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La seconda guerra mondiale è forse l’evento storico che, a livello di immaginario collettivo, caratterizza più nettamente il Novecento. Se, infatti, la prima guerra mondiale è stata un conflitto rivoluzionario, capace di cambiare gli equilibri dell’Europa e di spazzare via gli ultimi resti dei regimi ottocenteschi spalancando la strada alla modernità, la seconda guerra mondiale è riuscita ad essere ancora più sconvolgente e a modificare radicalmente la storia del mondo intero, coinvolgendo in prima persona praticamente tutti i popoli e tutti gli stati del pianeta. Per avere una misura della portata sconvolgente di questo conflitto, basta pensare che gli stati belligeranti nella seconda guerra mondiale furono 72; la prima prima guerra mondiale, che pure era stata il conflitto di portata più ampia mai affrontato dall’umanità fino a quel momento, ne aveva coinvolti “solo” 33. La guerra iniziò il 1° settembre 1939, con l’invasione della Polonia da parte delle truppe tedesche di Hitler, e si concluse definitivamente l’8 maggio 1945 (in Europa) e il 2 settembre 1945 (in Asia), in seguito al lancio delle bombe atomiche statunitensi sulle isole giapponesi di Hiroshima e Nagasaki.
I sei anni di guerra furono incredibilmente cruenti e vennero segnati, oltre che da un’impressionante susseguirsi di scontri armati condotti via terra, via aria e via mare, anche dalla tragedia della shoah e da altre terribili operazioni di pulizia etnica condotte in tutta Europa con mezzi “scientifici” e con una ferocia che non avevano pari nella storia dell’umanità fino a quel momento. Il conflitto costò la vita a oltre 50 milioni di persone, circostanza che lo fa essere, a tutt’oggi, lo scontro più sanguinoso della storia dell’umanità. Oltre la metà di queste vittime erano civili inermi, e alcune nazioni, specie dell’Europa dell’Est, furono colpite con particolare crudeltà: lo stato che, a fine conflitto, contò il numero più alto di perdite fu l’URSS (20 milioni di persone, più di 13 delle quali civili), ma la nazione colpita più duramente fu la Polonia, che vide perdere 6 milioni di suoi cittadini, corrispondenti a oltre il 20% della popolazione complessiva.
La seconda guerra mondiale fu un vero e proprio “conflitto totale”, che coinvolse a pieno titolo non solo gli eserciti ma tutta la popolazione civile delle nazioni coinvolte, e che presentò caratteristiche del tutto nuove rispetto alle guerre del passato. Fu, infatti, una guerra di movimento, combattuta non più su campi di battaglia ben definiti o in trincea ma su fronti che cambiavano continuamente, di pari passo con l’avanzata degli eserciti. Era, questo, uno dei punti centrali della tattica bellica della Blitzkrieg, la guerra-lampo, che i tedeschi applicarono fin dai primi giorni di conflitto. I nazisti infatti, memori della lunga e logorante guerra di trincea affrontata dai loro eserciti nel 1914-1918, volevano evitare ad ogni costo di restare impantanati in una guerra di posizione: la loro tattica prevedeva di avanzare il più velocemente possibile in territorio nemico, conquistando uno stato dopo l’altro senza lasciare ai popoli invasi il tempo di organizzare difese e approfittando, allo stesso tempo, delle materie prime e della manodopera dei territori che venivano via via conquistati. Proprio per questo la seconda guerra mondiale fu anche una guerra tecnologica, in cui si rivelò fondamentale disporre di un armamento che fosse tecnicamente superiore a quello degli avversari: la Blitzkrieg non sarebbe stata infatti nemmeno concepibile se i nazisti non avessero avuto a loro disposizione mezzi tecnici all’avanguardia (in particolare i carri armati, vero e proprio fiore all’occhiello della Wehrmacht) capaci di travolgere gli eserciti avversari, più lenti e meno avanzati tecnologicamente, così come fu lo sgancio della bomba atomica, ordigno dal potenziale sconosciuto al mondo fino a quel momento, a sancire la definitiva vittoria delle forze statunitensi e la fine della guerra.
