeta che ha saputo cogliere gli aspetti più sublimi e pittoreschi dell’aspro universo che lo circondava. Un misto di realismo e di fascino diventerà una costante dell’intero panorama letterario australiano a partire dalla ballata, una delle sue produzioni più autentiche, vera espressione dell’avventurosa realtà della prateria, del bush. Scrittrice di un certo rilievo tecnicamente portatrice della grande lezione narrativa di Jane Austen è nota soprattutto per la forza delle istanze riformatrici di cui si fece carico fu Catherine Helen Spence (1825-1910). Per l’apprezzabile qualità del suo dettato poetico si segnala Henry Kendall (1839-1882), ma è con gli scritti di Marcus Clarke (1846-1881) che la letteratura australiana afferma una propria specificità nazionale.
Assorbita la grande ondata immigratoria che era seguita alla fine del convict system (1853) e che aveva accompagnato il progressivo affermarsi di un’economia prospera e stabile, l’orgogliosa e fiera rivendicazione della propria indipendenza culturale troverà negli ultimi decenni dell’Ottocento un veicolo privilegiato di espressione con la pubblicazione di The Bulletin, una rivista di primaria importanza per il forte influsso che andrà a esercitare.
Prototipi di australianità saranno i romanzi di Henry Lawson (1867-1922), i racconti di Barbara Baynton (1857-1929) nonchè due opere di grande notorietà quale lo scanzonato e ottimista Such is Life, scritto nel 1896 e pubblicato nel 1903, di Joseph Furphy (1843-1912) e il celeberrimo My Brilliant Career (1901) di Stella Maria Sarah Miles Franklin (1879-1954). Eroe insolito e un po’ controcorrente rispetto alla tradizione australiana che era andata progressivamente chiudendosi in un rigido provincialismo è Richard Mahony, protagonista della saga familiare creata da Ethel Florence Lindesay Robertson (1870-1946), più nota come Henry Handel Richardson. Un ulteriore e decisivo contributo alla sprovincializzazione venne a determinarsi grazie all’opera di alcuni poeti quali Christopher Brennan (1870-1932) e Hugh McCrae (1856-1958) che hanno privilegiato il clima europeo cosmopolita. Altri poeti del primo Novecento – ricordiamo Robert David Fitzgerald (1902) e soprattutto Kenneth Slessor (1901-1971) – pur rimanendo sostanzialmente estranei allo sperimentalismo modernista hanno tuttavia operato nella stessa direzione.
Significativa scrittrice di quegli anni è stata Christina Stead (1902-1983) che per altro visse l’intera sua esperienza creativa come espatriata. Attenta osservatrice della vita quotidiana, la Stead è autrice di romanzi ispirati a un sincero impegno sociale, ma pubblicati in patria solo a partire dagli anni Sessanta perchè giudicati estranei alla tradizione nazionale. Segnaliamo inoltre Katharine Susannah Richard (1883-1969) per la stretta relazione che intercorse tra la sua militanza politica nel partito comunista australiano e l’ispirazione creativa che presiede alla sua narrativa. Un interesse sempre più attento per gli aborigeni spesso segnato da considerazioni di vario genere su un passato distrutto e non più recuperabile segna anche l’evoluzione del percorso poetico.
Negli anni Trenta in Adelaide nasce il movimento Jindyworobak il cui nome derivato da un vocabolo indigeno suggerisce una visione del mondo basata sulla mistica unione di bianchi e aborigeni in nome della sacralità della terra da entrambi condivisa. Ispiratore di tale movimento è stato Rex Ingamells (1913-1955) i cui assunti vennero in seguito seriamente censurati da A. D. Hope (1907), un poeta di salda derivazione classica e di robusta intensità simbolico-vitalista. Accanto a Hope, accomunati da un comune disprezzo per la poesia modernista si affiancarono due altri poeti di prestigio, James McAuley (1917-1976) e Harold Stewart (1913). A questa stessa generazione appartengono inoltre autori, quali il vitalistico Douglas Stewart (1913-1985) e il misurato David Campbell (1915-1979), che si caratterizzano per la qualità essenzialmente pastorale dei loro versi.
A differenza di quanto successo per la prima, la seconda guerra mondiale segnò profondamente il vissuto collettivo australiano e l’intensa trasformazione economica che ne seguì stimolò radicali riflessioni da parte degli intellettuali sui valori fondanti la propria realtà.
Interpreti di questa crisi sono stati Judith Wright (1915) e Patrick White (1912-1990). Segnata da acuti sensi di colpa nei confronti delle azioni distruttive operate dai coloni anglosassoni, ma nel contempo fervente sostenitrice della necessità di preservare una relazione di profonda armonia con la magica bellezza della natura australiana e con la cultura indigena, la Wright nella sua poesia, trasformando lo spazio fisico in spazio mentale, ripropone dal profondo di una condizione esistenziale istanze universali. Patrick White, romanziere di fama mondiale di cui ricordiamo in particolare Voss (1957) e A Fringe of Leaves (1976), due opere in cui la prospettiva storica viene rivisitata in chiave sostanzialmente modernista, assumendo un punto di vista tragico e nel contempo ironico ha saputo catturare la complessità del rapporto tra wilderness e civiltà che tanto segna le dinamiche tipiche del suo vissuto sociale e si è rivelato capace di penetrare con straordinaria intensità il mistero dello spazio australiano il cui vuoto impressionante in realtà definisce gli individui che lo abitano. I suoi personaggi mai troppo complessi, ma spesso significativi proprio per la loro mediocrità, vengono a costruirsi tramite una prosa disciplinata e rigorosa eppure ricca di subitanee e vigorose immagini.
Tra i più significativi scrittori contemporanei consapevoli esponenti di una realtà postcoloniale e multiculturale ricordiamo Thomas Keneally (1935), autore di opere prevalentemente storiche; Randolph Stow (1935), la cui ispirazione intensamente metafisica si traduce in una scrittura insolitamente oggettiva; Peter Mathers (1931), radicale negli assunti e nel contempo surreale e frammentario nella struttura narrativa; David Ireland (1927), dal realismo di natura magico-fantastica; infine gli sperimentali David Malouf (1935), autore di Ritorno a Babilonia (1993), e Peter Carey (1943), vincitore del Booker Prize nel 1988 con Oscar e Lucinda e nel 2001 con La ballata di Ned Kelly.
Tra gli intellettuali aborigeni si segnalano la poetessa Kath Walker (1920), oggi Oodgeroo Noonuccal; il poeta e drammaturgo Jack Davis (1917); l’ideologo militante Kevin Gilbert (1933); il romanziere Colin Johnson (1938), oggi Mudrooroo Narogin, e tra gli autori dell’ultima generazione Archie Weller (1958), attento interprete della vita del sottoproletariato urbano, e la scrittrice Sally Morgan.