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La coscienza di Zeno è uno dei romanzi più significativi del primo Novecento italiano ed è l’opera che segna le definitiva consacrazione letteraria del suo autore, Ettore Schmitz, più noto con lo pseudonimo di Italo Svevo (1861-1928).
Il libro viene pubblicato a Trieste nel 1923 e deve gran parte del suo successo alla straordinaria capacità di Svevo di interpretare, in forma letteraria, molti degli stimoli e delle molte tematiche che, in quegli anni, erano al centro della riflessione e del dibattito culturale europeo. La statura “europea” del romanzo viene favorita anche dalla provenienza geografica del suo autore che, essendo triestino, aveva intensi contatti con il mondo mitteleuropeo che negli anni tra Ottocento e Novecento stava attraversando quel periodo di grande fermento e di rinnovamento tecnologico, sociale, culturale in senso lato che prende il nome di belle époque. Nella Coscienza di Zeno si sentono, quindi, gli echi delle opere di importanti autori europei come James Joyce (che Svevo aveva personalmente conosciuto e da cui aveva preso lezioni di lingua inglese) o Marcel Proust (che influenza Svevo soprattutto grazie alle sue tesi sul valore della memoria e del rapporto di ogni uomo con il proprio passato), nonché gli effetti della diffusione delle teorie psicoanalitiche di Sigmund Freud. La coscienza di Zeno, inoltre, conclude idealmente un percorso letterario che Svevo aveva iniziato con i suoi primi due romanzi, Una vita (pubblicato nel 1892) e Senilità (che esce nel 1898). In tutti questi romanzi Svevo analizza in modo particolare il modo in cui l’uomo contemporaneo costruisce il suo rapporto con la realtà, arrivando a mettere in luce come questo rapporto sia sempre in qualche modo morboso, malato, segnato da auto-inganni e da continue menzogne più o meno consapevoli.
I suoi protagonisti sono sempre figure di “inetti”, uomini inadatti a vivere nel mondo che nascondono la loro incapacità di condurre un’esistenza regolare dietro uno schermo fatto di malattie vere o immaginarie, di non-scelte che gli consentono sempre di sfuggire dalle responsabilità e di allontanarsi dalla realtà delle cose, vista come qualcosa di inafferrabile e potenzialmente pericoloso. I protagonisti dei romanzi di Svevo sono uomini privi di volontà, incapaci di reagire agli stimoli della realtà circostante ed eternamente intenti ad analizzare se stessi, nel tentativo di risolvere i loro problemi di rapporto con il mondo e con gli altri, senza ovviamente mai riuscirci. Questi personaggi attraversano la loro esistenza rimanendo sempre immobili, fino al momento in cui la situazione precipita, la realtà ha il sopravvento su di loro e li condanna a soccombere. Nei due primi romanzi di Svevo, l’inettitudine alla vita dei personaggi ha risvolti nettamente tragici: Alfonso, protagonista di Una vita, preferisce suicidarsi pur di non affrontare in duello il fratello della donna che ama (e che, nonostante tutto, ha scelto di abbandonare) mentre Emilio, protagonista di Senilità, muore in solitudine dopo una vita trascorsa diviso tra l’amore per la sorella e quello per l’amante Angiolina, tra cui non sa scegliere.
La coscienza di Zeno, dal canto suo, rappresenta un ulteriore passo avanti nella poetica di Svevo, e l’esito a cui si arriva in questo romanzo è particolarmente innovativo e interessante. Infatti il suo protagonista, Zeno Cosini, non solo non muore, ma anzi sembra essere l’unico vero “vincitore” della vicenda narrata nel romanzo, tanto che alla fine arriva perfino a dichiararsi guarito dai suoi sintomi e dalle sue malattie. In realtà, per il lettore, l’inettitudine di Zeno è evidente tanto quanto quella degli altri personaggi di Svevo: la differenza tra questo romanzo e i precedenti, però, è che in questo caso è il protagonista stesso, in prima persona, a narrare la sua vicenda, auto-giustificandosi ininterrottamente e affermando esplicitamente che il mondo è retto da regole insensate e imprevedibili, contro cui la sua volontà di singolo individuo non potrebbe comunque intervenire. Non è lui, quindi, ad essere malato, ma è il mondo intero ad esserlo, e di conseguenza il suo rifiuto di questo mondo perverso non è un sintomo di alienazione o debolezza bensì una sorta di “trionfo in negativo”: è questo il definitivo auto-inganno che segna la vittoria di Zeno, un inetto che non solo non si scuote dalla sua inettitudine, ma che riesce perfino a trasformarla in un motivo di orgoglio.
