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Il Decameron di Giovanni Boccaccio è uno dei testi più importanti della letteratura italiana del Trecento, e viene unanimemente considerato come l’opera che ha dato inizio alla prosa in lingua volgare italiana, diventando un punto di riferimento irrinunciabile, a livello linguistico e contenutistico, per tutti gli autori di prosa dei secoli a venire. Boccaccio compose l’opera tra il 1348 e il 1353, e il suo testo ottenne subito un grandissimo successo, diffondendosi in breve tempo non soltanto tra i letterati e gli eruditi ma anche tra la nascente borghesia dell’epoca, nuova classe sociale formata da mercanti, commercianti, professionisti che consideravano la letteratura non come un mestiere, un’occupazione a tempo pieno, ma come un’occasione di evasione e di divertimento. Il Decameron si rivolge esplicitamente a questo tipo di pubblico: persone ricche, colte e raffinate che vogliono leggere storie avventurose e avvincenti, a volte anche con espliciti riferimenti erotici e burleschi, che siano capaci di essere allo stesso tempo eleganti e conformi ai canoni “cortesi” ma anche appassionanti e spiritose. I protagonisti positivi delle novelle raccolte da Boccaccio sono personaggi in cui i suoi lettori dell’epoca potevano facilmente identificarsi, provando per loro sentimenti di simpatia e partecipazione. Le loro caratteristiche fondamentali sono furbizia, intelligenza, coraggio, capacità di risolvere le situazioni difficili con prontezza di spirito e con osservazioni brillanti e argute: tutte qualità particolarmente apprezzate dal nuovo pubblico borghese a cui Boccaccio voleva rivolgersi con la sua opera. Per andare incontro ai gusti del pubblico, inoltre, Boccaccio decide di scrivere un’opera che raccoglie una serie di cento novelle suddivise in dieci “giornate” (il termine “decameron” significa letteralmente “di dieci giornate” e indica appunto l’arco temporale in cui si svolge la vicenda narrata): la scelta della forma della novella è particolarmente azzeccata perché consente all’autore di sentirsi libero da quei vincoli formali che, nel Trecento, regolavano ancora le forme letterarie ritenute più “alte”, come la poesia o il trattato filosofico di stampo erudito. Il racconto breve era invece un genere ancora poco codificato, che non doveva attenersi a regole precise e che poteva affrontare ogni tema, dai più elevati ai più licenziosi, con una libertà del tutto sconosciuta agli altri generi. Inoltre, la scelta di non scrivere un testo unico – con un intreccio unitario e un numero relativamente limitato di personaggi che agiscono in una trama complessa – ma di costruire un’opera che raccoglie molti racconti diversi e separati tra loro consente a Boccaccio di creare un testo molto duttile e vario, in cui storie più serie e a volte anche tragiche si alternano a vicende grottesche, comiche, ironiche, allusive. Grazie a questa scelta, il Decameron risulta un’opera straordinariamente articolata e multiforme, in cui personaggi, ambienti, azioni si modificano continuamente e in cui punti di vista, idee e valori sono in continuo mutamento. Questa pluralità di contenuti si riflette anche in una pluralità di stili e di forme: le novelle, infatti, sono molto diverse tra loro e si servono di mezzi espressivi differenti. Accanto a racconti più veloci e brillanti, costruiti magari attorno a un unico motto di spirito o a un singolo episodio buffo o comico, ce ne sono altri più descrittivi e meditativi, che