La grammatica classica li tratta dividendoli in tre gruppi a partire dalle terminazioni del nominativo. La maggioranza degli aggettivi della seconda classe è costituita da temi in i, la minoranza da temi in consonante; al primo gruppo appartengono gli aggettivi a tre e a due uscite, al secondo la minoranza di quelli ad una sola uscita. Si associano perciò ai sostantivi della terza declinazione, anche qui la legge dell’analogia ha portato ad un’assimilazione delle terminazioni ancora più marcata, prevalgono le caratteristiche degli aggettivi con tema in i. Al genitivo plurale quasi tutti gli aggettivi escono in –ium, dove nei sostantivi la distinzione tra i due temi era comprovata dal genitivo plurale. Gli aggettivi con tema in i a due terminazioni sono dominanti, anche perché quelli che conosciamo come a tre uscite sono stati aggettivi a due uscite, ed anche la terminazione del maschile non è originaria ma risultante da un’uscita in is con terminazione in i breve; er deriva per evoluzione ipoteticamente per sincope di i breve, vocale tematica di ogni aggettivo in i, *acrs improbabile, apocope di s ed epentesi o anaptissi di una e breve per sciogliere il nesso consonantico. Er dunque non è un’uscita ma parte della radice con l’inserimento di una vocale che serve a rendere pronunciabile il nesso consonantico; la forma ha perso durante la sua evoluzione fonetica la terminazione. Si afferma in epoca classica per un numero ridotto di aggettivi, e soltanto da allora, pur essendo testimoniata anche in precedenza, tende ad essere utilizzata per il solo maschile; nel latino arcaico quando convivevano forma originaria e derivata erano scambievolmente usate per maschile e femminile. Il neutro dei casi diretti del singolare è in e breve dove essa è vocale tematica e non vi è desinenza; infatti e breve rappresenta l’evoluzione di i breve come in *mari mare, anche in questo caso i casi retti del singolare presentano il puro tema; l’estroflessione è forse dovuta ad un fenomeno soprasegmentale come l’accento.
L’ablativo singolare esce in i lunga, in origine tipica solo di alcuni temi in i arcaizzanti; permane anche l’uscita del neutro plurale in –ia. Gli aggettivi ad una sola uscita sono originari temi in consonante come si evince dal nominativo singolare vario: può essere sigmatico (audax) o asigmatico (pauper); hanno tuttavia perso precocemente la propria caratterizzazione morfologica per assimilarsi a quelli in i, con le stesse uscite all’ablativo singolare, genitivo plurale e casi retti del neutro plurale. Pochi aggettivi di questo gruppo si sottraggono in tutto o in parte a quest’assimilazione: dives, pauper, vetus, princeps; ciò si deve forse al loro uso soprattutto sostantivale, e nei sostantivi l’assimilazione è stata più ridotta e diversa (si sono imposti ablativo singolare in e e genitivo plurale in um).
Un tipo particolare di aggettivo/sostantivo è il participio presente, con nominativo sigmatico e che ha subito un’assimilazione quasi totale con gli aggettivi con tema in i, tranne all’ablativo singolare in cui sono possibili le uscite in e o in i. Nel participio presente è sfruttata la funzione distintiva del fonema dentale che fa parte del suffisso che lo compone: l’uso della dentale sorda lo contrappone al gerundio e al gerundivo che utilizzano la sonora: participio presente = suffisso nt, gerundio e gerundivo = suffisso nd. Questa contrapposizione individua la differenza di significato tra l’azione effettiva o reale marcata da nt, e l’azione virtuale connotata da nd. Esempio: dalla radice indoeuropea seq derivano gli aggettivi deverbali secundus e sequens (gen sequentis); il primo etimologicamente significa destinato a seguire, che può seguire (il primo), il secondo significa che sta seguendo. Le due forme documentano la conservazione della labiovelare, seppur con esito grafico differente. Dalla radice verbale fa fe (e lunga) derivano infandus e infans (gen infantis), anch’essi deverbali; il primo significa che non può o non deve essere detto, il secondo esprime una condizione reale, chi non sa parlare e di fatto non parla. Nel primo esempio la contrapposizione è tra participio ed aggettivo in nd ma non gerundivo, nel secondo due aggettivi in nt e nd. Dunque gli aggettivi deverbali in nt e nd sono molti oltre a participio, gerundio e gerundivo, ed i suffissi conservano la loro qualità reale o virtuale dell’azione; l’aggettivo presente per il participio è adeguato solo se ad esso ci si riferisce come tempo relativo.
Gerundio e gerundivo hanno come caratteristiche doverosità o possibilità, il gerundivo è un aggettivo verbale che ha come carattere peculiare seriore la diatesi passiva: in origine infatti ha solo carattere intransitivo proprio di molti aggettivi anche in seguito pur deverbali (amandus, horrendus), dunque la diatesi passiva è un lineamento innovativo del gerundivo. Il gerundio è il neutro singolare sostantivato di simile aggettivo in nd indicante azione virtuale, cosa che lo distacca dal gerundio italiano; in latino infatti gerundio è declinazione di infinito sostantivato italiano.