Al di là dell’aspetto strettamente militare, poi, la seconda guerra mondiale è caratterizzata anche dal suo essere stata uno scontro tra ideologie, e non solo tra eserciti. Per la prima volta, infatti, le parti in causa non combattevano semplicemente per estendere i propri confini a scapito degli interessi dei paesi confinanti, ma si proponevano esplicitamente di annientare fisicamente i loro avversari. Lo scopo non era solo conseguire una vittoria “sul campo”, ma far prevalere la propria visione socio-politica del mondo,assoggettando intere popolazioni e riducendole, in caso di necessità, in stato di completa schiavitù (era, questo, il destino che i nazisti intendevano riservare ai popoli slavi: secondo i piani di Hitler, l’Europa dell’Est avrebbe dovuto essere rapidamente conquistata e poi trasformata in un enorme bacino di materie prime e forza lavoro a bassissimo costo a disposizione del Reich).
Per tutte queste ragioni, la seconda guerra mondiale fu straordinariamente cruenta e segnò uno spartiacque decisivo nella storia dell’umanità. Quando il conflitto si concluse, il mondo era cambiato per sempre: moltissimi popoli erano stati testimoni di atrocità fino a quel momento inaudite, le armi atomiche minacciavano la pace mondiale in modi che l’uomo non aveva mai nemmeno potuto immaginare, e gli stati dell’Europa si trovarono ad essere distrutti e pesantemente indebitati. Da questa situazione si sviluppò poi la Guerra Fredda, il conflitto tra USA e URSS che caratterizzò la storia mondiale nei decenni successivi.
Cause del conflitto
Le seconda guerra mondiale non fu un evento inaspettato, nella storia del Novecento. I trattati di pace firmati a Versailles alla fine della Grande Guerra, infatti, non avevano davvero risolto i conflitti che avevano contrapposto tra loro le nazioni europee, e l’equilibrio su cui si reggeva l’Europa era quindi fragile e incerto.
Gli accordi di Versailles erano stati soddisfacenti soprattutto per la Francia, mentre erano stati straordinariamente punitivi per la Germania, che era stata condannata a smantellare del tutto il suo esercito e a pagare cifre enormi alle nazioni vincitrici, come rimborso per i danni di guerra. Questa situazione, unita alla crisi economica e produttiva, contribuì a far nascere nei tedeschi un deciso desiderio di rivalsa e fomentò la nascita di sentimenti razzisti contro particolari categorie di cittadini (primi tra tutti, gli ebrei), accusati di essere la causa dei problemi della nazione. Il malcontento generale favorì l’ascesa del partito nazionalsocialista di Adolf Hitler, che nel 1936 si alleò con il governo fascista italiano di Benito Mussolini nel cosiddetto Asse Roma-Berlino. A partire dagli anni Trenta, la Germania nazista cominciò sistematicamente a violare alcune delle clausole dei trattati di Versailles (prima tra tutte quella che impediva l’istituzione della leva obbligatoria, che venne invece reintrodotta nel 1935 senza che nessuno intervenisse per impedirlo). Tutte le nazioni europee erano preoccupate dall’aggressività tedesca, ma anche loro erano state duramente colpite dalla guerra e la loro debolezza interna le rese incapaci di collaborare per arrestare l’ascesa di Hitler e Mussolini. Ogni nazione preferì dedicarsi ai suoi problemi e a tentare di ricostruire il proprio apparato produttivo e la propria economia, circostanza che favorì l’aggressività tedesca e lasciò a Hitler mano libera.
