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Giovanni Verga è l’esponente più significativo del movimento letterario italiano del verismo e il suo romanzo I Malavoglia, pubblicato a Milano nel 1881, è uno degli esempi più riusciti di narrativa verista, particolarmente efficace nel descrivere in modo realistico, crudo ed esplicito uno spaccato di società facendo emergere tutti i suoi punti oscuri e le sue contraddizioni.
Il romanzo racconta le vicende di una famiglia di pescatori siciliani e si rifà al modello degli autori naturalisti francesi le cui opere, a fine Ottocento, si stavano diffondendo anche in Italia, suscitando polemiche e grandissimo interesse da parte di scrittori, letterati e semplici lettori. Il più famoso di questi autori era Émile Zola, che aveva dedicato gran parte della sua esistenza alla stesura di un enorme ciclo di romanzi che si proponeva di descrivere la realtà sociale della Francia del suo tempo attraverso il racconto delle vicende dei vari membri della famiglia Rougon-Macquart. Nei suoi romanzi, Zola descrive la vita dei diversi componenti della famiglia – che appartengono ad ambienti sociali molto diversi, da quelli più umili a quelli più elevati – per dimostrare come le tare ereditarie si trasmettano inesorabilmente da una generazione all’altra e come tutti siano segnati, fin dalla nascita, dal loro appartenere a una certa stirpe.
Verga conosce e condivide le teorie letterarie dei naturalisti francesi – che apprezza soprattutto per la loro attenzione al realismo di ciò che raccontano – ma nella sua opera sceglie di rielaborarle sia dal punto di vista formale che da quello dei contenuti. Esito delle sue riflessioni teoriche è un progetto letterario molto ambizioso: quello di scrivere un ciclo di romanzi (il cosiddetto Ciclo dei vinti) i cui protagonisti, pur vivendo in contesti sociali differenti, siano tutti accomunati dall’essere degli sconfitti: uomini e donne che hanno dovuto combattere per la sopravvivenza e che non sono riusciti a trionfare. Lo scopo di un’opera tanto ambiziosa non era, come per Zola, tracciare un quadro complessivo della società contemporanea seguendo le vicende e le ramificazioni di un unico ceppo familiare, ma dimostrare che la società è, a tutti i livelli, segnata dalla violenza, dalla sopraffazione, dal desiderio di migliorare la propria condizione a scapito del prossimo, e che tale realtà conduce inevitabilmente alla rovina, dato che nessuno può sottrarsi a questo eterno gioco in cui tutti sono allo stesso tempo vittime e carnefici. Verga stesso, nella sua prefazione ai Malavoglia, dice esplicitamente che tutti i protagonisti dei suoi romanzi – indipendentemente dalla ricchezza, dalla cultura, dal genio e dal ceto sociale – sono tutti «vinti che la corrente ha deposti sulla riva dopo averli travolti e annegati», condannati dall’ambizione e dall’avidità a un’esistenza di violenza e di sofferenza che si conclude con un’inesorabile sconfitta.
Il primo romanzo che compone il ciclo, I Malavoglia, racconta appunto la storia della lotta per la sopravvivenza di una famiglia di umili pescatori, membri dello strato più umile e debole della società, che deve combattere anche per soddisfare i bisogni primari; il romanzo successivo, Mastro don Gesualdo, descrive invece l’ambiente della piccola borghesia, rappresentata da un uomo – don Gesualdo, appunto – che ha ottenuto a fatica una piccola ricchezza e che passa tutta la vita a combattere per conservarla e aumentarla, odiato da tutti coloro che lo circondano e ossessionato dal terrore di perdere la sua “roba”. Il ciclo avrebbe dovuto essere completato da altri tre romanzi, che avrebbero dovuto toccare l’ambiente dell’aristocrazia (La Duchessa di Leyra), quello della politica (L’Onorevole Scipioni) e infine quello dell’arte (L’uomo di lusso), ma Verga non portò mai a termine il suo progetto, che rimase quindi limitato solo ai primi due romanzi e a un abbozzo del primo capitolo del terzo.
