Indice
Il barone rampante è probabilmente il romanzo breve più famoso di Italo Calvino. È stato pubblicato nel 1957 ed è il secondo capitolo della trilogia I nostri antenati, che comprende anche Il visconte dimezzato e Il cavaliere inesistente, pubblicati rispettivamente nel 1952 e nel 1959. Con questo ciclo di romanzi Calvino abbandona definitivamente la prima fase della sua produzione – più realista e legata in particolare ai temi della contemporaneità, della Resistenza contro il nazi-fascismo (Il sentiero dei nidi di ragno), della vita popolare (Ultimo viene il corvo) – per dedicarsi a racconti di impianto decisamente fantastico.
Questa scelta nasce dal desiderio dell’autore di trovare nuove strade per parlare della realtà, che non viene più raccontata tramite la descrizione di personaggi realistici e di situazioni verosimili bensì attraverso storie che, proprio perché sono fantastiche, sono capaci di mettere in luce con particolare efficacia alcuni aspetti dell’animo umano e alcune sfaccettature dei rapporti tra le persone.
Attraverso i tre romanzi della trilogia, Calvino si propone di descrivere tre diversi modi di realizzarsi come esseri umani: nel Visconte dimezzato attraverso la ricerca della completezza al di là delle mutilazioni imposte dalla società, nel Cavaliere inesistente attraverso la conquista dell’essere (inteso come qualcosa di non scontato, qualcosa di cui bisogna appropriarsi) e nel Barone rampante attraverso l’aspirazione a una vita che si svolga fuori dagli schemi senza per questo essere individualistica, ribelle in modo sterile. Una vita possibile solo per uomini capaci di essere sempre fedeli a se stessi, alla propria autodisciplina e ai propri desideri.
Le storie presentate in questi tre racconti descrivono tre diversi modi di intendere la libertà e, come spiega Calvino in una delle sue presentazioni ai testi, costituiscono una sorta di «albero genealogico degli antenati dell’uomo contemporaneo, in cui ogni volto cela qualche tratto delle persone che ci sono intorno, di voi, di me stesso».
Ambientazione e contesto
La vicenda si svolge a Ombrosa, un immaginario paese della Liguria, vicino al mare; inizia il 15 giugno 1767, quando il protagonista ha dodici anni, e si conclude con la sua scomparsa, che avviene nel 1820. Il periodo storico è, quindi, quello che va dalla fine del Settecento all’inizio dell’Ottocento, epoca segnata da grandi scoperte e da una serie di rivoluzioni non solo tecnologiche ma anche sociali e politiche (basti pensare all’illuminismo e alla Rivoluzione francese). Calvino ha scritto di essersi lasciato ispirare, per l’ambientazione e il contesto storico in cui si svolge la vicenda, da vari studi sugli illuministi e i giacobini italiani di quell’epoca, e di essere affascinato dal Settecento, “secolo di eccentrici”, che a suo parere era il contesto ideale per una storia fantastica e piena di personaggi bizzarri come questa.
Personaggi principali
Cosimo Piovasco di Rondò: protagonista del romanzo, figlio primogenito di una nobile famiglia italiana ormai sull’orlo della decadenza. All’inizio della vicenda narrata ha dodici anni, e si presenta da subito come un ragazzino testardo, determinato, astuto ma anche profondamente generoso, coraggioso, di animo buono. Nel corso della storia, dopo la scomparsa del padre, eredita il titolo di barone senza per questo rinunciare mai alla disciplina che si è autoimposto da ragazzo e che gli vieta di scendere dagli alberi su cui vive.
Biagio Piovasco di Rondò: fratello minore di Cosimo, all’inizio del romanzo ha otto anni. È molto legato al fratello, anche se ha un carattere meno irruento e determinato del suo ed è più ubbidiente e meno ribelle. È una sorta di comprimario di Cosimo e partecipa della vita e delle avventure del fratello pur restando saldamente ancorato a terra. Dopo la scomparsa di Cosimo si trasforma anche nel suo “biografo”: la voce narrante della vicenda, infatti, è proprio quella di Biagio che, ormai vecchio, annota in un quaderno le straordinarie avventure del barone e della sua vita sugli alberi.