Inoltre, la nazione che più di tutte si sentiva minacciata dall’ascesa al potere di Hitler era l’URSS, che cercò più volte di stringere accordi con Francia e Gran Bretagna per stabilire un patto difensivo comune. Gli stati europei, però, erano restii a trattare con un paese comunista, ritenuto inaffidabile e comunque pericoloso, e preferirono scendere a patti con Hitler e accettare che la Germania violasse sistematicamente gli accordi di Versailles piuttosto che trattare con Stalin e l’Unione Sovietica. Dato che Francia e Gran Bretagna sembravano disinteressate a collaborare con l’URSS, Stalin stesso decise che la scelta migliore per la Russia fosse arrivare a un accordo con Hitler, e cominciò a trattare con la Germania, arrivando a firmare il patto Molotov-Ribbentrop. Alla fine degli anni Trenta, dunque, la situazione in Europa era ormai diventata critica: la Germania nazista voleva ad ogni costo che scoppiasse una guerra, funzionale al piano di “conquista dello spazio vitale” che Hitler riteneva spettasse di diritto alla Germania, mentre tutte le altre nazioni cercavano di impedire che il conflitto esplodesse, ma lo facevano agendo separatamente, con scarsissime possibilità di successo. L’iniziativa, a questo punto, passò definitivamente nelle mani di Hitler, che nel 1938 annetté l’Austria alla Germania – senza che nessuna nazione europea intervenisse – e che nel 1939 decise infine di far scoppiare quella guerra che stava progettando già dal 1936.
Fasi del conflitto
Nell’agosto del 1939 URSS e Germania nazista firmarono un accordo di non aggressione reciproca, noto come patto Molotov-Ribbentrop. Con questo accordo – fortemente voluto dai sovietici, che sapevano di essere deboli militarmente e avevano paura dell’aggressività della Germania – le due nazioni si impegnavano a non intervenire l’una contro l’altra e si spartivano i territori ad Est della Germania, stabilendo le reciproche zone di influenza: l’URSS avrebbe avuto il controllo delle repubbliche baltiche e della parte orientale della Polonia, mentre la Germania avrebbe potuto controllare la Polonia occidentale.
Forti di questo accordo, il 1° settembre 1939 le truppe di Hitler invasero la Polonia, incontrando solo debolissime resistenze da parte del fragile esercito polacco, che venne immediatamente spazzato via. I russi non intervennero contro le truppe naziste, ma si limitarono a invadere a loro volta la Polonia da Ovest, andando ad occupare i territori che il patto Molotov-Ribbentrop assegnava all’Unione Sovietica. L’avanzata degli eserciti invasori fu inarrestabile ed estremamente cruenta: i tedeschi sterminarono in pochi giorni oltre 50.000 civili (in gran parte membri della classe dirigente politica ed economica polacca, che si trovò così ad essere senza guida), e i russi fucilarono sul campo oltre 10.000 ufficiali dell’esercito polacco. Queste azioni dimostrarono da subito, nei fatti, che nessuna convenzione internazionale sarebbe stata rispettata, nel corso del conflitto, cosa che si rivelò in seguito tragicamente vera.
Il 2 settembre Francia e Inghilterra, alleate della Polonia e da lei chiamate in aiuto, lanciarono un ultimatum a Hitler, intimandogli di ritirare immediatamente il suo esercito e di riportarlo entro i confini tedeschi. Com’era prevedibile, tale ultimatum rimase totalmente inascoltato, così il 3 settembre 1939 Francia e Inghilterra dichiararono guerra alla Germania: la guerra europea era ufficialmente iniziata.
Nei primi mesi di guerra, il conflitto rimase limitato alla sola Europa, e vide un susseguirsi ininterrotto di successi conseguiti dai tedeschi: le truppe del Reich avanzarono in Polonia arrivando in breve tempo a conquistare Varsavia (26 settembre). Ottenuto questo primo successo, Hitler si rivolse ai paesi scandinavi, invadendo prima la Danimarca (9 aprile) e poi la Norvegia (che cadde, dopo un’eroica ma inutile resistenza, il 9 giugno 1940). Ottenuti questi primi, travolgenti successi, le truppe di Hitler si rivolsero al fronte occidentale, invadendo prima l’Olanda (15 maggio 1940) e il Belgio (28 maggio 1940), passaggio obbligato per arrivare ad attaccare la Francia. In poche settimane, le forze tedesche riuscirono ad arrivare a Parigi, che fu conquistata definitivamente dai nazisti il 14 giugno 1940. La Francia fu divisa in due parti: il Nord rimase sotto il diretto controllo dei tedeschi, mentre a Sud venne insediato un governo collaborazionista (con capitale nella cittadina di Vichy) guidato dal maresciallo Pétain.