attraverso il racconto di una vicenda particolare vogliono trasmettere un insegnamento o veicolare una morale; ci sono racconti che sviscerano la storia di un solo personaggio e altri che invece mettono a confronto figure diverse, ognuna delle quali rappresenta un preciso ambiente sociale o una particolare visione del mondo, oppure ancora racconti che hanno impianto decisamente teatrale e presentano vari personaggi, tutti coinvolti in un’unica azione di breve durata, fotografata nel suo svolgersi fulmineo e, spesso, caratterizzato da colpi di scena inaspettati o dalla capacità di uno o più dei personaggi coinvolti di risolvere in maniera brillante problemi complicati, riuscendo a modificare a proprio vantaggio una situazione apparentemente priva di vie d’uscita. Le varie novelle raccolte nel Decameron presentano, quindi, una galleria eccezionalmente articolata di personaggi, intrighi, storie e ambienti sociali diversi. Questo continuo variare di temi e di stili si inserisce però in un contesto che non è affatto caotico: i vari racconti non si susseguono infatti in modo casuale, ma sono suddivisi nelle diverse giornate, ognuna delle quali è fondata su un tema preciso, come Boccaccio spiega nell’introduzione ai racconti che fa da “cornice” all’intero testo. Grazie a questo artificio narrativo e retorico, Boccaccio riesce a costruire un’opera che è molto varia ma che non diventa mai disordinata: la voce del narratore, che introduce la situazione generale, riesce infatti a tracciare le coordinate entro cui si svolge la vicenda e ad avere, quindi, un proprio spazio preciso e definito. Grazie alla “cornice”, quindi, il narratore può agire nella storia ed esprimere chiaramente il proprio punto di vista, senza per questo diventare onnipresente e rubare spazio alle voci dei vari personaggi che intervengono sulla scena e che animano i diversi racconti. Questo mescolarsi di voci diverse all’interno della stessa opera è una delle caratteristiche linguistiche più peculiari e interessanti del Decameron: le differenze di classe sociale, ambiente, luogo di provenienza dei vari personaggi che intervengono nelle diverse novelle hanno infatti precisi riflessi anche a livello linguistico: se, infatti, il narratore si esprime in fiorentino illustre e letterario, servendosi spesso di frasi articolate e complesse, con molte subordinate, i suoi personaggi si esprimono di volta in volta servendosi di registri linguistici diversi, a seconda degli argomenti di cui parlano e del loro ambiente sociale di provenienza. Così può succedere che, accanto a novelle in cui il livello della prosa è molto sostenuto, ce ne siano altre in cui i personaggi dialogano tra loro con uno stile espressivo che richiama il parlato e si serve di frasi brevi e brillanti, spesso allusive e metaforiche, in cui compaiono anche termini popolari e dialettali, parole straniere, arcaismi, tecnicismi, doppi sensi, modi di dire, giochi di parole. Tutte queste circostanze spiegano il perché dell’enorme successo dell’opera di Boccaccio: il Decameron è infatti un testo per molti aspetti rivoluzionario, capace di racchiudere in una struttura efficace e innovativa una serie di tendenze che erano sempre più forti nel mondo Trecentesco, rivolgendosi a un pubblico sempre più desideroso di avvicinarsi a una letteratura che fosse allo stesso tempo raffinata ma anche alla portata di tutti, capace di farsi apprezzare senza per questo rinunciare alla qualità della forma e alla varietà dei contenuti.