Battista Piovasco di Rondò: sorella maggiore di Cosimo e Biagio, è una ragazza bruttina e dal carattere difficile. Dopo un fallimento sentimentale il padre vorrebbe chiuderla in convento, ma Battista si ribella a questo destino ed esprime tutto il suo disprezzo per coloro che la circondano in modo particolarissimo: approfittando delle sue doti di cuoca prepara per i suoi familiari piatti elaboratissimi, fatti però con ingredienti ripugnanti. Riuscirà infine a evitare di farsi rinchiudere in convento e sposerà un lontano parente della famiglia, il Contino d’Estomac.
Arminio Piovasco di Rondò: padre di Cosimo, Battista e Biagio. È un uomo buono, ma inesorabilmente legato a una mentalità ormai superata e retrograda. La ribellione del figlio lo coglie di sorpresa e rappresenta, per lui, un tradimento inaccettabile e un’offesa alla dignità che dovrebbe essere propria della famiglia. Nonostante la sua severità, il vecchio barone è un uomo sinceramente affezionato ai suoi figli, e anche se la scelta di Cosimo resterà sempre, per lui, qualcosa di inquietante e incomprensibile, alla sua scomparsa deciderà ugualmente di lasciare al figlio maggiore il suo titolo e i suoi averi. Dopo il funerale del vecchio barone, suo figlio Biagio osserva che «da mio padre eravamo sempre stati tutti distanti come Cosimo sugli alberi».
Corradina di Rondò (la Generalessa): madre di Cosimo, Battista e Biagio. È figlia di un generale prussiano – da cui ha ereditato i modi militareschi e la passione per le armi da fuoco e la guerra – ma nonostante il suo carattere rigido e bellicoso è la persona della famiglia a cui Cosimo è più legato. La Generalessa, nonostante i suoi modi bruschi, è una delle prime persone ad accettare la ribellione di Cosimo e, senza sforzarsi di giudicare o comprendere la scelta del figlio di vivere sugli alberi, si limita a fargli recapitare tramite Biagio oggetti di vita quotidiana di cui potrebbe avere bisogno, sorvegliando i suoi movimenti con un cannocchiale militare.
Abate Fauchelafleur: istitutore della famiglia Piovasco. Ha fama di persona colta, severa e rigorosa, ma in realtà è solo un vecchio stanco che in ogni ostacolo o difficoltà vede «il segno di una fatalità a cui non vale opporsi». Quando Cosimo, crescendo, si interesserà alle idee illuministe, sarà l’abate a procurargli i libri dei pensatori francesi e a commentarli insieme a lui, circostanza che lo condurrà all’arresto e alla reclusione in prigione e poi in un convento isolato.
Cavalier Avvocato Enea Silvio Carrega: amministratore delle terre dei Piovasco e confidente del padre di Cosimo, di cui è probabilmente un fratello illegittimo. È un personaggio dal passato oscuro, che in gioventù ha viaggiato in Oriente tornando a casa stanco, malato e quasi muto. Tutti lo rispettano, nonostante le sue stranezze, ma lo considerano pazzo, e solo dopo la sua fuga sugli alberi Cosimo scopre che in realtà il Cavalier Avvocato è un uomo pieno di talento tecnico, capace di occuparsi di un gran numero di questioni pratiche come l’apicoltura e l’idraulica. Lui e Cosimo diventano amici e, conoscendolo, il barone scopre «molte cose sullo star soli che poi nella vita gli servirono». Il Cavalier Avvocato muore mentre cerca di imbarcarsi su una nave di pirati turchi, desideroso di ritornare nel misterioso Oriente in cui ha vissuto da giovane.
Viola d’Ondariva: è la figlia dei vicini di casa di Cosimo, con cui la famiglia ha un’antica rivalità. Cosimo la incontra per la prima volta solo dopo aver preso la decisione di non mettere più piede a terra, spostandosi attraverso gli alberi che collegano i loro due cortili, e se ne innamora immediatamente. Sarà l’amore più grande (anche se non l’unico) della sua vita, nonostante il carattere volubile e l’egocentrismo di Viola, portavoce di una sensibilità già spiccatamente romantica.
Gian dei Brughi: capo di un gruppo di briganti. Cosimo lo aiuta a sfuggire alla cattura, lasciandolo rifugiare su un albero, e i due diventano amici. Cosimo gli presta i suoi libri, che il brigante legge nelle lunghe giornate di solitudine e che lo trasformeranno in un uomo straordinariamente colto, del tutto incapace di proseguire le sue attività illegali. Viene infine arrestato e condannato, e Cosimo gli resta vicino fino al momento dell’esecuzione.