Attraverso le parole di Zeno che riflette sulla sua vita, quindi, il lettore riesce a percepire contemporaneamente sia quello che il protagonista pensa di se stesso (mistificando la realtà per autogiustificarsi) che i suoi impulsi e desideri reali, che sono spesso poco nobili, egoistici, meschini, quando non esplicitamente violenti e aggressivi nei confronti di chi lo circonda. Grazie al meccanismo dell’auto-narrazione, Svevo riesce quindi a costruire un romanzo in cui diventa evidente che le scelte umane sono dettate da ragioni in buona parte inconsce e che l’uomo, lungi dall’essere un’entità razionale, agisce in modo imprevedibile, seguendo impulsi ambigui dettati da desideri di cui lui per primo non ha consapevolezza. In questo modo La coscienza di Zeno si rivela un testo eccezionalmente efficace nell’esprimere, in forma letteraria, alcuni dei punti essenziali delle teorie psicanalitiche di Freud, che proprio in quegli anni si stavano diffondendo in Europa.
Ambientazione e contesto
La vicenda si svolge a Trieste, in un tempo che corrisponde sostanzialmente a quello della vita di Svevo. Il romanzo, infatti, si presenta come una raccolta di memorie scritta a posteriori dal protagonista che nel 1915, quando è ormai un uomo maturo, decide di rivolgersi a uno psicanalista per curare alcuni dei disturbi e dei fastidi fisici che da anni lo tormentano. Come aiuto alla terapia, il medico gli suggerisce di ripercorrere attraverso la scrittura alcuni episodi del suo passato, in modo da poterli comprendere davvero («Scriva! Scriva! Vedrà come arriverà a vedersi intero!», afferma il Dottor S. in una delle pagine iniziali del romanzo). Gli episodi raccontati possono quindi essere tutti collocati in un periodo che va dagli ultimi decenni dell’Ottocento ai primi anni del Novecento. Il diario si conclude poi nel 1916, quando Zeno scrive i suoi ultimi appunti commentando alcuni fatti contemporanei, come lo scoppio della prima guerra mondiale, le influenze del conflitto sulla sua esistenza quotidiana e la sua decisione di abbandonare la psicanalisi, convinto com’è che il mondo sia ormai tanto corrotto da essere condannato a un destino di distruzione da cui nessun uomo, sano o malato che sia, si salverà. L’ambientazione triestina è molto importante nell’economia del romanzo: la città, infatti, è presente come sfondo di alcune delle scene più importanti del testo, e alcune sue ambientazioni – il mare, il palazzo cittadino della borsa, il “Tergesteo” – sono particolarmente ricorrenti. Le ambizioni professionali di Zeno sono giustificate dalla vocazione al commercio della città di Trieste, che era inoltre uno dei pochi luoghi in Italia in cui, già nei primissimi decenni del Novecento, si erano diffuse le teorie freudiane sulla psicanalisi (molti ritengono che la figura del “Dottor S.” sia ispirata al dottor Edoardo Weiss, medico triestino allievo di Freud e amico personale di Svevo).
Personaggi principali
Zeno Cosini protagonista del romanzo e sua voce narrante. Nasce in una famiglia borghese ma non continua l’attività commerciale avviata dal padre, che prima della fine delega la gestione degli affari a un amministratore, dato che non nutre alcuna stima nelle capacità del figlio. Si dedica a vari studi universitari, passando da una facoltà all’altra senza mai concluderne nessuna, e anche quando decide di iniziare a lavorare lo fa con difficoltà, tormentato com’è da una serie di disturbi fisici a cui attribuisce la responsabilità di tutte le sue debolezze e i suoi problemi. Rappresenta l’inetto novecentesco per eccellenza: è un individuo che attraversa l’esistenza senza prendervi parte attiva e che dedica tutte le sue energie a giustificare a se stesso e agli altri i suoi fallimenti e le sue difficoltà, che giudica sempre frutto di circostanze che esulano dalla sua volontà e contro cui lui non potrebbe in alcun modo intervenire. La sua intera vita è dedicata a perseguire l’obiettivo di un’ipotetica “guarigione”, che è ovviamente irraggiungibile.
Dottor S psicanalista di Zeno, è colui che lo esorta a scrivere le sue memorie per poter poi intraprendere un percorso di analisi che gli consenta di guarire dai suoi molti malesseri. Quando Zeno decide di interrompere la terapia, il Dottor S. sceglie – venendo meno a uno dei principi basilari della deontologia professionale – di pubblicare le sue memorie per vendetta, con l’esplicito intento di indurlo a ritornare sui suoi passi e ricominciare a farsi curare, dato che «Sembrava tanto curioso di se stesso! Se sapesse quante sorprese potrebbero risultargli dal commento delle tante verità e bugie ch’egli ha qui accumulato…»
Augusta Malfenti moglie di Zeno. È una donna pratica, solida, estranea alle inquietudini e alle nevrosi che attanagliano invece il marito. Rappresenta la figura della donna borghese per eccellenza, attenta al rispetto delle regole e consapevole sia dei propri limiti (primo tra tutti, la non eccezionale bellezza fisica) che dei propri pregi. Augusta sa di essere meno bella delle sue sorelle, ma sa anche di essere una brava madre e un’ottima moglie per Zeno, che inizialmente avrebbe voluto sposare sua sorella Ada ma che non avrebbe mai avuto, con lei, la stabilità che Augusta è invece capace di dargli. Per molti aspetti la figura di Augusta ricorda più quella di una madre che di una moglie, e infatti Zeno la ama di un amore sostanzialmente filiale, non passionale, e le è grato soprattutto per il ruolo solido e rassicurante che svolge nella sua esistenza.