Ambientazione e contesto
Nell’Introduzione alla I giornata, l’autore fornisce indicazioni molto precise a proposito del tempo e del luogo in cui si svolge la vicenda: le “dieci giornate” di cui si parla nel titolo sono infatti dieci giorni dell’anno 1348, anno in cui la città di Firenze viene funestata da un’epidemia di peste. L’autore spiega che, per salvarsi dal contagio e per sfuggire al degrado morale e sociale della città colpita dalla malattia, un gruppo di dieci giovani (7 fanciulle e 3 ragazzi) decide di rifugiarsi in una villa nella campagna toscana, che diventa per la compagnia di ragazzi una vera e propria oasi di pace, eleganza e raffinatezza, separata dal mondo circostante e dai suoi molti problemi. Durante il loro volontario esilio in campagna, i giovani si dedicano a tutte le attività proprie del mondo cortese: giocano, danzano, conversano piacevolmente davanti a lauti banchetti e infine decidono, per trascorrere le ore più calde della giornata, di raccontarsi delle novelle che siano divertenti, buffe o istruttive, a seconda della volontà dei narratori. L’ambientazione e l’epoca del racconto sono ovviamente molto importanti per contestualizzare le diverse novelle: i giovani che compongono la “brigata” dei narratori rappresentano infatti alla perfezione l’ipotetico pubblico dell’opera, composto da persone colte e ricche, capaci di inventare e di raccontare con buon gusto e intelligenza racconti che, pur essendo improvvisati, sono raffinati e divertenti, emblema di una precisa visione del mondo che è quella tipica del mondo cortese dell’epoca. I giovani che raccontano le varie novelle sono, inoltre, determinati a non rinunciare mai, neanche di fronte alla tragedia della peste incombente, all’eleganza e alla raffinatezza: per loro la narrazione è un vero e proprio scudo da sollevare contro il mondo e le sue brutture, contro le difficoltà della vita quotidiana, contro coloro che non sanno vivere con eleganza e raffinatezza. Ritirarsi al di fuori della città durante la peste significa trovare, nel panorama ridente della campagna toscana, descritto da Boccaccio in termini idilliaci, una sorta di rifugio al disgregarsi della vita sociale e delle sue regole, riproponendo in quella sorta di “isola” separata dal resto del mondo quelle norme di convivenza che sono state distrutte dalla violenza e dalla crudeltà della realtà. Se la cornice del racconto è contestualizzata in modo molto preciso, è invece impossibile definire un’ambientazione e un contesto comuni a tutte le novelle che, come abbiamo visto, toccano ambienti e luoghi sempre diversi. È possibile, però, stabilire delle coordinate spazio-temporali di massima: se è vero che ci sono, ad esempio, alcune novelle ambientate nel passato, o in mondi fantastici privi di connotazione precisa, è però altrettanto vero che la gran parte dei racconti è ambientata nel mondo contemporaneo a Boccaccio. Spesso quella che viene descritta nelle diverse novelle è la società borghese e mercantile dell’epoca, con i suoi vizi, le sue virtù e le sue abitudini. Allo stesso modo, ci sono racconti in cui viene dato grande spazio alla natura (in particolare, in vari racconti compare l’ambiente del mare, visto da Boccaccio come una metafora della vita, dato che quando naviga l’uomo deve sempre fare fronte agli imprevisti rivolgimenti della fortuna) ma la maggioranza dei racconti si svolge in contesto cittadino: molto spesso la città descritta è proprio Firenze, ma compaiono anche Bologna, Siena, Messina, Venezia e altri contesti urbani descritti in modo meno specifico.
Personaggi Principali