Nel raccontare queste storie, l’autore non vuole giudicare i suoi personaggi né proporre una lettura moralista delle loro vicende: il suo unico scopo è raccontare la vita di uomini e donne diversi per mostrare ai suoi lettori che cos’è realmente l’animo umano. Nella conclusione della Prefazione ai Malavoglia, Verga scrive infatti chiaramente che chi osserva lo spettacolo della lotta per la vita dei vari personaggi «non ha il diritto di giudicarlo», ma deve anzi «trarsi un istante fuori dal campo della lotta per studiarla senza passione, e rendere la scena nettamente, coi colori adatti, tale da dare la rappresentazione della realtà com’è stata, o come avrebbe dovuto essere». Sono, questi, i presupposti teorici a cui fa riferimento tutta la narrativa verista, che si propone appunto di fotografare la verità della condizione umana raccontando storie vere, concrete, tratte dalla realtà, non per comunicare al lettore un insegnamento o una morale ma solo per metterlo di fronte alla cruda verità delle cose, descritta nel modo più oggettivo possibile.
Ambientazione e contesto
La vicenda si svolge nel piccolo paese siciliano di Aci Trezza, in cui vive da molte generazioni la famiglia dei Toscano, ironicamente soprannominati dai compaesani “Malavoglia” per la loro dedizione al lavoro. Il paese rappresenta una sorta di microcosmo isolato, del tutto estraneo al progresso e alla modernità, in cui tutti si conoscono e si giudicano a vicenda e in cui le tradizioni e la saggezza popolare – simboleggiata dai ricorrenti proverbi e modi di dire di cui tutti i personaggi si servono – sono il vero collante della società. Il mondo di Aci Trezza è quindi un mondo rurale, arcaico, segnato da una mentalità ristretta e chiusa, che si trova però a dover fare i conti con l’irrompere della modernità e del progresso, con tutte le loro contraddizioni, che arrivano a turbare la solida compattezza di quella società tradizionalista e conservatrice.
La storia, infatti, è ambientata negli anni immediatamente successivi all’unità d’Italia, in un periodo che va dal 1863 al 1878, e i cambiamenti legati a quel particolare momento storico portano il microcosmo in cui vivono i Malavoglia a implodere. L’adesione al nuovo stato unitario porta infatti nel paese alcuni piccoli elementi di modernità – rappresentati dal telefono, dal treno, dalle navi a vapore – che sono accolti con sospetto e paura dalla comunità e che contribuiranno a distruggerne il tessuto sociale, creando una spaccatura tra chi rifiuta tutto ciò che non appartiene alla tradizione e chi invece si lascia affascinare dalle novità, ma non ha i mezzi per approfittarne veramente e si troverà schiacciato da una modernizzazione ingovernabile e imposta dall’alto.
L’unità d’Italia impone, inoltre, ai sudditi del nuovo regno di sottomettersi a norme sconosciute al tempo dei Borbone, prima tra tutte quella della leva obbligatoria (che, nel romanzo di Verga, è l’elemento che innescare la lunga serie di sventure che si abbattono sulla famiglia dei Malavoglia). Questa innovazione contribuisce in modo determinante a cambiare gli equilibri secolari su cui poggiava la vita della comunità: la leva, infatti, non solo sottrae alle famiglie i componenti più giovani e più attivi, ma soprattutto mette in crisi l’idea della famiglia patriarcale come unico nucleo produttivo della società. Grazie alla coscrizione obbligatoria i ragazzi escono dai confini della comunità e vengono a contatto con un ambiente diverso da quello in cui sono cresciuti, cosa che modifica per sempre la loro visione del mondo e li allontana dall’universo conservatore e tradizionalista a cui appartengono le loro famiglie.
Personaggi principali
Una delle caratteristiche essenziali dei personaggi dei Malavoglia è il loro comparire sulla pagina senza essere stati introdotti da una presentazione che contestualizzi le loro figure, racconti il loro passato o descriva i loro caratteri e i loro sentimenti. Tutto ciò che il lettore sa di loro deve essere dedotto dalle azioni, che mano a mano che la storia procede riescono a delineare con precisione le loro caratteristiche, le loro debolezze e le loro virtù. Questa scelta risponde a una precisa volontà di Verga, che vuole cancellare dal suo romanzo la presenza del narratore “onnisciente”, che sa tutto dei suoi personaggi, ne conosce i pensieri, la storia e le emozioni. Il narratore, nei Malavoglia, è invece interno al racconto: è una sorta di voce anonima che potrebbe essere quella di uno qualunque degli abitanti di Aci Trezza, quindi di qualcuno che conosce da sempre la famiglia dei Malavoglia e che non ha bisogno di soffermarsi a descrivere il passato o le abitudini dei suoi componenti. Questo elemento fa sì che, riferendosi ai Malavoglia, si parli spesso di “romanzo corale”: nella storia, infatti, intervengono moltissimi personaggi, che rappresentano il punto di vista della comunità di Aci Trezza, nel suo complesso, che guarda, commenta, giudica il destino dei protagonisti del racconto.