A questo punto (10 giugno 1940), ormai sicura della vittoria nazista, anche l’Italia entrò in guerra, rompendo il suo stato di non belligeranza.
In questa fase del conflitto, quindi, l’Europa si trovava completamente sotto il controllo dei nazisti e dei loro alleati: alcuni stati, come la Polonia, erano passati sotto il diretto controllo della Germania, mentre altre nazioni erano state prima conquistate e poi poste sotto il controllo di governi collaborazionisti. Tutte le nazioni aggredite dai nazisti erano cadute, e le truppe di Hitler e dei suoi alleati sembravano destinate a raccogliere un successo dopo l’altro.
L’unica nazione europea a fare eccezione e ad essere ancora libera era la Gran Bretagna: gli inglesi, infatti, dopo aver cercato invano di intervenire a sostegno della Francia e aver constatato la forza schiacciante degli eserciti tedeschi, erano riusciti fortunosamente a riportare oltremanica gran parte delle loro truppe inviate sul continente e, da lì, cercarono di organizzare la resistenza al nazi-fascismo. Un ruolo fondamentale fu svolto, in questa fase, dal capo del governo inglese Winston Churchill. Churchill, nonostante i tedeschi continuassero a mietere successi in tutta Europa,respinse una proposta di armistizio giunta dalla Germania il 19 luglio 1940 e accolse in territorio britannico i governi in esilio dei vari stati conquistati dai nazisti, dichiarando esplicitamente che la Gran Bretagna non sarebbe mai scesa a patti con i nazisti. Per molti mesi l’esercito e il popolo inglese resistettero con tutte le loro forze agli attacchi tedeschi, sopportando massicci bombardamenti che avevano l’esplicito obiettivo di fiaccare il morale della popolazione e di mettere sotto pressione quello che era rimasto l’unico avversario di Hitler in territorio europeo. Grazie alla forza della sua aviazione e alla tempra del suo popolo, però, la Gran Bretagna resistette all’attacco nazista, e il fallimento della “battaglia d’Inghilterra” fu la prima battuta d’arresto che gli eserciti tedeschi subirono nel corso del conflitto.
La guerra diventa mondiale
Nel giugno del 1941, la situazione era nettamente favorevole alle forze nazi-fasciste: l’Italia aveva invaso vittoriosamente la Grecia e l’Albania, e altri stati europei (Romania, Ungheria, Bulgaria) erano scesi in guerra al fianco delle forze dell’Asse. A questo punto l’intero continente europeo si trovava di fatto sotto il controllo – diretto o indiretto – dei tedeschi, con la sola eccezione di pochi stati che si erano dichiarati neutrali (penisola iberica, Svizzera, Svezia, Turchia).
