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Raramente l’insegnante di italiano che “prende” una prima media e sceglie per questa sua classe uno o più testi di narrativa si prefigura un vero e proprio “percorso di lettura” nel triennio. É noto infatti che, per quanto riguarda la scelta dei testi di narrativa, di solito non si costruisce una programmazione specifica su scala triennale; d’altra parte è una scelta del tutto corretta, fatta soprattutto in funzione di favorire un certo gusto della lettura e di far “assaggiare” generi diversi al giovane lettore.
Tuttavia, se si deve credere all’interessante inchiesta condotta anni fa da Fernando Rotondo sulle adozioni del testo di narrativa, gli insegnanti seguono, in maggioranza, una sorta di “percorso di genere”: «In prima media prevalgono autori e titoli fantastico-favolistici, fiabe, leggende, opere di fantasia; la lettura si offre come stimolo all’immaginazione. […] In seconda media questa tendenza si attenua fin quasi a scomparire, cedendo il posto all’avventura […] In terza media dominano le opere “impegnate” sul piano storico, sociale, psicologico (l) ».
Gli insegnanti, quindi, sembrano tracciare, con le loro scelte, un percorso che va, più o meno, dall’asse del fantastico “puro” a quello del romanzo d’azione, in cui spesso il fantastico è temperato dal verosimile, all’asse del “letterario” come discorso sul reale. All’interno di questa tripartizione c’è poi di tutto: dai romanzi scritti appositamente per la scuola, di qualità più o meno buona, ai romanzi per ragazzi; dal “classico” più o meno ridotto e liberamente adattato al testo d’attualità (verrebbe quasi da chiamarlo instant book!) : tuttavia permane una sorta di percorso tematico, che sembra avere le sue radici in una implicita definizione di ciò che è più “adatto” rispettivamente a un ragazzo di 11-12 anni, a uno di 12-13 e a uno di 13-14.
Cerchiamo allora di delineare un possibile percorso di lettura tra i tanti: sono infatti personalmente convinta (e ho più volte argomentato in altre sedi questo mio punto di vista) che non è né opportuno né utile proporre agli allievi una sola “opera completa” all’anno (per usare l’espressione un po’ burocratica dei Programmi) e che, d’altra parte, la lettura “comune” dell’opera narrativa non deve “assorbire” tutto lo spazio della lettura “libera” (per la quale occorre pensare, anche all’interno dell’orario scolastico, a momenti specifici e individuali, sorretti da un minimo di risorse librarie). Dopo queste precisazioni, che fanno delle mie proposte una pura esemplificazione, intendo riprendere la riflessione su un possibile percorso di lettura proprio a partire dalla ratio sottesa alle scelte apparentemente casuali degli insegnanti.
I passaggi segreti dei pre adolescenti
La scelta degli insegnanti, così come è stata delineata nel paragrafo precedente, può essere letta non solo come basata su parametri “dal facile al difficile”, ma anche come centrata su un’idea, significativa anche se implicita, di evoluzione psicologica del ragazzo. É molto importante notare che, anche se abitualmente si parla di “adolescenza” a partire dai 14 anni, quindi in un’età più avanzata, nella realtà non vi è forse un periodo di cambiamento individuale così veloce e radicale come quello della scuola media: un cambiamento non solo fisico, con la maturazione sessuale, ma anche di atteggiamenti e comportamenti, da una parte, di modalità cognitive dall’altra (2). Non è certo questa la sede per soffermarmi sulle caratteristiche dei “passaggi” nell’adolescenza: basterà dire che a essi spesso gli adulti danno scarso significato, qualche volta, perché, forse, li temono, qualche volta perché non riescono a riconoscere nei “pensieri nuovi” e nei “nuovi sogni” dei loro figli traccia dei propri passaggi. Eppure, chi passa dal noto all’ignoto, dalla dipendenza all’autonomia, chi è vulnerabile come un’aragosta nel momento in cui cambia il carapace, secondo il suggestivo paragone di Francoise Dolto (3), ha bisogno di dare un senso a tutto ciò.
Un tempo, la costruzione del senso era affidata ai riti di iniziazione e di passaggio, che oggi, secondo l’unanime parere di psicologi ed antropologi, non esistono quasi più: in questi riti, che pure erano assai concreti e tesi anche alla dimostrazione di abilità, un grande ruolo era giocato dal mito e dal simbolo. Il ragazzo e la ragazza “passavano” perché così avevano voluto mitiche divinità o lontani antenati; “passavano” perché così narrava la leggenda, era passato l’eroe eponimo; “passavano”, perché così, prima di loro, erano passati alla vita adulta tutti gli altri membri della comunità.
Sarebbe ingenuo pensare che la lettura di un libro possa costituirsi come l’equivalente di un rito di passaggio: se questo, ovviamente, non è possibile, non va tuttavia sottovalutata la possibilità che una storia, ben costruita e ben narrata, dà al lettore la possibilità di identificarsi nel personaggio “che cambia” e che si forma.
