Negli atlanti, il planisfero che illustra le scoperte geografiche e i progressi nella conoscenza del mondo mostra i cinque paesi per conto dei quali le scoperte geografiche sono state fatte: Portogallo, Spagna, Francia, Inghilterra e Olanda. Una superficie minima nel planisfero. Lo squilibrio della prospettiva eurocentrica è ancora più forte dal punto di vista letterario: sono quasi ignoti in Occidente gli scritti del cinese Zang Qian, che nel sec. II spingendosi verso ovest toccò i limiti dell’impero romano; o gli scritti dell’arabo Ibn Battuta che nel sec. XIV visitò il mondo musulmano dall’Africa settentrionale all’India e toccò la Russia meridionale, la Malesia, la Cina. La letteratura di viaggio comincia nella tradizione occidentale con la letteratura greca. L’Odissea di Omero è una storia di viaggi in parte probabilmente fantastici, ma è testimonianza autentica di un amore per l’avventura e le esplorazioni che caratterizzerà tutte le culture occidentali nei secoli successivi. Nel sec. V a.C., con le Storie di Erodoto, all’amore per la conoscenza si accompagna una strategia di dominio. Nel sec. IV a.C. l’ Anabasi di Senofonte è la cronaca di un’impresa militare; quest’ultimo filone continua nella letteratura latina con i Commentarii di Giulio Cesare (sec. I a.C.). Nel sec. II d.C., con Pausania si delinea un atteggiamento precursore di quello che si chiamerà turismo circa venti secoli dopo.
Nel medioevo i viaggiatori sono missionari o ambasciatori e mercanti. Tra i primi, i francescani Giovanni da Pian del Carpine e Odorico da Pordenone si spingono nell’Asia centrale e orientale rispettivamente nel 1247 e nel 1331. Tra i secondi, il veneziano Marco Polo soggioma in Cina dal 1275 al 1291, e non scrive un libro sui suoi viaggi bensì fornisce oralmente i dati per scriverlo a Rustichello da Pisa, mentre sono entrambi in prigione a Genova nel 1298. Rustichello, professionalmente rifacitore di romanzi arturiani, scrive in «francese di Lombardia», quel che gli racconta Marco Polo. Questo libro di due autori (intitolato Il Milione nella traduzione fiorentina anteriore al 1309) suscita la diffidenza di alcuni letterati per la sua genesi giornalistica e ancor oggi vengono sollevati dubbi sulla veridicità del racconto; ma nonostante ciò, o forse proprio per questo, resta il più bello tra tutti i libri di viaggio e uno dei più bei libri che siano stati mai scritti. Il viaggio d’andata di Marco Polo è per terra, come quelli di Giovanni da Pian del Carpine e di Odorico da Pordenone; il ritorno è per mare.
E per mare la maggioranza dei più importanti viaggi successivi, a cominciare da quello di Alvise Cadamosto (che nel 1456 al servizio del Portogallo scopre le Isole di Capo Verde) per culminare con quello di Antonio Pigafetta (che nel 1519-22 partecipa alla spedizione di Magellano). Le relazioni di questi viaggi, e di una sessantina d’altri, sono raccolte nei tre volumi delle Navigazioni e viaggi curati da Giambattista Ramusio tra il 1550 e il 1559. Ramusio traduce, annota, manipola: per esempio nel Milione introduce brani derivati da codici oggi perduti; non dà invece il Diario di Cristoforo Colombo perché, consegnato ai sovrani di Castiglia, resterà coperto dal segreto di stato fino al 1825.
Successivi alla «summa» di Ramusio sono altri libri di viaggio che, come quelli di Filippo Sassetti e di Francesco Carletti, interessano quasi solo la storia della letteratura italiana. Daniello Bartoli scrive su India, Giappone, Cina senza mai muoversi di casa.
Sia per la storia delle scoperte, sia per le storie letterarie, hanno peso ormai viaggiatori e scrittori di paesi diversi dall’Italia. Le più importanti raccolte di libri di viaggio, dopo il Ramusio, sono quelle dell’inglese Richard Hakluyt (dal 1589) e del francese Antoine Frangois Prévost (dal 1746), ma con il Settecento il numero dei libri di viaggio si accresce vertiginosamente. Tra i capolavori indiscussi si possono ricordare i libri dei coetanei James Cook (n. 1728), Louis-Antoine Bougainville (n. 1729), Jacques-Henri Bemardin de Saint Pierre (n. 1737). I primi due sono testi sacri per gli illuministi, il terzo è uno tra i primi esempi di letteratura romantica.
IL VIAGGIO DI FORMAZIONE
Se nei resoconti di esploratori e diplomatici prevale l’osservazione geografica, naturalistica o etnografica, che servirà da traccia alle conquiste coloniali, tra il sec. XVI e il XVII l’interesse dei giovani aristocratici e degli artisti si orienta piuttosto verso il viaggio di formazione intellettuale e, soprattutto, verso il viaggio in Italia, ispirato al culto dell’antichità. Da Montaigne a Goethe, il viaggio assume per l’intellettuale il valore di esperienza conoscitiva e di scoperta interiore, nella relazione tra individualità del soggetto e singolarità del luogo. L’Italia, insieme con la Grecia e il Vicino Oriente, diventa così tappa d’obbligo del «Grand Tour» che si impone tra le classi colte d’Europa per tutto il sec. XVIII.
Cento anni dopo un nuovo flusso di viaggiatori, questa volta provenienti da oltreoceano (N. Hawthome, H. James), rinnova i fasti del viaggio in Italia. Nell’era dell’imperialismo, agli albori della cultura di massa, si diffondono le suggestioni dell’esotismo: il miraggio di una fuga dalla mediocrità è al fondo di gran parte della letteratura di viaggio fra i secoli XIX e XX, mentre nel Baedeker (inventato da K. Baedeker a metà del sec. XIX) si va delineando il modello di un nuovo modo di «consumare» il viaggio: il turismo. Nel frattempo si completa la conquista europea del globo che giunge in molti casi ad assumere le forme dell’etnocidio e dell’ecocidio. C. Lévi Strauss apre il suo Tristi tropici (1955) con la frase «Odio i viaggi e gli esploratori», deprecando la mistificazione operata dagli innumerevoli libri di viaggio di mestieranti dell’«avventura» che sostituiscono il convenzionale al vissuto per poter essere consumati da un pubblico sempre più vasto.
Nella produzione del nostro secolo, nonostante la concorrenza dei giornalisti, i romanzieri restano i soggetti maggiormente accreditati alla narrazione di viaggio di carattere documentario e di riflessione culturale. Il genere «travel writing» si sviluppa soprattutto in ambito anglosassone (tra gli autori più noti, D.H. Lawrence, G. Greene, E. Waugh). In Italia hanno scritto libri di viaggio, tra gli altri, A. Moravia, G. Parise, A. Arbasino. Una nuova generazione di scrittori-viaggiatori fa la sua apparizione con la pubblicazione di In Paragona (1977) di B. Chatwin, al quale si affiancano P. Theroux, K. White, R. O’Hanlon, J.M. Le Clézio, i cui resoconti tendono ad applicare alla restituzione del reale le tecniche del romanzo, in una dimensione narrativa che ha il suo grande precedente in R.L. Stevenson. In alcuni scrittori latinoamericani, come L. Sepúlveda, il resoconto di viaggio tende a configurarsi come interpretazione storico-critica della condizione dei paesi del Terzo Mondo.