Trama in sintesi
Durante un pranzo di famiglia il dodicenne Cosimo Piovasco, figlio maggiore del Barone di Rondò, si rifiuta di mangiare un piatto di lumache cucinato dalla sorella e, minacciato di punizioni e castighi, abbandona la tavola e sale sull’elce del cortile, dichiarando di non voler più scendere di lì. Inizialmente i familiari considerano il suo gesto un capriccio infantile e tentano di indurlo – con promesse o minacce – a tornare a terra, ma quell’atto di ribellione sarà per Cosimo l’inizio di una nuova vita, che sarà lunga e piena di incontri, amori, scoperte ed esperienze. Spostandosi di ramo in ramo il giovane barone arriva nel cortile dei vicini. Qui conosce Viola, ragazzina capricciosa ma affascinante di cui Cosimo si innamora immediatamente, pur senza capire subito i propri sentimenti. Viola è a capo di una banda di ragazzini dei dintorni, ladri di frutta, e quando Cosimo viene a sapere della loro esistenza vuole ad ogni costo conoscerli, superando la loro iniziale diffidenza e guadagnandosi nel tempo la loro stima. Sarà, questo, solo il primo di una lunga serie di incontri con persone di ogni classe sociale e provenienza, che Cosimo conoscerà dall’alto del suo rifugio tra i rami e con cui scambierà opinioni, informazioni e conoscenze. L’incontro più significativo sarà quello con il brigante Gian dei Brughi, che Cosimo aiuta a salvarsi dalla cattura facendolo salire sul proprio albero e depistando i suoi inseguitori. Per aiutare il brigante a far passare le lunghe ore di noia imposte dalla vita clandestina, Cosimo gli presta i suoi libri, trasformandolo in un criminale letterato. Quando Gian dei Brughi viene infine arrestato e condannato, Cosimo lo va a trovare alla finestra della prigione e gli confida il finale del romanzo che il brigante stava leggendo al momento dell’arresto, segnando in questo modo il suo definitivo congedo dalla vita e dalla letteratura.
Nel corso degli anni Cosimo assiste, dall’alto dei suoi alberi, alle guerre napoleoniche e all’arrivo di francesi, austriaci e russi. Conosce Napoleone in persona e, oltre a partecipare agli eventi bellici, si interessa anche alle idee illuministe portate in Italia dalla rivoluzione francese. Spinto dalla volontà di aiutare gli altri si sforza di migliorare – con suggerimenti e idee ingegnose – la vita della sua comunità, a cui sente di appartenere e da cui non si allontana mai, restando fedele alla promessa fatta a suo padre nel momento in cui quest’ultimo gli ha ceduto il titolo di barone, ovvero quella di «cercare d’essere più degno che posso del nome di uomo», e di conseguenza di tutti gli altri attributi che a quel nome possono essere aggiunti.
Alla fine della sua vita, quando ormai la vecchiaia, l’abbandono definitivo da parte di Viola (che scappa in Inghilterra temendo la guerra e l’arrivo in Italia dell’eco della Rivoluzione francese) e la disillusione causata dal fallimento degli ideali illuministici rendono la vita di Cosimo sempre più difficile, il barone comincia a dare qualche segno di squilibrio e di follia. Racconta a quelli che incontra storie sempre più incredibili ed assurde, mescolando con sempre minor consapevolezza realtà e fantasia, e si trasferisce a vivere sull’albero della piazza centrale del paese, terrorizzato alla prospettiva di restare solo.
Quando ormai Cosimo è vicino alla scomparsa – e già i suoi compaesani si affaccendano attorno all’albero reggendo un lenzuolo per far sì che il suo corpo, precipitando, non debba toccare la terra – una mongolfiera passa per caso sopra il paese e cala una fune a cui il barone, vecchio ma ancora determinato a non scendere al suolo, si aggrappa con tutte le sue forze. L’ultima immagine di lui è quella del suo ultimo volo, aggrappato all’ancora della mongolfiera, che precede la sua prevedibile caduta in mare, fedele fino all’ultimo al suo proposito infantile di “non scendere più” dagli alberi.