Il narratore: la voce del narratore, che può essere identificato con Boccaccio stesso, è molto riconoscibile all’intero dell’opera, tanto che il suo “personaggio”, che pure non agisce mai concretamente nel testo, risulta molto caratterizzato e definito, quasi fosse anche lui un attore della vicenda. Il narratore, infatti, introduce la situazione generale descrivendo la terribile situazione in cui si trova la città di Firenze nel momento in cui i protagonisti decidono di ritirarsi in campagna, e interviene poi lungo tutto il corso della narrazione, commentando il contenuto delle novelle raccontate dai personaggi e inserendo considerazioni e appunti personali. Il suo ruolo non è, quindi, solo quello di descrivere personaggi e situazioni, ma il suo personaggio interviene frequentemente nella storia, esprimendo a gran voce il suo parere su ciò che accade nel corso delle dieci giornate. I membri della brigata: i dieci giovani che compongono la brigata sono tutti identificati con un nome proprio, spesso di derivazione letteraria o mitologica: le 7 fanciulle si chiamano Fiammetta (richiamo al nome della donna amata da Boccaccio), Elissa (riferimento a Didone, personaggio dell’Eneide virgiliana), Lauretta (che porta il nome della donna amata da Petrarca), Emilia, Filomena, Neifile, Pampinea (nomi di personaggi mitologici, spesso riferibili al mondo della poesia e delle arti). I 3 giovani sono invece Dioneo, Panfilo e Filostrato, tre nomi che fanno tutti riferimento all’amore (argomento che è spesso al centro dei loro racconti). Le psicologie dei dieci personaggi non sono particolarmente caratterizzate (l’unico che spicca è Dioneo, che si caratterizza per la sua indole tendenzialmente maliziosa e che racconta spesso storie in cui ci sono espliciti riferimenti erotici), e i dieci personaggi sono in tutto e per tutto dieci rappresentanti del mondo borghese contemporaneo a Boccaccio, senza particolari connotazioni che li distinguono l’uno dall’altro. Anche per questo la loro vita alla villa è segnata da una grande armonia: i dieci ragazzi non hanno motivi di contrasto o di conflitto, perché sono tutti concordi nel condividere un comune orizzonte di valori e di convinzioni. I personaggi delle novelle: i personaggi delle novelle sono molto diversi tra loro, e diverso è il modo in cui le loro figure vengono raccontate dai vari narratori. In alcune novelle, infatti, i personaggi agiscono nella storia senza che venga raccontato nulla di loro, del loro passato, della loro psicologia e tutto quello che il lettore sa di loro viene dedotto dai gesti, dalle azioni, dalle parole e dalle scelte estemporanee che compiono. In altri casi, invece, l’intero racconto ruota attorno a un personaggio, di cui a volte viene raccontata in breve tutta la vita. Ci sono casi, poi, in cui i protagonisti delle novelle sono personaggi celebri, storici (Tancredi principe di Salerno, Agilulfo re dei Longobardi) o più vicini al mondo di Boccaccio stesso (il caso più celebre è quello della novella che ha per protagonista Guido Cavalcanti, poeta stilnovista amico di Dante). I personaggi possono essere umili o nobili, laici o uomini di chiesa, poveri o ricchi, ma pur nelle loro differenza sono accomunati da alcune caratteristiche che sono ricorrenti: la più importante delle quali è l’industriosità, la capacità di reagire alle avversità della vita e di non sopportarle in modo passivo, nel costante tentativo di migliorare la propria condizione e di trarre il meglio anche dalle situazioni meno favorevoli.
Trama in sintesi
L’opera si apre con una Prefazione in cui Boccaccio illustra gli intenti che l’hanno spinto a scrivere il Decameron e qual è il pubblico a cui l’opera è rivolta. In questa prefazione, l’autore dice esplicitamente di aver voluto scrivere un testo dedicato “a coloro che amano” e in particolare alle donne, che sono particolarmente sensibili ai temi del sentimento e che, non potendo dedicarsi ad attività al di fuori delle mura domestiche, possono trovare nella lettura uno svago e una consolazione per le loro difficoltà amorose. Questa dedica non vuole indicare che il libro non possa essere letto e apprezzato da un pubblico maschile, ma piuttosto sottolinea come l’intento dell’opera sia quello di rivolgersi a un pubblico di non specialisti, che legge per diletto e non per professione e che quindi cerca nei racconti uno svago e un divertimento. A questa prefazione segue l’Introduzione alla I giornata, in cui il narratore descrive la peste fiorentina del 1348 e spiega le ragioni che spingono la brigata dei novellatori a ritirarsi in campagna. In quest’introduzione viene contrapposto lo scenario tragico e caotico