A questo punto, forte dei successi ottenuti, Hitler decise di proseguire la sua avanzata verso Est, rompendo il patto Molotov-Ribbentrop e invadendo l’Unione Sovietica. L’invasione della Russia, che i nazisti chiamarono “Operazione Barbarossa”, ebbe inizio il 22 giugno 1941, e rispondeva a un antico progetto tedesco: per i tedeschi, infatti, invadere l’URSS era un atto cruciale non solo dal punto di vista bellico, ma anche da quello ideologico. A livello tattico e militare, Hitler era convinto che la conquista dell’enorme stato sovietico avrebbe permesso ai tedeschi di garantirsi quello “spazio vitale” a Est che rappresentava per lui una vera e propria ossessione, e avrebbe inoltre convinto una volta per tutte gli inglesi ad arrendersi alla superiore forza tedesca, scoraggiando alle stesso tempo l’intervento statunitense. A livello ideologico, invece, la conquista di un popolo slavo, con un governo comunista e un’alta percentuale di cittadini di origine ebraica, era considerata una legittima pretesa da parte della “superiore razza ariana”, e proprio in nome di questo folle punto di vista Hitler dichiarò espressamente che quella contro la Russia era una vera e propria “guerra di sterminio”, il cui obiettivo era sterminare la classe dirigente sovietica – oltre a tutti gli ebrei russi – per sostituirla con coloni ariani che avrebbero governato sulla popolazione superstite. L’Operazione Barbarossa fu l’operazione militare più vasta mai realizzata fino a quel momento, e coinvolse oltre 4 milioni di soldati solo sul fronte tedesco. L’esercito russo non era preparato a reggere un attacco di quella portata, e infatti in un primo momento non poté far altro che ritirarsi di fronte all’avanzata tedesca. In meno di un mese le truppe naziste arrivarono a qualche centinaio di chilometri da Mosca. A quel punto i tedeschi concentrarono le loro forze verso sud, dove c’erano importanti giacimenti di materie prime, e solo dopo aver conquistato la Crimea ripresero l’avanzata verso la capitale russa, alle porte della quale furono fermati l’8 dicembre 1941 dalla controffensiva sovietica ma, soprattutto, dal freddo dell’inverno russo, che rendeva impossibile ogni ulteriore avanzata.
L’invasione della Russia trasformò la guerra europea in una vera e propria guerra mondiale, caratteristica che diventò ancora più marcata con l’ingresso nel conflitto di Giappone e Stati Uniti. Il 7 dicembre 1941, infatti, i giapponesi – senza nessuna formale dichiarazione di guerra – attaccarono la base americana diPearl Harbor, distruggendo gran parte della flotta americana nell’Oceano Pacifico che si trovava acquartierata lì. Questo esplicito attacco consentì agli USA di dichiarare guerra al Giappone – che dal 27 settembre 1940 era alleato di Italia e Germania – e di conseguenza le nazioni dell’Asse dichiararono guerra agli USA (11 dicembre 1941). La guerra europea era diventata una vera e propria guerra mondiale, che coinvolgeva tutti i continenti (Africa e Asia compresi, dato che le nazioni europee avevano vasti possedimenti coloniali proprio in queste zone).
La svolta del 1942
Il 1942 fu un anno fondamentale per l’evolversi della guerra: a partire da quest’anno, infatti, le forze nazi-fasciste che fino a quel momento avevano vinto su tutti i fronti cominciarono a subire le prime, pesantissime sconfitte. Nella primavera del 1942, dopo la sosta forzata imposta dall’inverno, le operazioni belliche ricominciarono. I tedeschi decisero di attaccare le linee russe su tre fronti, cercando di conquistare contemporaneamente Leningrado (a Nord), il Caucaso (a Sud) e la città di Stalingrado (alla confluenza tra il Don e il Volga). Questo piano d’attacco era straordinariamente ambizioso, ma si rivelò fallimentare per Hitler: le truppe tedesche si trovarono infatti disperse in un territorio vastissimo, in cui era difficile ricevere rifornimenti, armi, cibo. Questa circostanza favorì la controffensiva dell’esercito russo, assistito da formazioni sempre più organizzate di partigiani non regolari che volevano respingere l’attacco dell’invasore tedesco. I russi riuscirono quindi ad accerchiare i tedeschi a Stalingrado e a fermarne l’avanzata, dopo un assedio che durò fino al febbraio del 1943, e al termine del quale le truppe del generale Paulus furono costrette ad arrendersi. Da questo momento in poi le truppe tedesche non riuscirono più a procedere in territorio sovietico e cominciarono la loro lenta ritirata dalla Russia, che si protrasse per oltre due anni.
Contemporaneamente, si combatteva anche sugli altri fronti: nel luglio 1942 gli USA avevano bombardato pesantemente la flotta giapponese nel Pacifico, e nel novembre dello stesso anno le truppe guidate dal generali Montgomery avevano sconfitto il contingente italo-tedesco nella battaglia di El Alamein, in Egitto, segnando di fatto la fine del controllo nazi-fascista in Africa.