Spesso è difficile vivere un passaggio in prima persona: la storia dei passaggi altrui, il simbolo, la metafora che sono sempre presenti in un testo che sia realmente “letterario”, ricco cioè di senso, possono aiutare a “provare” i passaggi attraverso un coinvolgente gioco di identificazione.
Storie di passaggi
Quali sono i libri che permettono di vivere, sotto forma di “sogno”, un passaggio a un ragazzo di 11, di 12, di 13, di 14 anni? É chiaro che qui si può procedere solo mediante esempi. Comincerò col dire, però, quali sono i libri che, probabilmente, non fanno scattare alcuna molla psicologica: sono quelli che sarebbero comunque da evitare, quelli “di consumo”, quelli con storie confezionate su misura, in cui la vicenda, così personale e così complessa, dell’individuo che cambia è ridotta quasi ad un fatto di cronaca; quelli in cui i sentimenti sono esibiti e non rappresentati; quelli, in una parola, in cui il racconto si riduce alla fabula.
Nell’indicare un percorso di lettura che aiuti il lettore (pre-)adolescente a dare senso ai propri passaggi, manterrò la distinzione, tracciata dagli insegnanti, tra romanzi che fanno riferimento ad un mondo “fantastico fantastico”, ad un mondo “verosimile”, ad un mondo “reale”: pur cogliendo tutta la debolezza teorica della distinzione, mi pare che essa possa avere una sua validità psicologica. Ovviamente, non intendo collegare in modo stretto il fantastico alla prima classe, il verosimile alla seconda, il reale alla terza. Un’ultima avvertenza: citerò solo testi “classici”, proprio perché nel testo classico è più evidente lo spessore di possibili letture e riletture, anche metaforiche; questo non significa, naturalmente, che non vi siano anche testi contemporanei (in qualche caso anche scritti appositamente per ragazzi) ad alto valore di “immaginario”.
Sull’asse del fantastico (e da leggere in prima media, ma anche oltre) vorrei citare tre romanzi (o racconti lunghi), con una netta preferenza per i primi due: si tratta di Pinoc~hio di Carlo Collodi, del Piccolo principe di Antoine de Saint-Exupéry e, infine, Peter Pan di James Barrie. Pinocchio, ovviamente nell’edizione integrale, è una perfetta metafora del passaggio dalla dipendenza (essere un burattino) a quella autonomia ricca di affettività che è propria della maturazione; Il piccolo principe introduce, tre temi fondamentali dell’adolescenza: l’esplorazione, la solitudine e la morte. Peter Pan, testo meno poetico e in qualche punto addirittura artificioso, ha però il pregio di rappresentare la fatica del “diventare grandi” e di porre esplicitamente il tema del rifiuto a crescere.
Il romanzo d’avventura è certamente una delle forme più immediate e, per i ragazzi, più interessanti per rappresentare un processo di formazione: non a caso, i migliori romanzi d’avventura sono quasi sempre anche romanzi di formazione. Due titoli a questo proposito si impongono: Le avventure di Tom Sawyer di Mark Twain (o, forse meglio, il meno convenzionale, Le avventure di Huckleberry Finn, dello stesso autore), e, naturalmente, L’isola del tesoro di Robert Stevenson. In Tom Sawyer, al di là di una certa convenzionalità nel rappresentare la trasgressione e nel lieto fine d’obbligo, compaiono numerosi temi simbolici: l’esplorazione di un mondo sotterraneo, la fuga, la morte (sia quella di Tom, inscenata per gioco, sia il macabro assassinio compiuto dall’Indiano Joe e la terribile morte per fame dello stesso): in particolare, la commistione tra gioco e realtà, perfino nella storia d’amore piuttosto scipita tra Tom e Becky, risulta un elemento di profonda possibile identificazione per il lettore che non è più un bambino e non è ancora un adulto. Jim, il ragazzo protagonista della storia di Stevenson, rappresenta in modo assolutamente classico il “diventare grandi” attraverso il distacco e le prove che deve affrontare. La sua avventura, alla fine, è coronata dal successo, ma Jim non diventa, e questo è importante, un “superuomo”: il romanzo, che si è aperto con la paura del giovanissimo protagonista per «il vecchio uomo di mare dal viso abbronzato e sfregiato» si chiude con la paura che coglie l’ormai adulto Jim al solo pensiero dell’«isola maledetta» (4).