Ada Malfenti cognata di Zeno. A differenza di sua sorella Augusta è una donna affascinante, carismatica, consapevole delle proprie doti e caratterizzata da sentimenti e passioni forti e contrastanti. Rifiuta la proposta di matrimonio di Zeno, ritenendolo inferiore a lei, e si lascia invece conquistare dal fascino di Guido Speier, che appare come un uomo più coraggioso e più attraente. Si pentirà poi della sua scelta, e reagirà a questa delusione accusando Zeno di essere la causa del fallimento professionale di Guido, della sua infelicità, del suo suicidio
Guido Speier cognato di Zeno, è una sorta di suo doppio, vicino a lui per età e status sociale ma completamente diverso per temperamento e carattere. Se Zeno è insicuro, fragile, modesto, Guido è elegante, bello, carismatico, capace di affascinare tutti coloro che lo circondano grazie alla sua eloquenza e alle sue maniere raffinate. Le sue doti non hanno però alcuna attrattiva agli occhi di Zeno, che non lo stima e lo considera anzi un uomo vanesio, privo di vera intelligenza, sventato e incapace di affrontare le difficoltà derivanti dalle sue scelte imprudenti. Dopo il matrimonio con Ada Guido decide di dedicarsi al commercio, dimostrandosi però del tutto incapace di gestire la società che ha fondato insieme a Zeno e portandola al fallimento, nonostante i tentativi di aiuto del cognato. Guido reagisce malissimo alla prospettiva della bancarotta e, per uscire da quella situazione, decide di inscenare un suicidio. Sbaglierà, però, le dosi di sonnifero e finirà per uccidersi veramente, contro la sua volontà.
Carla Gerco amante di Zeno. È una donna modesta, poverissima ma molto bella, a cui Zeno inizialmente si avvicina spinto anche da un certo desiderio di aiuto e protezione. Nel corso del tempo, parallelamente all’approfondirsi della sua relazione con Zeno, Carla si trasforma in una donna sempre più decisa e ambiziosa, arrivando infine a lasciare il suo amante per sposare il proprio maestro di canto, presentatole dallo stesso Zeno.
Trama in sintesi
Il romanzo si apre con una breve premessa firmata dal Dottor S., lo psicanalista di Zeno, che introduce quello che sarà il contenuto del libro. Quelli che seguono, spiega il Dottor S., sono gli appunti autobiografici che lui stesso ha chiesto a Zeno di scrivere, sperando che l’autobiografia si rivelasse per lui una buona premessa per cominciare un percorso vero e proprio di psicanalisi. Zeno, però, qualche tempo dopo aver cominciato a scrivere le sue memorie e a farle leggere al dottore, ha deciso di interrompere la cura, dichiarando di non avere alcuna fiducia nelle teorie freudiane e di disprezzare il suo terapeuta. Quest’ultimo, per vendetta, ha pubblicato quindi le sue memorie, sperando in questo modo di convincere il suo ex paziente a riprendere la cura. A questa premessa seguono gli appunti di Zeno, suddivisi in varie sezioni:
Il fumo: Zeno analizza la storia della sua propensione al fumo, vizio che – a suo modo di vedere – è la vera causa di tutti i suoi malesseri e i suoi disturbi. Zeno racconta la sua storia di tabagista dipingendosi come vittima di un vizio più forte di lui: dichiara, infatti, di aver tentato in ogni modo di liberarsi delle sigarette, sottomettendosi a qualsiasi tipo di terapia e arrivando anche a farsi ricoverare in una clinica specializzata nella guarigione delle dipendenze, senza mai riuscirci a causa di sfortunate circostanze esterne, sempre diverse e sempre indipendenti dalla sua volontà. A dimostrazione della sua buona fede, Zeno spiega di aver deciso infinite volte di fumare la sua “ultima sigaretta”, senza però mai riuscire, dopo averla fumata, a evitare di accenderne altre. In questo modo, ultima sigaretta dopo ultima sigaretta, Zeno ha fumato per tutta la vita, sempre convinto che il successivo tentativo di smettere sarebbe stato quello definitivo. Il rapporto di Zeno con il fumo è emblematico della sua condizione psicologica e del suo approccio alla vita in generale: il protagonista del romanzo, infatti, vive in una situazione di continua contraddizione tra ciò che fa concretamente e ciò che dichiara di desiderare, e quando questa contraddizione si fa troppo evidente – come nel caso del desiderio di smettere di fumare – inventa scuse e pretesti che gli consentano di giustificarsi agli occhi propri e degli altri.