Padron ‘Ntoni è il vecchio capo della famiglia Malavoglia. Lavora per tutta la vita come pescatore e, nonostante la semplicità del suo modo di vedere il mondo, a suo modo è un uomo saggio, che segue le tradizioni e che ripete spesso vecchi proverbi popolari, che lo guidano quando deve prendere decisioni importanti. Rappresenta il mondo arcaico, guidato da buoni principi ma incapace di adeguarsi alle innovazioni e alla modernità, e infatti il suo personaggio è uno dei più tragici dell’intero romanzo. Padron ‘Ntoni, infatti, è costretto ad assistere, impotente, alla lenta distruzione di tutto ciò che ha costruito nel corso della vita, alla disgregazione della sua stessa famiglia, segnata da una serie di lutti e di disgrazie, e alla perdita delle pochissime ricchezze che possedeva (la barca Provvidenza, che fa naufragio condannando alla fame la famiglia di pescatori, e la casa di famiglia, che deve essere venduta per saldare i debiti).
Bastianazzo figlio di Padron ‘Ntoni, scompare nei primi capitoli del romanzo, naufragando sulla nave di famiglia. Rappresenta l’immagine dell’uomo taciturno e mite, dedito alla famiglia e al lavoro e abituato a rispettare in tutto la volontà del capofamiglia, che rappresenta per lui un’autorità suprema. La sorte si accanisce su di lui facendolo morire proprio mentre sta lavorando in mare, trasportando per ordine del padre un carico di lupini.
La Longa moglie di Bastianazzo, il suo vero nome è Maruzza. È molto legata alla famiglia, al marito, ai figli, e fa tutto il possibile per restare fedele al suo ruolo di moglie e di madre nonostante le avversità che si abbattono sulla sua famiglia (prima tra tutte, la scomparsa del marito). Dopo aver accettato ogni privazione e ogni perdita viene colpita dal colera.
‘Ntoni figlio maggiore di Bastianazzo e della Longa, è un ragazzo mite e silenzioso, come suo padre, ma meno dedito al lavoro, più pigro ed egoista, incapace di sottostare alle norme sociali con la stessa rassegnazione di Bastianazzo. All’inizio del racconto abbandona Aci Trezza perché viene chiamato alle armi, ma quando la scomparsa del padre lo costringe a ritornare al paese si accorge di non riuscire a reinserirsi nella vita della sua comunità, da cui si sente ormai escluso e che percepisce come estranea. Decide quindi di abbandonare il paese, diventando contrabbandiere, e finisce poi in carcere, dopo aver ucciso una guardia doganale. Rappresenta la figura del giovane inquieto, che non si accontenta di adeguarsi alla tradizione e che non vuole rassegnarsi alla crudeltà del destino che si accanisce contro la sua famiglia, ma che non dispone dei mezzi materiali né di quelli psicologici per poter cambiare le cose. ‘Ntoni non è un vero e proprio ribelle, perché in lui non c’è un reale desiderio di distruggere il mondo da cui proviene, ma anzi appare come la vera “vittima” di tutto il romanzo: non riesce a sentirsi a suo agio in nessuno degli ambienti in cui si trova a vivere e finisce per mettersi nei guai con le sue stesse mani, condannandosi a un destino di perenne infelicità.
Luca figlio di Bastianazzo e della Longa, tra tutti i figli è quello che assomiglia di più al padre, con cui, a differenza di ‘Ntoni, condivide la dedizione al lavoro e alla famiglia e il rispetto per la tradizione. Scompare prematuramente combattendo nelle fila dell’esercito italiano durante la battaglia di Lissa: anche lui, come Bastianazzo, perde la vita mentre svolge il suo dovere rispettando volontà impostegli dall’alto, a cui lui si sottomette passivamente.
Mena figlia di Bastianazzo e della Longa, è una ragazza mite che non si ribella alle avversità della sorte e accetta ogni disgrazia passivamente, incapace di reagire se non con la rassegnazione. Ama da sempre compare Alfio, un ragazzo povero e mite, ma accetterebbe di sposare un altro uomo, scelto dal nonno, se questo fosse utile a contribuire a migliorare le condizioni economiche della famiglia. Quando, però, anche questo matrimonio viene annullato e i due innamorati potrebbero infine sposarsi, è proprio Mena a decidere di rinunciare ad Alfio, per non coinvolgerlo nel “disonore” della sua famiglia. Rappresenta la figura della donna legata al rispetto del decoro, delle norme sociali, che non si ribella alla sorte ma che accetta tutto quello che accade con rassegnata passività.