La caduta del fascismo in Italia e la guerra di Liberazione
Le prime sconfitte subite dalle forze dell’Asse portarono alla caduta, in Italia, del regime fascista: il 10 luglio 1943, infatti, le truppe americane del generale Eisenhower sbarcarono in Sicilia e da lì cominciarono a risalire la penisola. Il 25 luglio del 1943, quando ormai era chiaro che le forze messe in campo dagli alleati erano schiaccianti e che il malcontento della popolazione nei confronti della guerra era al culmine, Mussolini venne sfiduciato dai suoi ministri e il suo governo cadde. La caduta di Mussolini segnò la fine del fascismo e portò al collasso del sistema di potere che aveva governato il paese per un ventennio, che in poche settimane si dissolse completamente. Per far fronte alla situazione di caos in cui stava scivolando il paese, re Vittorio Emanuele III diede al generale Pietro Badoglio l’incarico di formare un nuovo governo. Badoglio, consapevole della debolezza italiana e della forza degli anglo-americani, prese immediatamente contatti con le forze Alleate e il 3 settembre 1943 l’Italia firmò la resa incondizionata agli anglo-americani (armistizio di Cassibile). L’8 settembre 1943 venne annunciato ufficialmente alla nazione che l’Italia, da quel momento in poi, avrebbe combattuto contro i tedeschi al fianco di Inghilterra e USA, e il paese si trovò così spaccato in due: il re e il governo di Badoglio si rifugiarono a Brindisi, sotto la protezione degli anglo-americani che avevano il controllo dell’Italia meridionale, mentre le truppe tedesche occuparono l’Italia settentrionale e centrale, a quel punto diventata una nazione loro avversaria. Nell’Italia del Nord fu istituita una repubblica collaborazionista (la Repubblica Sociale Italiana, con sede a Salò), sostenuta dai tedeschi. Allo stesso tempo, però, sorsero e si rafforzarono in tutta l’Italia centrale e settentrionale gruppi sempre più nutriti di civili, privi di coperture militari o istituzionali, che intendevano contrapporsi con le armi ai tedeschi occupanti. L’attività di questi nuclei di partigiani armati diventò sempre più capillare e organizzata, dopo l’Armistizio: il 9 settembre 1943 il Comitato di Liberazione Nazionale (un’organizzazione clandestina costituita da tutti i partiti antifascisti) chiamò gli italiani alla Resistenza contro i tedeschi, aprendo una fase estremamente sanguinosa per il paese, che si trovò a combattere una vera e propria guerra civile. Le truppe alleate risalirono infatti molto lentamente la penisola, inviando contemporaneamente aiuti e armi ai partigiani del Nord, che si trovarono quindi a fronteggiare da soli le truppe tedesche e il neonato esercito della Repubblica di Salò per quasi due anni. Il 4 giugno 1944 le truppe alleate liberarono Roma, dove fu istituito un governo provvisorio guidato da Ivanoe Bonomi, una delle figure più autorevoli del CLN. Gli alleati continuarono poi a procedere verso Nord, ma nell’estate del 1944 la loro risalita si fermò sulla cosiddetta “Linea gotica”, una serie di fortificazioni preparate dai tedeschi in Emilia Romagna. In quelle zone si verificarono alcuni degli episodi più cruenti e sanguinosi della guerra: i tedeschi, infatti, non si limitarono a combattere i partigiani, ma non esitarono a effettuare rappresaglie contro la popolazione civile inerme, arrivando a sterminare interi paesi. Dopo l’inverno del 1944 l’avanzata degli alleati ricominciò, e nell’aprile del 1945 l’Italia fu infine completamente liberata dal controllo dei tedeschi, dopo un’insurrezione generale che portò all’uccisione di Mussolini e alla resa di tutti i reparti tedeschi rimasti nel paese.