della vita cittadina a quello pacifico ed elegante della villa di campagna, in cui tutto si svolge secondo regole precise e in cui tutti i giovani conducono una vita regolata e appagante. Nell’introduzione viene anche illustrato il sistema che regolerà le varie giornate di narrazione: ogni giorno verrà scelto un “re” o una “regina” che dovrà scegliere il tema a cui tutti (tranne Dioneo, che essendo il più giovane gode del privilegio di poter parlare sempre dell’argomento che preferisce) dovranno attenersi nei loro racconti. L’introduzione è seguita dai primi dieci racconti, intervallati dagli interventi del narratore che introduce le novelle, le commenta, descrive le reazioni dei vari personaggi che le ascoltano. Alla fine del decimo racconto c’è una “conclusione” che riassume quanto è stato detto e contiene una “ballata” in versi cantata a turno da uno dei personaggi. Questa struttura si ripete identica per tutte le dieci giornate, che sono così organizzate: I) La regina Pampinea dichiara che «Libero sia ciascuno di quella materia ragionare che più gli sarà a grado»; II) La regina Filomena chiede di raccontare storie in cui i protagonisti, pur minacciati da avversità impreviste, sono riusciti a piegare la sorte a loro vantaggio; III) La regina Neifile chiede che si raccontino novelle in cui l’industriosità e la tenacia dei personaggi vengono premiate dal successo; IV) Il re Filostrato chiede che si raccontino storie di amori infelici; V) La regina Fiammetta sceglie, al contrario, il tema dell’amore travagliato che si sia però concluso con un lieto fine; VI) La regina Elissa chiede di raccontare storie in cui i personaggi, grazie alla loro prontezza di spirito e di parola, abbiano risolto a loro vantaggio situazioni sfavorevoli; VII) Il re Dioneo chiede di parlare degli inganni tessuti dalle donne a danno dei loro mariti; VIII) La regina Lauretta sceglie di parlare «di quelle beffe che tutto il giorno o donna ad uomo o uomo a donna o l’uno all’altro si fanno»; IX) La regina Emilia decide di lasciare liberi i novellatori di scegliere l’argomento che preferiscono; X) Il re Panfilo chiede che si raccontino storie in cui la cortesia abbia aiutato i personaggi a risolvere i loro problemi. Alcune delle novelle più celebri raccontate nelle varie giornate sono: Giornata I: Novella di Ser Cepparello: il protagonista è un notaio, ser Cepparello, che conduce una vita licenziosa, commettendo per anni e anni peccati di ogni genere. L’uomo è tanto astuto e retoricamente abile da riuscire a convincere il frate che lo confessa di aver sempre condotto un’esistenza esemplare, quasi da santo. Dopo la scomparsa del notaio il frate, in perfetta buona fede, loda pubblicamente le sue presunte virtù, tanto che l’uomo viene presto considerato da tutti un vero e proprio santo e comincia ad essere venerato dal popolo con il nome di “San Ciappelletto”. Giornata II: Novella di Andreuccio da Perugia: il protagonista è un giovane ingenuo che lascia il suo paese per la prima volta, diretto a Napoli per affari. Nella grande città viene coinvolto quasi senza rendersene conto in una serie di avventure illecite: viene derubato di tutti i suoi soldi da una giovane prostituta, si associa a due ladri che gli propongono di partecipare con loro al furto del corredo funebre di un arcivescovo appena scomparsa, rischia a sua volta cadendo in un pozzo e poi restando chiuso nel sarcofago del religioso, in cui si era introdotto per rubare. Alla fine però, contro ogni aspettativa, riesce a liberarsi dalla tomba del vescovo e a tornare a casa, per di più portando con sé un enorme rubino sottratto al cadavere del prelato. Giornata III: Novella di Masetto da Lamporecchio: Masetto è un contadino giovane e bello che, per sfuggire alla fatica del suo lavoro, decide di provare a farsi assumere come giardiniere presso un convento di monache. Per riuscire a ottenere il posto decide di farsi passare per muto, cosa che gli consente di avere libero accesso al luogo in cui vivono le religiose. Il giovane diventa presto amante di tutte e nove le monache e – dopo aver fatto sapere a tutti che quella del