Lia figlia minore di Bastianazzo e della Longa, è descritta come una ragazza un po’ sciocca, incapace di accettare il suo destino di povertà, che soffre moltissimo per le privazioni a cui la costringono le disgrazie della famiglia. In paese è considerata una ragazza di facili costumi, cosa che attira su di lei le critiche della società e che getta su tutta la famiglia l’ombra del “disonore”. Quando la sua reputazione agli occhi dei compaesani risulta definitivamente compromessa, Lia decide di scappare da Aci Trezza e trova lavoro in un bordello di Catania, trasformandosi in prostituta.
Alessi ultimo figlio di Bastianazzo e della Longa, è l’unico dei nipoti a restare ad Aci Trezza dopo la partenza di ‘Ntoni. È da sempre molto affezionato al nonno e al mondo tradizionale che rappresenta, e il suo unico desiderio è quello di ricostruire la famiglia distrutta, ricomprando la casa del nespolo e continuando il mestiere di pescatore che ha imparato da bambino. È una figura quasi angelica, capace di accettare con pazienza ogni affronto della sorte e di cercare di trovare soluzioni alle infinite difficoltà della famiglia. Insieme a sua moglie Nunziata (donna mite, laboriosa, sottomessa) rappresenta la speranza della ricostruzione della famiglia e del ritorno a un ordine basato sulla tradizione
Trama in sintesi
Il romanzo si apre con una breve introduzione dell’autore, che illustra brevemente il piano complessivo del Ciclo dei vinti e spiega le ragioni dell’opera. In questa prefazione, Verga sottolinea che i protagonisti dei Malavoglia sono personaggi umili, appartenenti al livello più basso della scala sociale, ma che in loro si avvertono già “la vaga bramosia dell’ignoto” e “l’accorgersi che non si sta bene, o che si potrebbe stare meglio” che sono alla base di ogni catastrofe. In loro si riproduce, su piccola scala, il meccanismo di lotta per la sopravvivenza e l’ascesa sociale che sarà comune a tutti i protagonisti dei vari romanzi che comporranno il Ciclo dei vinti.
Capitoli I-IV: la vicenda dei Malavoglia si apre nel dicembre del 1863, con la chiamata alle armi di ‘Ntoni, il maggiore dei nipoti di padron ‘Ntoni. La partenza del ragazzo ha conseguenze tragiche per la famiglia: senza il suo lavoro, infatti, l’attività di pesca svolta dai Malavoglia sulla barca Provvidenza va in crisi, costringendo quella che fino a quel momento era stata una famiglia povera ma “relativamente felice” ad affrontare le prime difficoltà economiche. Per provare a guadagnare qualche soldo, Padron ‘Ntoni decide quindi di organizzare un piccolo commercio: acquista a credito da un usuraio, zio Crocifisso, un carico di lupini, contando di rivenderli e guadagnare abbastanza da saldare il suo debito e mettere da parte qualcosa per la famiglia. I lupini vengono caricati sulla Provvidenza, ma durante il trasporto la barca naufraga e Bastianazzo, che era a bordo, scompare. La famiglia perde quindi in un solo colpo sia il suo componente più forte e valido che la barca. I Malavoglia si trovano quindi a dover affrontare – oltre al dolore per questa perdita tragica e imprevista e alla perdita della loro unica fonte di sostentamento – anche le pretese di zio Crocifisso, che minaccia di sfrattarli dalla casa in cui abitano, “la casa del nespolo”, se non salderanno in tempo il loro debito. Tutti i membri della famiglia cominciano quindi a lavorare febbrilmente per onorare i loro impegni con lo strozzino, anche per ragioni di orgoglio e per salvaguardare l’onorabilità della famiglia.