Gli ultimi anni di guerra
Mentre gli anglo-americani erano impegnati nella lunga campagna d’Italia, si posero le basi per la disfatta hitleriana anche su tutti gli altri fronti. Nel dicembre del 1943, infatti, Stalin, Churchill e Roosevelt si incontrarono a Teheran per concordare una strategia offensiva comune: i tre capi di stato concordarono sulla necessità di aggredire la Germania su un nuovo fronte, in modo da indebolire definitivamente l’esercito tedesco che era ancora sostanzialmente concentrato in URSS, e decisero quindi di organizzare uno sbarco sulle coste francesi. Questa scelta portò allo sbarco in Normandia: il 6 giugno 1944 (giorno passato alla storia come D-day) i britannici e gli americani sbarcarono in Francia e sfondarono le linee di difesa tedesche, cominciando ad avanzare nel paese. Il 25 agosto Parigi venne liberata e le truppe tedesche furono costrette a ritirarsi precipitosamente dalla Francia. I tedeschi erano ormai in rotta su tutti i fronti: l’esercito sovietico continuava ad avanzare verso ovest e nell’autunno del 1944 aveva ormai liberato tutto il territorio russo, arrivando alle porte di Varsavia (dove, contemporaneamente, i polacchi superstiti avevano dato vita a un’eroica rivolta, crudelmente repressa dai tedeschi); sul fronte sud, i partigiani italiani e le truppe alleate li risospingevano verso nord, mentre sul fronte occidentale l’azione congiunta della resistenza francese e delle truppe alleate appena sbarcate in Normandia rendeva impossibile ogni ulteriore tentativo di tenere le posizioni. Il 28 aprile 1945 i russi conquistarono Berlino e, subito dopo il suicidio di Hitler (30 aprile), la Germania firmò la resa incondizionata. A questo punto, l’unico paese ancora in guerra era il Giappone: per dare il colpo definitivo alla dura resistenza nipponica, il presidente americano Truman ordinò di sganciare su Hiroshima (6 agosto 1945) e Nagasaki (9 agosto) le prime due bombe atomiche della storia. Questo attacco, che rase al suolo le due città, si rivelò decisivo: il 14 agosto, infatti, l’imperatore Hirohito fu costretto ad accettare la resa incondizionata e a firmare l’armistizio (ufficialmente accettato dagli americani il 2 settembre 1945) che segnò la fine della seconda guerra mondiale.
La shoah e la pulizia etnica
Intraprendendo la guerra, la Germania di Hitler non voleva solo ampliare i propri confini a scapito delle nazioni confinanti ma intendeva realizzare un progetto più ampio di controllo totale dei popoli conquistati. L’ideologia nazista, infatti, si fondava sul principio secondo cui esistono razze umane “superiori” (quella tedesca su tutte) che sono destinate a dominare e razze “inferiori” che devono essere a loro sottomesso. Per questo motivo la guerra condotta dai tedeschi fu più efferata su alcuni fronti che su altri: i popoli europei conquistati (francesi, olandesi, danesi…) furono sottoposti ad occupazione, ma i nazisti vi instaurarono dei governi loro fedeli ed evitarono di accanirsi sulla popolazione inerme, cosa che non avvenne invece sul fronte orientale. I popoli balcanici e slavi, infatti, erano ritenuti dai nazisti razzialmente inferiori, e la guerra condotta in Polonia e in Russia fu segnata da saccheggi, decapitazione della classe dirigente politica e militare, deportazioni e sterminio di massa. Alcune squadre di SS, note con il nome di Einsatzgruppen, avevano il preciso compito di seguire gli eserciti tedeschi che avanzavano e di accanirsi contro la popolazione civile, compiendo eccidi e fucilazioni di massa, in particolare nei villaggi ebraici che incontravano sul loro cammino. Nel 1942, quando Hitler decise di procedere all’invasione dell’URSS, venne elaborato in Germania un“Piano generale per l’Est” che prevedeva la deportazione forzata in Siberia, negli anni seguenti, di 31 milioni di persone definite “razzialmente indesiderabili”. Di queste non facevano parte i 5-6 milioni di ebrei