mutismo era solo una finzione e che lui è in realtà un uomo perfettamente sano e forte – trascorre tra quelle mura tutta la vita, finendo infine vecchio, ricco e felice. Giornata IV: Novella di Lisabetta da Messina: i fratelli della protagonista, Lisabetta, eliminano in segreto l’uomo di cui lei è innamorata, per salvare l’onore della famiglia. Il ragazzo scomparso compare però in sogno all’amata, e le rivela la verità spiegandole anche dove è seppellito il suo cadavere. La fanciulla, impotente e distrutta dal dolore, decide di prestare fede al sogno e riesce a trovare il cadavere, che però non può portare con sé: decide quindi di tagliargli la testa, in modo da avere almeno qualcosa che le ricordi il suo antico amore. Lisabetta seppellisce quindi la testa dell’amato in un vaso, in cui semina poi del basilico che innaffia ogni giorno con le sue lacrime. Quando i fratelli di Lisabetta scoprono ciò che la ragazza ha fatto temono che il loro delitto venga scoperto, e decidono quindi di rubarle il vaso per far sparire la prova del loro omicidio. Lisabetta, a quel punto, si lascia andare a forza di stenti e di dolore, incapace di accettare di perdere per la seconda volta l’uomo che ha amato. Giornata V: Novella di Federico degli Alberighi: Federigo degli Alberighi è un nobile fiorentino. Ama una bellissima dama, Monna Giovanna, che però non può ricambiare il suo sentimento perché è già sposata con un altro uomo. Nonostante questo il giovane Federigo spende tutti i suoi beni per lei, finché un giorno, rassegnato e ormai in miseria, decide di ritirarsi a vivere nell’ultima proprietà che gli è rimasta, dove si procura di che vivere grazie a un falcone da caccia. Quando il marito di Monna Giovanna muore la donna si ritira insieme al figlio, anch’esso molto malato, nella sua tenuta di campagna, che confina con quella del suo antico spasimante. Il figlio di Monna Giovanna fa amicizia con Federigo e si affeziona molto al suo falcone, tanto che si convince che solo se lo possedesse potrebbe finalmente guarire dalla sua malattia. Chiede quindi alla madre di poter avere l’animale, ma la donna non vuole domandare esplicitamente a Federigo di regalarle anche l’ultima delle sue ricchezze. Decide, allora, di farsi invitare a pranzo con una scusa, sperando di riuscire a indurre Federigo a regalarle il rapace. La richiesta di mangiare insieme spinge però l’uomo, che non sa cosa cucinare per la sua amata, a eliminare il falcone e a servirlo in tavola. Quando scopre il motivo della visita di Monna Giovanna, Federigo le rivela di aver sacrificato il suo animale pur di avere qualcosa da offrirle e si dispera, perché si rende conto di aver cancellato l’ultima speranza di salvezza per il ragazzino, che infatti poco dopo muore. Dopo qualche tempo Monna Giovanna decide di cercare un nuovo marito e, memore della passata generosità di Federigo, che aveva sacrificato l’ultima delle sue ricchezze pur di offrirle un pranzo degno di lei, accetta di sposarlo nonostante la sua estrema povertà. Giornata VI: Novella di Chichibio e delle grue: Chichibio è il cuoco di un ricco signore veneziano. Un giorno, durante una battuta di caccia, il nobile compisce una gru e la porta a casa, chiedendo a Chichibio di cucinarla e servirla a tavola. L’animale è così appetitoso che la ragazza di cui Chichibio è innamorato chiede al suo spasimante di regalargliene una coscia, e il cuoco acconsente, portando poi in tavola l’animale con una coscia sola. Quando il padrone si accorge che la sua preda è stata rovinata si infuria, ma Chichibio risponde dichiarando che le gru, per loro natura, hanno una sola zampa. Il giorno seguente, per provargli che non è così, il padrone porta il cuoco con sé a caccia. I due trovano un lago pieno di gru addormentate, ritte su una gamba sola, e Chichibio dichiara a gran voce di aver avuto ragione. Il padrone, a quel punto, comincia a urlare per svegliare gli animali, che subito volano via dimostrando di avere due zampe. Di fronte alle rimostranze del padrone, Chichibio risponde che, se avesse urlato a quel modo anche il giorno prima, di fronte alla gru cucinata, anche quella