La scomparsa di mio padre: Zeno ripercorre gli ultimi giorni di vita del padre, che muore dopo una breve malattia che lo condanna però a un’agonia straziante. Ricordando questo episodio Zeno ha l’occasione di tracciare un ritratto del padre, che non sarà per nulla lusinghiero: nelle parole del figlio, infatti, il padre appare come un uomo gretto, ignorante, meschino, del tutto privo di meriti, indegno di considerazione o di tenerezza. È evidente che tra padre e figlio non corre alcuna stima reciproca, e il conflitto tra i due uomini è perfettamente esemplificato dall’ultimo gesto che il padre morente compie nei confronti del figlio: un istante prima di spirare, quando ormai è al limite delle forze, l’uomo malato dà al figlio uno schiaffo, che Zeno ricorda come un trauma anche a molti anni di distanza e che resta come perfetto emblema del loro rapporto.
La storia del mio matrimonio: dopo la scomparsa del padre, Zeno decide che è arrivato per lui il momento di sposarsi e comincia quindi a frequentare la casa di Giovanni Malfenti, un commerciante triestino con quattro figlie. Determinato a sposare una di loro Zeno chiede in moglie la maggiore, Ada, che è la più bella e affascinante ma che lo rifiuta bruscamente, dichiarando che non potrebbe mai amare un uomo come lui e suggerendogli piuttosto di proporsi a sua sorella Augusta, che forse potrebbe accettarlo. Zeno, offeso, dichiara allora il suo amore a un’altra delle sorelle, Alberta, ma quando anche quest’ultima respinge le sue proposte l’uomo, confuso dal secondo rifiuto e temendo di restare solo, si ritrova quasi suo malgrado a proporre ad Augusta di sposarlo. Lei, a differenza delle sorelle, accetta l’offerta anche se sa che il futuro marito non la ama, dichiarando «Voi, Zeno, avete bisogno di una donna che voglia vivere per voi e vi assista. Io voglio essere quella donna» e proponendosi, quindi, come una sorta di nuova figura materna capace di accudire un uomo che, da solo, non sarebbe in grado di affrontare l’esistenza. Il matrimonio sarà fonte di grandissima soddisfazione sia per Zeno, che troverà in Augusta esattamente la donna di cui ha bisogno, che per lei e la sua famiglia, che da tempo cercavano di indurre Zeno a chiedere in moglie proprio lei, tra tutte le sorelle.
La moglie e l’amante: dopo il matrimonio con Augusta, Zeno cerca per qualche tempo di adeguarsi all’immagine di “patriarca” che la sua nuova condizione di uomo sposato gli imporrebbe. I suoi tentativi, però, naufragano presto, e l’uomo si trova a intrecciare una relazione con Carla Gerco, una ragazza giovane, povera e molto bella presentatagli da un amico. Inizialmente Zeno è convinto di poter aiutare Carla, che ha qualche dote musicale, a diventare una vera cantante pagandole delle lezioni di musica, ma i propositi filantropici lasciano presto posto a una vera e propria relazione extraconiugale. Zeno non rimpiange mai il suo matrimonio con Augusta, e per mettere a tacere i suoi rimorsi immagina spesso di troncare la relazione con Carla o di confessare alla moglie il tradimento chiedendole perdono, ma questi propositi – esattamente come quello di abbandonare il vizio del fumo – gli servono solo per auto-giustificarsi ai suoi stessi occhi. La relazione con Carla continua, infatti, fino a quando non è la ragazza a decidere di rompere i suoi rapporti con Zeno, sposando infine il suo maestro di musica.
