La cultura canadese delle origini si ispira ad alcune istanze fondamentali dettate dalle necessità della sopravvivenza, dalla presenza ossessiva degli elementi naturali e dalla ricerca di un’identità autonoma. Nazione affermatasi in un costante rapporto di attrazione e repulsione nei confronti del potente vicino statunitense, ha spesso scelto di rimanere culturalmente legata all’Europa senza per altro mai negare la propria autenticità nordamericana.
Nel primo periodo coloniale la poesia si è contraddistinta per la propria capacità di affermare una specificità geografica in cui il paesaggio, al quale vengono attribuite caratteristiche mitologiche fondanti, verrà progressivamente a trasformarsi nel tramite creativo per eccellenza, tendenza che in seguito costituirà una sorta di archetipo pastorale canadese.
Thomas Cary (1751-1823) si ricorda come il poeta che ha dato inizio alla tradizione dei cosiddetti river poems, mentre Oliver Goldsmith (1794-1861), che ha composto versi di frontiera al confine tra il nuovo e il vecchio mondo, ha il merito di aver per primo introdotto i suoni della civiltà nel silenzio primordiale della distesa incontaminata della natura.
La narrativa invece ha stentato ad assumere una fisionomia autonoma e ha cominciato a configurarsi come tale solo dopo il 1860, senza tuttavia lasciare opere particolarmente significative.
Nel Novecento la poesia viene ulteriormente rivitalizzata dalla produzione di alcuni artisti che hanno fatto propria la lezione modernista, tra i quali ricordiamo A. M. Klein (1909-1972) di origine ebraica che, sfruttando le potenzialità solenni e ieratiche del linguaggio, ha rappresentato il Canada contemporaneo senza più idealizzarlo; E. J. Pratt (1882-1964), dal dettato narrativo-declamatorio; A. J. M. Smith (1902-1980) e F. R. Scott (1899-1983), notevole per erudizione e capacità mitopoietiche.
Tra i poeti cosiddetti metropolitani, significativi per la qualità tradizionale del verso elegante e allusivo, dal tono colloquiale, ma marcatamente satirico, citiamo Raymond Souster (1921), Irving Layton (1912), Leonard Cohen (1934) ed Eli Mandel (1922-1992), gli ultimi tre di origine ebraica.
La narrativa del Novecento nasce dalla convinzione che il romanziere deve avere una funzione sociale. In questo senso va interpretata l’opera romantico-agiografica di Robert J. C. Stead (1880-1956) e quella di Frederick Philip Grove (1871-1948), autore che ha indagato in modo particolare il rapporto tra città e campagna. Il degrado dell’ambiente urbano diventerà invece la principale fonte di ispirazione di Moreley Callaghan (1903-1990), il primo romanziere canadese moderno.
Negli anni Quaranta la narrativa andrà progressivamente a confrontarsi con le contraddizioni derivate dal contrasto tra società agricola e civiltà industriale. Interpreti di queste istanze sono stati Sinclair Ross (1908) e Hugh MacLennan (1907-1990), i cui raffinati e colti riferimenti ai classici impreziosiscono una narrativa ricca di astrazioni e di tensioni volte a trascendere la specificità dei singoli personaggi in una più ampia serie di considerazioni sulla condizione umana.
Contro il soffocante provincialismo si scaglia con vigore Robertson Davis (1913), il più significativo tra gli autori del decennio successivo, che tuttavia tra il 1970 e il 1975 pubblicherà un’opera, la cosiddetta trilogia di Deptford, autenticamente innovativa.
A partire dagli anni Sessanta la narrativa canadese decolla in senso nazionale, anche grazie al sostegno finanziario del governo centrale, e riesce a dar vita a una produzione di carattere segnatamente sperimentale in cui il paesaggio vivificato dall’immaginazione acquista estrema originalità. In questo panorama la letteratura al femminile assume un rilievo particolare. Tra le scrittrici più significative ricordiamo Margaret Laurence (1926-1990), la cui ispirazione regionalistica è costantemente trascesa in istanze di carattere universale; Alice Munro (1931), che si caratterizza per la perfezione stilistica della scrittura, e infine Margaret Atwood (1939) dall’ispirazione paradossale e istrionica. Citiamo inoltre Gwendolyn MacEwen (1941), la cui predilezione per il romanzo storico è in realtà un mezzo per affrontare le grandi problematiche del sentire contemporaneo.
Più in generale il passaggio dal modernismo al postmodernismo, che consente l’uso di strumenti tecnico-espositivi particolarmente complessi, ha permesso agli scrittori dell’ultima generazione di misurarsi con la narrativa mondiale a prescindere dall’assenza di una propria tradizione autonoma e ha dato significativo spazio all’espressione delle minoranze, che hanno in Michael Ondaatje (1943), romanziere e poeta di origine singalese, una figura emblematica; suo il famoso romanzo Il paziente inglese (1992).
Tra i più noti scrittori contemporanei canadesi, si ricorda Mordecai Richler (1931-2001), autore del bestseller La versione di Barney (1997). Infine non va trascurato il contributo che intellettuali canadesi hanno offerto in campo sia critico-letterario, come Northorp Frye (1912-1991), sia sociologico, come Harold A. Innis (1894-1952), studioso della teoria della comunicazione, e come il notissimo Marshall McLuhan.