avrebbe estratto la gamba nascosta. La risposta arguta di Chichibio fa ridere il padrone, che si riconcilia infine con il suo cuoco. Giornata VII: Novella di Donna Peronella: Donna Peronella è sposata con un mercante di giare, che la lascia spesso sola a causa dei suoi commerci; ha anche un amante, Giannello, con cui si incontra spesso quando il marito non c’è. Un giorno il marito di Peronella torna a casa prima del tempo e rischia di sorprendere la moglie in compagnia dell’amante. La donna, però, non si perde d’animo di fronte a quell’imprevisto: fa nascondere Giannello in una grande giara in giardino e, quando il marito lo scopre, gli dice che l’uomo è un aspirante acquirente, che stava controllando le condizioni della giara prima di concludere l’affare. Giannello regge il gioco di Peronella e dice al marito che non comprerà l’orcio, perché guardando l’interno si è accorto che è troppo sporco. Il mercante si precipita quindi dentro la giara per pulirla, lasciando alla moglie e all’amante il tempo di avere un altro rapporto sessuale. Giornata VIII: Novelle di Bruno, Buffalmacco e Calandrino: i tre personaggi sono protagonisti di varie novelle, tutte accomunate dalle burle organizzate da Bruno e Buffalmacco ai danni di Calandrino, che è un uomo semplice e credulone che, convinto di essere in realtà furbo e acuto, si lascia regolarmente gabbare da loro. Giornata IX: Novella di Cecco Angiolieri: il protagonista è il giovane poeta Cecco Angiolieri che, insoddisfatto della vita noiosa che trascorre a Siena, decide di trasferirsi ad Ancona presso un cardinale suo amico. Il padre di Cecco, di solito molto avaro, consegna al figlio una grossa somma di denaro, in modo che il ragazzo possa fare bella figura nel nuovo ambiente in cui si inserirà, e una volta avutala il ragazzo parte alla volta di Siena assieme a un amico, Fortarrigo, che ufficialmente è al suo servizio come scudiero. Cecco sa che Fortarrigo ha il vizio del gioco d’azzardo, ma decide di fidarsi di lui e di portarlo ugualmente con sé: dopo pochi giorni, però, durante una tappa del loro viaggio Fortarrigo cede alla tentazione di giocare e, dopo aver perso tutti i suoi soldi, decide di rubare quelli del padrone, perdendo anche quelli. Quando Cecco scopre il furto si infuria e decide di liberarsi dell’amico e di proseguire il viaggio da solo, ma Fortarrigo non demorde e continua ugualmente a seguirlo. Quando si accorge di non riuscire a tenere il passo dell’amico, che possiede un cavallo più bello e veloce del suo, cerca di volgere la situazione a suo favore con l’astuzia: convince un gruppo di contadini che l’amico gli ha rubato tutto ciò che possedeva e loro, impietositi dalla sua disgrazia, lo aiutano a fermare Cecco e a spogliarlo di tutti i suoi beni. In questo modo Fortarrigo torna a Firenze arricchito, mentre Cecco è costretto a rinunciare al suo viaggio verso Ancona e a chiedere ospitalità ad alcuni parenti, non avendo il coraggio di tornare a Siena dal padre. Giornata X: Novella di Ghino di Tacco: Ghino di Tacco è un gentiluomo che, avendo perso tutti i suoi averi per ragioni politiche, decide di darsi al brigantaggio. Agisce però sempre con cortesia, e dopo aver spogliato i ricchi che incontra sul suo cammino li ospita per qualche tempo nel suo castello, lasciandoli poi andare senza usare mai violenza. Un giorno Ghino incontra l’abate di Clignì e lo rapisce, portandolo con sé al suo castello. Durante il periodo di detenzione del religioso, i due uomini hanno modo di conoscersi: Ghino racconta all’abate la storia delle disgrazie che l’hanno costretto a diventare un criminale e, quando scopre che il suo ospite ha molti problemi di salute, lo aiuta a guarire grazie alle sue conoscenze e alle sue cure. L’abate, una volta guarito e liberato, è ormai convinto che Ghino sia in realtà un gentiluomo costretto solo dalle circostanze a vivere nell’illegalità. Rivela quindi a papa Bonifacio VIII la verità a proposito della storia del brigante e il pontefice, commosso, decide di concedere all’uomo la grazia, di assolverlo da tutti i suoi peccati e di nominarlo Cavaliere dell’Ordine degli Ospedalieri.