Vorrei poi citare altri due testi, diversissimi tra loro, ma che hanno in comune il particolare rapporto tra maturazione e avventura: il primo, molto semplice almeno per un livello di lettura “superficiale”, è il racconto lungo, scritto quasi come un romanzo filosofico del Settecento, di Silvio D’Arzo, Penny Wirton e sua madre : Penny matura quando acquisisce la capacità di non vergognarsi della propria famiglia, e soprattutto di capire che si può vivere la vita di ogni giorno contenti di sé, anche senza aspirare ad essere un nobile, un eroe o un santo: un classico, a mio parere, anche se tutto sommato poco noto. Il secondo è un romanzo notissimo, spesso più citato che letto: Kim di Rudyard Kipling. É la storia di un ragazzo inglese-narrata con minuta precisione realistica e insieme con un gusto tutto speciale per l’ambientazione “esotica” – che matura nel “grande gioco” dello spionaggio per il suo Paese e, contemporaneamente, nel rapporto con il suo ascetico e spirituale maestro. É questo un romanzo che fa da ponte verso testi più impegnativi, in cui la realtà storico-sociale non è più soltanto un colorato sfondo.
Tra i romanzi autobiografici (quindi, per definizione, “realistici”) che hanno al centro la costruzione della propria identità, forte è la tentazione di citare testi suggestivi come La lingua salvata di Elias Canetti, ricchissimo anche per quanto riguarda il tema dell’interpretazione di culture diverse. Ma poi ripenso ai molti ragazzi che conosco, che non amano leggere (che spesso, in realtà, temono di “non farcela” a leggere) e mi dico che libri come questi, formalmente complessi, culturalmente lontani non saprebbero sollecitare il loro immaginario: in questi casi la “letteralità” dei testi potrebbe diventare un ostacolo, e non una risorsa per i ragazzi (5). Mi chiedo se le medesime osservazioni valgano, almeno in parte, anche per uno dei più bei romanzi di formazione che io conosco: Il sentiero dei nidi di ragno di Italo Calvino. Ma forse Pin, un Pollicino sperso nel bosco della guerra dei grandi, Pin con le sue parolacce, la sua falsa sicurezza e la sua solitudine, le sue paure e il suo coraggio, Pin con le lucciole che «viste da vicino sono bestie schifose» e con la P38 che è un po’ una bacchetta magica, è così ricco di “immaginario” da far digerire ai ragazzi anche parti decisamente più difficili e lontane come il famoso capitolo “politico” sul commissario Kim.
In Calvino, la storia di una maturazione e la storia di una guerra passano attraverso una forma che egli stesso definisce quasi fiabesca: forse è proprio questa la cifra che rende possibile la lettura di un testo così impegnativo. Si tratta di un romanzo lontano, per certi aspetti, dalla cultura del ragazzo, ma che gli parla attraverso le immagini, prima ancora che attraverso un’astratta concettualità: là dove la storia quotidiana può spesso, per il ragazzo, avere un significato (letterale), ma non produrre un senso, il ritorno ad un discorso sulla realtà fatto attraverso la lente del fantastico parla attraverso le figure, ha tutta la ricchezza della metafora. E allora, perché non concludere questo percorso “dal senso al senso” (da quello, realizzato in immagini letterarie, dello scrittore a quello prodotto, mediante un processo di identificazione solo in parte consapevole, dal lettore), proponendo ai ragazzi l’aerea storia di ribellione, d’avventura, d’amore di guerra del Barone rampante? L’adolescente, per costruire parole nuove su di sé, ha bisogno di costruire anche un mondo nuovo; deve poter usare un’ottica diversa, anzi divergente, capovolta; proprio come Cosimo Piovasco di Rondò:« Dall ‘albero più alto Cosimo, nella smania di godere fino infondo quel diverso verde e la diversa luce che ne traspariva e il diverso silenzio, si lasciava andare a testa in giù e il giardino capovolto diventava foresta, una foresta non della terra, un mondo nuovo».
Note
(1) F. Rotondo, La scheda e l’ombelico della principessa, in “La narrativa nella scuola media”, “Quaderni di Li.B.e.R” 1,1991
(2) Ma è interessante notare che i ragazzi della scuola media si autodefiniscono «adolescenti», «ragazzi e non più bambini», come ha rilevato in una ricerca la psicologa Donata Fabbri, Che colore ha il conoscere?, in D. Fabbri, R. Mari, A. Valentini (a cura di), La paura di capire, Franco Angeli, Milano, 1992
(3) F. Dolto, Paroles pour adolescents ou le complexe du homard, Hatier, Paris, 1989
(4) Non esiste, purtroppo, un romanzo classico di “avventura al femminile”. esistono molti romanzi con ragazze protagoniste nelle collane “Junior” e “Gaia Junior” della Mondadori, come pure nella collana “Gl’istrici” della Salani. Segnalo inoltre un romanzo che non è di avventura, ma di formazione: si tratta di Marina Jarre Negli occhi di una ragazza (Einaudi Scuola).
(5) Esistono comunque anche testi autobiografici semplici, ma tutt’altro che banali: penso a Un chilo di piume, un chilo di piombo di Donatella Ziliotto (Einaudi Ragazzi).