Temi e analisi
Citazioni significative
Incipit del romanzo, che descrive epoca e contesto del racconto. Le parole di Biagio descrivono la situazione in cui ha inizio la ribellione di Cosimo, che decide di lasciare la tavola familiare per salire sull’elce del cortile:
«Fu il 15 giugno del 1767 che Cosimo Piovasco di Rondò, mio fratello, sedette per l’ultima volta in mezzo a noi. Ricordo come se fosse oggi. Eravamo nella sala da pranzo della nostra villa d’Ombrosa, le finestre inquadravano i folti rami del grande elce del parco. Era mezzogiorno, e la nostra famiglia per vecchia tradizione sedeva a tavola a quell’ora. Tirava vento dal mare, ricordo, e si muovevano le foglie. Cosimo disse: – Ho detto che non voglio e non voglio! – e respinse il piatto di lumache. Mai s’era vista disubbidienza più grave. […] Cosimo salì fino alla forcella d’un grosso ramo dove poteva stare comodo, e si sedette lì, a gambe penzoloni, a braccia incrociate con le mani sotto le ascelle, la testa insaccata nelle spalle, il tricorno calzato sulla fronte. Nostro padre di sporse dal davanzale: – Quando sarai stanco di star lì cambierai idea! – gli gridò. – Non cambierò mai idea – fece mio fratello, dal ramo. – Ti farò vedere io, appena scendi! – E io non scenderò più! – E mantenne la parola».
L’isolamento di Cosimo e il suo rapporto con la famiglia e la società:
«Cosimo, con tutta la sua famosa fuga, viveva accosto a noi quasi come prima. Era un solitario che non sfuggiva la gente. Anzi si sarebbe detto che solo la gente gli stesse a cuore.»
«Cosimo si portò sempre dietro l’immagine stranita del Cavalier Avvocato, ad avvertimento di un modo come può diventare l’uomo che separa la sua sorte da quella degli altri, e riuscì a non somigliargli mai, riuscì, pur stando solo, a sentirsi sempre dalla parte del prossimo».
«Il lavoro umano aveva sempre interessato Cosimo, ma finora la sua vita sugli alberi, i suoi spostamenti e le sue cacce avevano sempre risposto a estri isolati e ingiustificati, come fosse un uccelletto. Ora invece lo prese il bisogno di fare qualcosa di utile al suo prossimo. E anche questa, a ben vedere, era una cosa che aveva imparato dalla sua frequentazione del brigante; il piacere di rendersi utile, di svolgere un servizio indispensabile per gli altri».
La follia di Cosimo:
«Che Cosimo fosse matto, a Ombrosa s’era detto sempre, fin da quando a dodici anni era salito sugli alberi rifiutandosi di scendere. Ma in seguito, come succede, questa sua follia era stata accettata da tutti, e non parlo solo della fissazione di vivere lassù, ma delle varie stranezze del suo carattere, e nessuno lo considerava altrimenti che un originale. Poi, cominciarono le amarezze: Viola che l’aveva ormai abbandonato per sempre, gli avvenimenti storici che l’avevano deluso, la Rivoluzione francese che invece di portare libertà e giustizia a tutti gli uomini s’era risolta nella conquista di Napoleone, e Napoleone anche lui andato a catafascio, tutte le speranze in un mondo migliore parevano perdute. Cosimo si mostrava sempre più melanconico, più chiuso, e prese a far stranezze più grosse di quante ne avesse fatte mai. Da allora, cominciò a correre la voce: – Il Barone è ammattito! – e i benpensanti soggiungevano: – Come può ammattire uno che è stato matto sempre?»
La scomparsa di Cosimo:
«Cosimo – principiai a dirgli – hai sessantacinque anni passati, come puoi continuare a star là in cima? Ormai quello che volevi dire l’hai detto, abbiamo capito, è stata una gran forza d’animo la tua, ce l’hai fatta, ora puoi scendere. Anche per chi ha passato tutta la vita in mare c’è un’età in cui si sbarca. Macchè. Fece di no con la mano. Non parlava quasi più. […] Certi aeronauti inglesi facevano esperienze di volo in mongolfiera sulla costa. […] La mongolfiera fu presa da una girata di libeccio; cominciò a correre nel vento vorticando come una trottola, e andava verso il mare. Gli aeronauti, senza perdersi d’animo, s’adoperavano a ridurre – credo – la pressione del pallone e nello stesso tempo srotolarono giù l’ancora per cercare d’afferrarsi a qualche appiglio. L’ancora volava argentea nel cielo appesa a una lunga fune. […] L’agonizzante Cosimo, nel momento in cui la fune dell’ancora gli passò vicino, spiccò un balzo di quelli che gli erano consueti nella sua gioventù, s’aggrappò alla corda, coi piedi sull’ancora e il corpo ancora raggomitolato, e così lo vedemmo volar via, trascinato nel vento, frenando appena la corsa del pallone, e sparire verso il mare”»