Storia di un’associazione commerciale: dopo il matrimonio con Augusta, Zeno si fa coinvolgere dal cognato Guido Speier – che nel frattempo ha sposato Ada, generando in Zeno un inconfessato desiderio di rivalsa – in un’attività commerciale che ha appena avviato. Guido si dimostra subito del tutto incapace di gestire i suoi affari, e Zeno cerca in qualche modo di aiutarlo con consigli e suggerimenti prudenti, che però il cognato non accetta, preferendo iniziare a giocare in borsa nella speranza di guadagnare abbastanza da ricoprire le perdite che ha subito. Il piano, però, fallisce presto: dopo aver sperperato in modo irrespnsabile il suo patrimonio e aver tradito Ada – che nel frattempo si è ammalata, perdendo la sua bellezza giovanile, e che è arrivata a disprezzare apertamente il marito – Guido si trova sull’orlo della bancarotta. Per cercare di ripagare almeno alcuni dei suoi debiti avrebbe bisogno dei soldi della dote di Ada, che però lei non vuole dargli, certa com’è che il marito finirebbe per perdere anche quelli condannando lei e i loro figli alla povertà. Per farle cambiare idea e dimostrarle la sua disperazione, Guido sceglie di inscenare un suicidio, ma finisce per avvelenarsi veramente – sottilmente istigato da Zeno – e muore. A questo punto, dopo aver trionfato sul rivale, Zeno cerca di aiutare la vedova e, giocando in borsa, riesce a ripagare quasi tutte le perdite subite, ma mentre è impegnato in quest’attività finisce per dimenticare il funerale del cognato. Arriverà in ritardo, quindi, alla cerimonia e si renderà conto solo dopo aver accompagnato la bara al cimitero di aver seguito in realtà il corteo funebre sbagliato. Quest’ultimo “errore” non fa che testimoniare, in realtà, l’inconscia felicità di Zeno per il fallimento esistenziale e professionale del suo vecchio rivale in amore.
Psico-analisi: in quest’ultima parte, le memorie di Zeno si trasformano in una sorta di diario in cui l’autore annota gli eventi che vive nel presente. Le memorie del passato sono quindi sostituite da una serie di appunti in cui Zeno descrive la situazione in cui vive e in cui dichiara apertamente il suo disprezzo per la psicanalisi, che ai suoi occhi si rivela come uno strumento puerile se confrontato con le tragedie a cui va incontro l’umanità, ormai sprofondata nella prima guerra mondiale. Il racconto di Zeno si conclude con una serie di accuse rivolte al Dottor S. e con una sorta di oscura profezia in cui il protagonista dichiara che su ogni uomo pesa un destino di distruzione da cui non si può sfuggire, che accomuna sani e malati e che è in qualche misura l’unica risposta possibile all’eterno terrore della malattia che ha accompagnato da sempre la vita di Zeno. Non esistono né salute né salvezza, conclude Zeno: l’umanità è irrimediabilmente corrotta e destinata a un’inevitabile apocalisse.
Temi e analisi
La coscienza di Zeno affronta moltissime tematiche che sono centrali nell’immaginario letterario e culturale dei primi anni del Novecento, profondamente segnato dalla diffusione della psicanalisi. L’elemento più ricorrente che emerge dalle memorie di Zeno, infatti, è il continuo meccanismo di mistificazione che il protagonista mette in atto: ognuna delle sue scelte, ognuna delle sue azioni, ha cause che Zeno finge di non conoscere e che nasconde sotto molteplici strati di giustificazioni e di auto-inganni, ma che sono in realtà perfettamente chiare al lettore.
Questo doppio binario che separa ciò che Zeno dichiara di volere e ciò che vuole davvero è particolarmente evidente in episodi come quelli legati alle sue molteplici “ultime sigarette” o al suo rapporto ambiguo con Carla, ma traspare anche nelle scene più apparentemente estranee a questa dinamica. In questo senso, è emblematica la scena della triplice domanda di matrimonio rivolta da Zeno prima ad Ada, poi ad Alberta e infine ad Augusta: dalle parole di Zeno appare chiaro da subito che, in realtà, lui inconsciamente vuole essere rifiutato dalle due sorelle più carismatiche e vitali, consapevole com’è di essere a loro inferiore, e trova invece rassicurante la figura materna di Augusta. È lei la donna che Zeno vuole davvero al suo fianco, ma non lo ammette a se stesso e preferisce proporsi prima alle altre sorelle, sicuro di essere rifiutato, per poter poi dire di essere stato costretto dalle circostanze a sposare Augusta, e non le sue sorelle più belle e affascinanti.
La mistificazione è anche alla base del rapporto di Zeno con Guido: quest’ultimo resta per tutta la vita suo rivale, anche quando apparentemente i due diventano amici e colleghi. La scelta di Zeno di aiutare Guido a gestire i suoi affari sembra dettata da bontà e disinteresse, nonché dal desiderio di evitare a lui e alla sua famiglia i guai che, data l’incompetenza di Guido, sono inevitabili: per il lettore è però evidente da subito che il vero motivo per cui Zeno aiuta il cognato è il suo desiderio di assistere da vicino al fallimento dell’attività commerciale e, di conseguenza, del suo matrimonio con Ada. Quando infine il cognato muore, Zeno rifiuta inconsciamente di partecipare al suo funerale, sostenendo di aver sbagliato corteo funebre per distrazione. Questo errore, commesso senza reale consapevolezza, testimonia una volta di più il suo disprezzo per Guido e il suo desiderio di avere la meglio su di lui.