Capitoli V-X: ‘Ntoni torna dal servizio militare e la carcassa della barca Provvidenza viene recuperata dal mare: i Malavoglia sperano, quindi, di poter superare il momento di difficoltà, ripagare i loro debiti e riprendere una vita più tranquilla. Tutta la famiglia lavora per tentare di ripagare in tempo zio Crocifisso, ma ogni sforzo risulta inutile e la casa viene infine pignorata. Inoltre, una serie di nuove disgrazie si abbatte sui Malavoglia: il figlio minore Luca deve a sua volta partire per il servizio militare, e perde la vita combattendo contro gli austriaci nella battaglia di Lissa. Questa tragedia fa saltare il matrimonio d’interesse, faticosamente combinato, tra Mena e il figlio di un proprietario terriero del paese, mentre poco dopo la barca Provvidenza, appena riparata e rimessa in mare, naufraga nuovamente, portando Padron ‘Ntoni a un passo dalla scomparsa. Infine, fiaccata da questa serie di disgrazie, anche la Longa si ammala di colera e scompare. Sul letto, la donna raccomanda al figlio ‘Ntoni di avere cura dei fratelli, ma il ragazzo dopo essere tornato dal servizio militare non riesce più ad accettare la vita del paese. Il lavoro gli pesa, e trova insopportabile dover faticare tanto solo per ripagare il debito contratto dal nonno con zio Crocifisso. Decide, quindi, di lasciare il paese per provare a fare fortuna in città, coltivando la speranza di arricchirsi con poca fatica e di tornare ad Aci Trezza ricco e rispettato da tutti, capovolgendo le sorti della famiglia.
Capitoli XI-XV: Padron ‘Ntoni, a seguito della partenza del nipote, rimane solo con il piccolo Alessi e le sue sorelle. Il nipote lo aiuta come può a continuare l’attività di pesca, ma è troppo giovane per portare avanti da solo un lavoro tanto faticoso, cosa che costringe infine il nonno a vendere la Provvidenza. Tutti i membri superstiti della famiglia continuano quindi a lavorare duramente, a giornata, coltivando l’ambizione di poter prima o poi riscattare la casa del nespolo, cosa che è particolarmente difficile da sopportare per la più giovane delle ragazze, Lia. Il tentativo di ‘Ntoni di far fortuna lontano dal paese, intanto, fallisce, e il ragazzo torna a casa ancora più povero e scontento di quando è partito: incapace di accettare l’autorità, i consigli e le critiche del nonno si trasferisce a vivere nell’osteria del paese ed entra nel giro del contrabbando locale, dandosi a una vita di illegalità e alcolismo. Nel corso di una retata, ‘Ntoni accoltella don Michele, guardia doganale con cui il ragazzo aveva già avuto contrasti per motivi sentimentali. Nel corso del processo ‘Ntoni si difende dicendo di aver ucciso don Michele per vendicare l’onore offeso di sua sorella Lia, che l’uomo corteggiava: grazie a questa scusa ‘Ntoni riesce a ottenere una condanna mite per l’omicidio che ha commesso, ma la ragazza viene universalmente considerata disonorata. Lia decide quindi di scappare da Aci Trezza e si trasferisce a Catania, dove trova lavoro in un bordello. A questo punto gli unici Malavoglia rimasti in paese sono Mena e Alessi, che accudiscono come possono Padron ‘Ntoni, sempre più vecchio e stanco, fiaccato dalla lunga serie di disgrazie che hanno colpito la famiglia e in particolare dalla vergogna per il destino di Lia. Il vecchio capofamiglia scompare qualche tempo dopo in ospedale, dove chiede di essere ricoverato per non pesare sui nipoti che, intanto, continuano a lavorare con l’obiettivo di poter infine riscattare una volta per tutte la casa del nespolo. Mena, Alessi e sua moglie Nunziata riescono, dopo anni di duro lavoro, a pagare tutti i debiti della famiglia e a ritornare a casa. Lì, riceveranno infine la vista che conclude il romanzo, quella di ‘Ntoni che, una volta uscito di prigione, torna a casa irriconoscibile sia nel fisico che nello spirito. Dopo aver trascorso una notte nella vecchia casa di famiglia, però, l’uomo capisce di non poter più far parte di quel mondo e decide di andarsene per sempre, lasciandosi alle spalle tutto quel che rimane della sua vecchia vita, che resta affidata solo alle figure di Alessi e Nunziata e dei loro figli, unici depositari del nome e del destino della famiglia.
Temi e analisi
Nei Malavoglia Verga mette in pratica due dei principi teorici che sono alla base della sua poetica: quello dell’adesione al reale e quello dell’eclisse dello scrittore.
