Definita spesso, in passato, «letteratura popolare» (dando all’aggettivo un riduttivo significato: ,per il popolo»), e, in anni più recenti, «paraletteratura» (il prefisso «para» vorrebbe segnalare che si tratta di un testo con caratteri vicini a quelli letterari ma non pienamente definibili come tali) o «letteratura di massa», la letteratura di consumo raccoglie quei romanzi che raggiungono una vasta diffusione ma sono privi delle qualità codificate dalle più consolidate convenzioni estetiche.
Storicamente la letteratura di consumo è legata allo sviluppo dell’editoria moderna e alla crescita di un pubblico non educato secondo i modelli tradizionali della formazione letteraria, costituito da lettori più attratti dalle vicende narrate che dalle suggestioni estetiche. Se nel corso del Settecento (e per quanto riguarda l’Italia ancora per lungo tempo durante il XIX secolo) l’intero genere «romanzo» era relegato ai confini del territorio letterario, proprio per la diffusione della sua lettura presso un pubblico «non colto», con l’accettazione della scrittura romanzesca da parte dei depositari del gusto i criteri della marginalizzazione sono cambiati. In un primo tempo la condanna ha investito alcuni sotto-generi (per es., in Italia, il romanzo poliziesco – «il giallo» – o quello sentimentale – «il rosa»), in seguito la distinzione è stata operata in base alla scrittura. Pur non potendo stabilire regole di giudizio oggettivamente fissate, è ora definito «di consumo» un romanzo che, fondato soprattutto sull’intreccio, ha una scrittura priva di originalità e personalità, e non tradisce per nulla le passive attese di quelli che saranno i suoi prevedibili lettori.
Focalizzando l’attenzione sulla scrittura e non sul genere, è stato possibile rivalutare autori e opere a suo tempo condannati (è il caso di D. Hammett e di R. Chandler, scrittori di romanzi polizieschi nell’America degli anni Trenta, e di molti scrittori di fantascienza). Si va per altro ormai diffondendo l’idea che anche i testi ai margini del sistema letterario siano da considerare come appartenenti alla letteratura, tanto più che la loro struttura ripropone quella di molte opere giudicate «alte» per la loro scrittura. Il consolidamento di una dimensione industriale dell’editoria ha per altro favorito, nel secondo dopoguerra, la crescita e la distribuzione della letteratura di consumo, sia sotto forma di narrativa seriale, ripetitiva nei suoi moduli fissi e indifferente rei confronti dell’autore (è il caso delle collane di romanzi sentimentali diffuse in Italia, a partire dagli anni Ottanta, con la sigla «Harmony», ma già di successo da tre decenni, in altre parti del mondo, con la sigla «Harlequin»), sia, viceversa, sotto forma di romanzi riconoscibili per il nome dello scrittore, vera e propria «garanzia» per dò che in essi si può trovare.
Se nella prima metà del Novecento, e anche oltre, in Italia hanno avuto grande successo alcune scrittrici di romanzi sentimentali da Carolina Invernizio, all’inizio del secolo, a Liala tra gli anni Trenta e i Settanta), negli ultimi due decenni del secolo si è imposta la narrativa anglo-americana e comunque in lingua inglese, realizzata da professionisti della scrittura quali H. Robbins, W. Smith, F. Forsyte, R. Ludlum, K. Follett, S. King, M. Crichton e altri ancora, i cui romanzi occupano a lungo i primi posti nelle classifiche dei best seller dei libri, cioè, che raggiungono le vendite più alte.