Un altro tema molto innovativo introdotto da Svevo nella Coscienza di Zeno è quello del rapporto con la malattia, questi elementi ricorrono infatti in modo ossessivo in tutto il romanzo, e Zeno si dichiara da subito non solo inguaribilmente malato, ma anche perfettamente consapevole delle ragioni psicologiche della sua malattia. Sa, insomma, che i suoi mali non hanno ragioni organiche ma nascono da “difetti della volontà”, ma questa consapevolezza – che pure è straordinariamente moderna e segna un passo avanti rispetto alle altre figure di “inetti inconsapevoli” che popolano la letteratura degli inizi del Novecento – non gli è di nessun aiuto. Zeno è e resta malato, e anche se dice di soffrire per questo in realtà non ha alcun reale desiderio di guarire, e il suo trionfo finale non sta nell’aver sconfitto la malattia ma nell’aver capito che tutti, al mondo, sono malati quanto lui, e che quindi non ha senso aspirare a trovare una soluzione o una cura. La malattia di cui lui soffre, sostiene Zeno, è una malattia universale, causata dal progresso umano, e la sola guarigione possibile passa attraverso una catastrofe (provocata dall’uomo stesso, che si servirà probabilmente di una bomba ad altissimo potenziale) che porterà all’estinzione dell’uomo e, con essa, di tutti i suoi mali.
Molti elementi presenti nel romanzo hanno spinto i critici a interrogarsi sulla natura autobiografica o meno della Coscienza di Zeno. La vita di Svevo richiama infatti, per molti aspetti, quella del suo personaggio: i due hanno la stessa età, vivono nella stessa città, si muovono nello stesso ambiente sociale. Svolgono un lavoro simile, nell’ambito del commercio, ed entrambi trovano un importante punto di riferimento esistenziale nella famiglia delle rispettive mogli (Svevo si dedicherà per tutta la vita alla gestione e all’amministrazione dell’azienda fondata dal suocero: quella dello scrittore sarà sempre un’attività marginale, per lui). Entrambi hanno interessi artistici (nel caso di Zeno, nel campo della musica, nel caso di Svevo in quello della letteratura) ed entrambi sono attratti dalle dottrine psicanalitiche, che approfondiscono in teoria e poi sperimentano in prima persona. Gli elementi di contatto tra Svevo e il suo personaggio sono, quindi, significativi, ma nonostante questo sarebbe un errore considerare La coscienza di Zeno un’opera autobiografica: come dirà lo stesso Svevo in una lettera a Montale, il romanzo «e un’autobiografia, ma non è la mia» e, durante il periodo di elaborazione del libro «quand’ero lasciato solo cercavo di convincermi d’essere io stesso Zeno. Camminavo come lui, come lui fumavo e cacciavo nel mio passato tutte le sue avventure che possono somigliare alle mie solo perché la rievocazione di una propria avventura è una ricostruzione che facilmente diventa una costruzione nuova». Anche in questo caso ci troviamo di fronte a uno straordinario gioco di specchi in cui realtà e finzione si mescolano e si scambiano, proprio come avviene nelle parole di Zeno che racconta il suo passato contaminandolo con il presente e con le sue considerazioni successive a proposito dei fatti narrati. Ogni elemento reale è confuso tra una tale mole di dati immaginari che risulta impossibile separare in modo definitivo gli elementi autobiografici da quelli finzionali, proprio come risulta impossibile, per Zeno, capire quando delle sue azioni sia stato dettato dalla sua volontà e quanto da desideri occulti e pulsioni inconsce.
Citazioni significative
L’ossessione continua che anima le pagine del diario di Zeno è quella relativa alla malattia: il protagonista è infatti convinto di essere gravemente malato, da sempre, e accusa questa presunta malattia della sua incapacità di vivere nel mondo. Avvicinandosi alla psicanalisi, Zeno pensa di aver trovato finalmente la scienza capace di spiegargli la causa dei suoi dolori e di risolverli, ma anche questa convinzione si rivelerà illusoria: Zeno infatti non vuole realmente guarire, perché non saprebbe immaginare la sua vita al di fuori del circolo dei suoi malesseri e delle sue nevrosi:
«La malattia è una convinzione e io nacqui con quella convinzione». «La salute non analizza se stessa e neppure si guarda allo specchio. Solo noi malati sappiamo qualche cosa di noi stessi».
