La lingua provenzale del medioevo (o “lingua d’oc”) è una lingua neolatina indoeuropea e fu elaborata nella Francia meridionale su parlate diverse da quelle della Francia settentrionale.
La letteratura del periodo consiste per lo più nella poesia lirica dei trovatori. Abbiamo alcune testimonianze di un filone narrativo il cui capolavoro è rappresentato dal romanzo in versi Flamenca della fine del XIII secolo, rielaborazione dei contenuti e delle forme della civiltà cortese ormai in declino.
Non mancano le grammatiche e i trattati di retorica (Donatz Provensals di Uc Faidi e Las Razos de Trobar di Raimond Vidal). Il caposcuola fu Ebolo, visconte di Ventadour, ma anche l’opera del Duca di Aquitania, Guglielmo IX, è di ispirazione giullaresca e contiene elementi cortesi tratti dal linguaggio feudale.
La poesia provenzale successiva trae la sua ispirazione dall’amore cortese, anche se registriamo il dissenso di Marcabruno (Marcabrun). Un ben noto poeta fu Jaufré Rudel (prima metà del sec. XII). La condanna dell’amore cortese si esprime in un linguaggio elaborato e per il forte impegno citiamo Peire L’Alvernha, Arnaut Daniele Guirant de Boneh i quali, oltre a esprimersi con una struttura metrica raffinata, dimostrano grande attenzione linguistica, per cui la poesia diviene una disciplina assai rigorosa.
A partire dal primo quarto del Duecento nella poesia provenzale sono presenti i sintomi di un cambiamento di contenuti, dopo l’istituzione dell’Inquisizione (1233) e con l’espandersi della lingua francese.
In ogni caso assistiamo all’esaurirsi della poesia trobadorica e la sua fase più gloriosa può considerarsi conclusa alla fine del XIII secolo, anche se rimane viva e finisce con l’imporsi alle letterature francese, italiana, portoghese e tedesca. Una breve “rinascenza occitanica” appare alla fine del XVI secolo, e agli inizi del XVII la poesia si adegua ai modelli della Pléiade, abbandonando i legami con la tradizione dei trovatori. Il poeta più noto di questo periodo é L. Belland de La Bellandière (1543-1588).
Ma tanto nel Seicento quanto nel Settecento, con l’avvento del classicismo, la lingua d’oc viene emarginata. Unica eccezione è quella di J.-B.-C. Favre (1727-1783).
Nell’Ottocento troviamo il “felibrismo”, scuola poetica che nasce ad Avignonene nel 1854 e si prefigge di salvare la lingua d’oc, onde recuperare l’identità culturale della Provenza, salvando le caratteristiche della Francia meridionale con un rinnovato interesse per i trovatori, ai quali i “felíbri” si rifanno. Il più noto tra i fondatori di tale scuola fu E Mistral (1830-1914), autore del bellissimo romanzo in versi Miréio (Mirella), del 1859, ma godettero di grande fama anche Th. Aubanel (1829-1886) e J. Roumanille (1818-1891).
Alcuni poeti quali V. Gelu (1806-1886), J. D’Artaud (1872-1950), V. Bernard (1860-1936) reagirono a questo accademismo e nel 1920, a opera in particolare di S. A. Peyre (1890-1961), ebbe inizio una nuova “rinascenza occitanica” che accolse i nuovi poeti nelle pagine della rivista Marsyas.
Anche dopo il secondo conflitto mondiale e fino ai giorni nostri la letteratura in lingua d’oc ha continuato a essere vitale tanto nella narrativa quanto nella poesia, nel teatro e nella saggistica. Degni di nota Roland Pecout (1949, autore di Portulan, del 1978, diario di un viaggio in Oriente), Antonin Perbosc (1861, autore di Lo libro del Campesta, Libro della Natura, 1970), Jean-Luc Sauvaigo (1950, al quale si devono Quieta Cola et Cia, 1974, e Seba, 1972) e Pierre Bec (1921, che nel 1980 scrisse Sonets Barocs enta Iseut, Sonnets baroques pour Iseult).