Da una serie di testi teorici e di lettere scritte dallo stesso Verga sappiamo, infatti, che l’autore siciliano era convinto che la letteratura avesse senso solo quando riusciva a raccontare la realtà descrivendo fatti e personaggi che potessero apparire al lettore come reali e credibili. Solo quando aderisce alla realtà, infatti, un romanzo può avere “l’efficacia dell’essere stato”, caratteristica fondamentale per dire qualcosa di significativo sulla società e sul tempo che racconta. La vicinanza alla realtà, però, per Verga non è sufficiente: i fatti descritti devono essere realistici, ma devono anche essere raccontati in modo che il lettore non percepisca, dietro la narrazione, la presenza della voce dell’autore che giudica, commenta e spiega quello che succede, mettendo sempre al primo posto il proprio punto di vista. L’opera, secondo Verga, deve sembrare “essersi fatta da sé”: solo così colui che la leggerà verrà messo “faccia a faccia col fatto nudo e schietto” e non avrà l’impressione di sentire un racconto di fatti, ma di assistere a fatti che si svolgono sotto i suoi occhi e che quindi possono realmente coinvolgerlo e toccarlo.
Questa scelta di Verga segna una vera e propria rivoluzione nella narrativa italiana, in cui il ruolo del narratore era sempre stato particolarmente rilevante, come dimostra – ad esempio – un romanzo come I promessi sposi. Nell’opera di Manzoni la voce del narratore onnisciente interviene continuamente nel racconto dei fatti per spiegare quello che i personaggi sentono, immaginano, provano, per esprimere il proprio punto di vista a proposito di quanto avviene nell’intreccio, per spiegare o precisare fatti, per esprimere giudizi morali. Nei Malavoglia, invece, Verga si muove nella direzione opposta: lo scrittore scomparee si immedesima in tutto e per tutto nel punto di vista dei personaggi che descrive, “vedendo le cose coi loro occhi ed esprimendole con le loro parole”, come se lui stesso fosse uno di loro e condividesse con loro condizione sociale e visione del mondo.
Questa scelta di immedesimazione, però, non porta Verga ad assumere un punto di vista “populista”o paternalista nei confronti del popolo, cosa che accade spesso nei romanzi ottocenteschi che si propongono di raccontare la vita degli strati più umili della società: nei Malavoglia l’autore non vuole provocare nel lettore un moto di pietà al pensiero delle disgrazie dei personaggi, né denunciare le piaghe che affliggono la parte più povera della popolazione in vista di una qualche rivendicazione o promessa di futuro riscatto. Il popolo non è visto né come portatore di valori positivi e “genuini” né come insieme di persone per cui provare compassione o pena: al contrario, il punto di vista “interno” consente a Verga di mostrare come la lotta per la sopravvivenza sia talmente brutale da costringere tutti a rinunciare alla generosità, all’altruismo, al disinteresse facendo prevalere la parte più crudele ed egoista di se stessi. Verga non vuole scrivere un romanzo che sia “dalla parte del popolo” ma un romanzo in cui il popolo parli in prima persona,anche se questo significa far emergere tutti gli aspetti più negativi, gretti e crudeli che lo animano.
L’opera di Verga è segnata, quindi, da un grande e inesauribile pessimismo: come dice l’autore stesso nella prefazione dei Malavoglia, non c’è una classe sociale che sia migliore di un’altra, e il mondo arcaico della civiltà dei contadini e dei pescatori in fondo è retto dalle stesse norme che sono alla base del mondo moderno, cittadino e progredito: interesse economico, egoismo, sopraffazione dei più deboli, ricerca del profitto a ogni costo. La storia dell’umanità, dice Verga, è la storia di un’infinita rincorsa al progresso, al successo, al miglioramento della propria condizione, e questa tensione «è grandiosa nel suo risultato, visto nell’insieme, da lontano». Quando però si passa a osservare le cose nel dettaglio, fermandosi a considerare le vite dei singoli individui, ci si rende conto che «il risultato umanitario copre quanto c’è di meschino negli interessi particolari che lo producono» e che mentre l’umanità nel complesso procede, si lascia indietro una lunga scia di «vinti che levano le braccia disperate, e piegano il capo sotto il piede brutale dei sopravvegnenti, i vincitori d’oggi, affrettati anch’essi, avidi anch’essi di arrivare, e che saranno sorpassati domani». Queste affermazioni rendono perfettamente conto di quella che è la visione verghiana del progresso, della storia e della società: una sorta di infinita catena di sopraffazioni in cui tutti combattono contro tutti e in cui ogni vittoria è solo temporanea, dato che anche coloro che sembrano trionfare oggi sono in realtà destinati ad essere sorpassati dai “vincitori di domani”.