Il vizio del fumo, e gli auto-inganni che Zeno costruisce per liberarsene, sono l’emblema della sua condizione esistenziale di inetto. L’incapacità di portare a termine il proposito di smettere di fumare corrisponde alla sua incapacità di portare a termine qualsiasi piano o progetto relativo alla sua vita, lasciando ogni azione in sospeso per non doversi poi fare carico delle sue necessarie conseguenze:
«Sul frontespizio di un vocabolario trovo questa mia registrazione fatta con bella scrittura e qualche ornato: “Oggi, 2 Febbraio 1886, passo dagli studii di legge a quelli di chimica. Ultima sigaretta!!” Era un’ultima sigaretta molto importante. Ricordo tutte le speranze che l’accompagnarono. M’ero arrabbiato col diritto canonico che mi pareva tanto lontano dalla vita e correvo alla scienza ch’è la vita stessa, benché ridotta in un matraccio. Quell’ultima sigaretta significava proprio il desiderio di attività (anche manuale) e di sereno pensiero sobrio e sodo. Per sfuggire alla catena delle combinazioni del carbonio cui non credevo ritornai alla legge. Purtroppo! Fu un errore e fu anch’esso registrato da un’ultima sigaretta di cui trovo la data registrata su di un libro. […] Adesso che son qui, ad analizzarmi, sono colto da un dubbio: che io forse abbia amato tanto la sigaretta per poter riversare su di essa la colpa della mia incapacità? Chissà se cessando di fumare io sarei divenuto l’uomo ideale e forte che m’aspettavo? Forse fu tale dubbio che mi legò al mio vizio perché è un modo comodo di vivere quello di credersi grande di una grandezza latente. Io avanzo tale ipotesi per spiegare la mia debolezza giovanile, ma senza una decisa convinzione. Adesso che sono vecchio e che nessuno esige qualche cosa da me, passo tuttavia da sigaretta a proposito, e da proposito a sigaretta.»
Nell’incipit della sezione La moglie e l’amante Zeno ripensa alla figura di sua moglie Augusta mettendo in luce tutti gli elementi che la rendono diversa da lui. Zeno vede in Augusta la negazione di tutti i suoi vizi: se, infatti, lui è un uomo insicuro e fragile, eternamente malato e angosciato dalle circostanze della vita, lei è una donna solida e rassicurante, capace di vivere ancorata alla realtà delle cose e di essere sempre certa di quali siano i gesti giusti e le scelte opportune. Nei primi giorni del loro matrimonio Zeno è affascinato dalla “salute” che è, per lui, la dote fondamentale della moglie, e per qualche tempo è convinto di potersi far contagiare da quella salute semplicemente entrando a far parte dell’universo della moglie e trasformandosi in un patriarca, come erano stati suo padre e suo suocero prima di lui. Solo a posteriori, scrivendo le sue memorie, Zeno si rende conto che anche la presunta salute di Augusta era in realtà una malattia e che la vita della moglie nasconde tutte le contraddizioni e i vizi propri dell’esistenza borghese e benpensante. Questa constatazione, però, è formulata da Zeno solo per giustificare le sue successive scelte, tra cui quella di tradire la moglie stringendo una relazione con la sua amante Carla.
«Nella mia vita ci furono varii periodo in cui credetti di essere avviato alla salute e alla felicità. Mai però tale fede fu tanto forte come nel tempo in cui durò il mio viaggio di nozze eppoi qualche settimana dopo il mio ritorno a casa. […] Non so se dopo o prima dell’affetto, nel mio animo di formò una speranza, la grande speranza di poter finire col somigliare ad Augusta ch’era la salute personificata. Durante il fidanzamento in non avevo neppur intravista quella salute, perché tutto immerso a studiare me in primo luogo, eppoi Ada a e Guido. La lampada a petrolio in quel salotto non era mai arrivata a illuminare gli scarsi capelli di Augusta. […] Compresi finalmente che cosa fosse la perfetta salute umana quando indovinai che il presente per lei era una verità tangibile in cui si poteva segregarsi e starci caldi. […] Essa sapeva tutte le cose che fanno disperare, ma in mano sua queste cose cambiavano natura. Se anche la terra girava non occorreva mica avere il mal di mare! Tutt’altro! La terra girava, ma tutte le altre cose restavano al loro posto. E queste cose immobili avevano un’importanza enorme: l’anello di matrimonio, tutte le gemme e i vestiti, il verde, il nero, quello da passeggio che andava in armadio quando si arrivava a casa e quello di sera che in nessun caso si avrebbe potuto indossare di giorno, né quando io non m’adattavo di mettermi in marsina. E le ore dei pasti erano tenute rigidamente e anche quelle del sonno. Esistevano, quelle ore, e si trovavano sempre al loro posto. […] Io sto analizzando la sua salute, ma non ci riesco perché m’accorgo che, analizzandola, la converto in malattia. E, scrivendone, comincio a dubitare se quella salute non avesse mai avuto bisogno di cura o d’istruzione per guarire. Ma vivendole accanto per tanti anni, mai ebbi tale dubbio. […] Stavo collaborando alla costruzione di una famiglia patriarcale e diventavo io stesso il patriarca che avevo odiato e che ora m’appariva quale il segnacolo della salute.»