residenti nell’area, dato che loro, secondo i piani nazisti, a quell’epoca sarebbero già stati totalmente stermiminati. La politica anti-ebraica di Hitler era iniziata, in Germania, già molti anni prima, con l’emanazione di leggi razziali (leggi di Norimberga, 1935) che escludevano di fatto i cittadini tedeschi di religione ebraica da ogni aspetto della vita sociale. Nel 1938 la situazione degli ebrei tedeschi diventò ancora più difficile: nella notte tra l’8 e il 9 novembre 1935, nota come “notte dei cristalli”, in tutta la Germania vennero distrutte e incendiate le sinagoghe e le attività commerciali gestite da ebrei, e le violenze contro di loro si moltiplicarono, da quel momento in poi, in forme sempre più esplicite. L’anno successivo, in seguito all’invasione della Polonia, fu decretato che tutti gli ebrei polacchi dovevano essere trasferiti dalle campagne alle città, in appositi ghetti a loro destinati, in cui cominciarono ad affluire anche tutti gli ebrei residenti nei vari territori che la Germania via via conquistava. Nei ghetti polacchi e tedeschi gli ebrei soffrirono causa della fame e delle epidemie, ma la loro reclusione in quei luoghi era solo il primo passo di un più vasto progetto di sterminio. Nel gennaio del 1942 infatti, nel corso della Conferenza di Wannsee, i vertici del regime nazista determinarono le tappe di quella che veniva definita “soluzione finale del problema ebraico”. Il piano prevedeva che tutti gli ebrei europei e russi venissero prima concentrati nei ghetti polacchi e poi inviati in appositi campi di concentramento e sterminio (i più tristemente noti sono quelli di Auschwitz, Treblinka, Dachau, Bergen Belsen e Mauthausen), in cui sarebbero stati sterminati. Nei campi di concentramento i prigionieri venivano immediatamente spogliati dei pochi averi che avevano potuto portare con sé e subivano una prima, sommaria selezione. Quelli che venivano considerati incapaci di lavorare (bambini, anziani, malati), erano ritenuti “inutili” e venivano immediatamente inviati alle camere a gas. Quelli che, invece, potevano essere messi al lavoro venivano sfruttati fino all’esaurimento fisico. Molte migliaia di ebrei detenuti nei Lager nazisti lavorarono, tra il 1942 e il 1945, per le fabbriche del Reich, circostanza che dimostra come fossero molti i cittadini tedeschi ed europei a sapere ciò che stava avvenendo nell’Europa dell’Est a danno degli ebrei, nella più completa indifferenza generale.
Il numero di persone colpite dalla pulizia etnica compiuta dai nazisti in Europa è da decenni oggetto di dibattito tra gli storici: le stime più credibili affermano che nei Lager nazisti siano stati eliminati, complessivamente, sei milioni di ebrei, un milione dei quali erano bambini. Oltre agli ebrei, nei Lager vennero detenuti anche zingari e rom, testimoni di Geova, omosessuali, criminali comuni. A queste persone, vanno aggiunti dai quattro ai sei milioni di cittadini slavi e due milioni di cittadini polacchi non ebrei eliminati durante l’avanzata delle armate tedesche in territorio sovietico. Si stima, quindi, che l’ideologia nazista di “purificazione della razza” abbia portato allo sterminio, condotto con metodi scientifici, di non meno di 17 milioni di persone.
In Italia la deportazione e lo sterminio degli ebrei iniziarono solo dopo il settembre 1943, anche se già nel 1938 il regime fascista aveva emanato leggi razziali ispirate alle leggi hitleriane. Anche in Italia, quindi, i cittadini di origine ebraica vennero allontanati dalla vita pubblica: gli studenti ebrei dovettero lasciare le scuole e coloro che lavoravano nell’amministrazione pubblica furono licenziati. Le limitazioni per i cittadini ebrei diventarono sempre più vincolanti, ma fu solo dopo il crollo del regime fascista e l’occupazione nazista dell’Italia settentrionale che iniziarono le deportazioni sistematiche degli ebrei verso i campi di sterminio dell’Europa orientale.