Uno degli elementi più innovativi del romanzo, soprattutto considerando il periodo in cui è stato scritto il testo, è la prospettiva da cui viene affrontato il tema della psicanalisi. Il diario di Zeno infatti è una sorta di esposizione in forma letteraria di moltissime delle teorie psicanalitiche di Freud, da quelle relative al conflitto tra padre e figlio maschio per la conquista della madre (di cui Zeno soffre e che è alla base delle sue difficoltà di relazione con il padre e del suo desiderio inconscio di sposare proprio Augusta, immagine di donna-madre, e non le sue sorelle) a quelle relative alla demonizzazione dell’analista quando formula diagnosi contro cui il paziente solleva resistenze. Nella parte finale del romanzo, Zeno accusa il suo medico di essere un incompetente e dichiara a gran voce il suo definitivo rifiuto della psicanalisi, dato che per guarire davvero non serve a nulla analizzare il proprio passato. L’unica cosa da fare è accettare l’insensatezza del mondo e l’inevitabilità della malattia, aspettando senza farsi illusioni l’apocalisse che porterà alla fine dell’umanità, e con lei di tutti i suoi mali.
«L’ho finita con la psico-analisi. Dopo averla praticata assiduamente per sei mesi interi sto peggio di prima. […] Tanto fiduciosamente m’ero abbandonato al dottore che quando egli mi disse ch’ero guarito, gli credetti con fede intera e invece non credetti ai miei dolori che tuttavia m’assalivano. Dicevo loro: “Non siete mica voi!”. Ma adesso non v’è dubbio! Son proprio loro! Le ossa delle mie gambe si sono convertite in lische vibranti che ledono la carne e i muscoli. Ma di ciò non m’importerebbe gran fatto e non è questa la ragione per cui lascio la cura. Se le ore di raccoglimento presso il dottore, avessero continuato ad essere interessanti apportatrici di sorprese e di emozioni, non lo avrei abbandonate o, per abbandonarle, avrei atteso la fine della guerra che m’impedisce ogni altra attività. Ma ora che sapevo tutto, cioè che non si trattava d’altro che di una sciocca illusione, un trucco buono per commuovere qualche vecchia donna isterica, come potevo sopportare la compagnia di quell’uomo ridicolo?[…] Naturalmente io non sono un ingenuo e scuso il dottore di vedere nella vita stessa una manifestazione di malattia. La vita somiglia un poco alla malattia come procede per crisi e lisi ed ha i giornalieri miglioramenti e peggioramenti. […]L’uomo s’è messo al posto degli alberi e delle bestie ed ha inquinata l’aria, ha impedito il libero spazio. Può avvenire di peggio. […] Qualunque sforzo di darci la salute è vano. Questa non può appartenere che alla bestia che conosce un solo progresso, quello del proprio organismo. Allorché la rondinella comprese che per essa non c’era altra possibile vita fuori dall’emigrazione, essa ingrossò il muscolo che muove le sue ali e che divenne la parte più considerevole del suo organismo. La talpa s’interrò e tutto il corpo si conformò al suo bisogno. Il cavallo s’ingrandì e trasformò il suo piede. Di alcuni animali non sappiamo il progresso, ma ci sarà stato e non avrà mai leso la loro salute. Ma l’occhialuto uomo, invece, inventa gli ordigni fuori del suo corpo e se c’è stata salute e nobiltà in chi li inventò, quasi sempre manca in chi li usa. Gli ordigni si comprano, si vendono e si rubano e l’uomo diventa sempre più furbo e più debole. Anzi si capisce che la sua furbizia cresce in proporzione della sua debolezza. […] Ed è l’ordigno che crea la malattia con l’abbandono della legge che fu su tutta la terra la creatrice. La legge del più forte sparì e perdemmo la selezione salutare. Altro che psico-analisi ci vorrebbe: sotto la legge del possessore del maggior numero di ordigni prospereranno malattie e ammalati. Forse traverso una catastrofe inaudita prodotta dagli ordigni ritorneremo alla salute. Quando i gas velenosi non basteranno più, un uomo fatto come tutti gli altri, nel segreto di una stanza di questo mondo, inventerà un esplosivo incomparabile, in confronto al quale gli esplosivi attualmente esistenti saranno considerati quasi innocui giocattoli. Ed un altro uomo fatto anche lui come tutti gli altri, ma degli altri un po’ più ammalato, ruberà tale esplosivo e s’arrampicherà al centro della terra per porlo nel punto ove il suo effetto potrà essere il massimo. Ci sarà un’esplosione enorme che nessuno udrà e la terra ritornata alla forma di nebulosa errerà nei cieli priva di parassiti e di malattie.»