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Riguardo al dialogo all’interno di un gruppo, alcuni modelli sono fortemente presenti ai giovani – ma la situazione è altrettanto netta per i non più giovani, come provano le esperienze in corsi di filosofia per adulti -: sono i modelli proposti dalla televisione, alcuni dei quali positivi, altri meno. Gli studenti ne conoscono perfettamente i limiti, anche se la rissa televisiva diverte. Comprendono benissimo quali sono i modelli da abbandonare.
In questa classe di esercizi – qualunque sia il tipo prescelto – il problema di fondo è “tenere” il dialogo tra due opposte sponde negative:
a) il dialogo non prende quota;
b) il dialogo finisce in rissa o in divagazioni fuori tema.
E’ indispensabile che in classe si crei il clima giusto e dunque che da parte del professore sia stato organizzato con cura il lavoro di preparazione – ivi compresa l’attenzione ai fattori esterni: compiti in classe di altre materie nella stessa giornata o l’indomani (se questo produce nervosismo), situazioni generali di tensione nella classe o nella scuola (turni di interrogazione, fine quadrimestre, clima “politico” surriscaldato), e così via. In questi casi un dibattito in classe può – e a volte deve – essere fatto slittare anche all’ultimo momento, se il professore in accordo con gli studenti lo ritiene, perché il pericolo di fallimento per distrazione su altri temi o per nervosismo può essere elevato.
E’ da sottolineare, tuttavia, che a volte determinate situazioni di tensione possono favorire il dialogo tra gli studenti piuttosto che costituire un pericolo. Per esempio, quando il dialogo avviene tra studenti di più classi, e dunque in una situazione scolastica diversa dall’abituale, può essere utile un clima quale quello che si crea nelle situazioni – ormai abituali nella scuola italiana – di “giornate autogestite”, scioperi, occupazioni, e simili. Oppure nei momenti di approfondimento e di recupero.
Ovviamente, questo tipo di esercizi non è mai utile che sia imposto agli studenti, ma può vedere la loro diretta partecipazione in fase di preparazione e il coinvolgimento operativo almeno di alcuni di loro. Se gli studenti non sono coinvolti nella organizzazione, le possibilità di fallimento in una delle due sponde prima indicate crescono.
In sede preliminare si deve poi sottolineare che il dibattito tra studenti può essere vissuto dal professore in modo negativo: è effettivamente possibile sentire messa in crisi la propria professionalità e il proprio ruolo. In fondo, siamo abituati ad essere noi i protagonisti, a guidare il gioco, ad avere l’ultima parola, e in questo caso – apparentemente, come vedremo – non è così. I protagonisti del gioco sono gli studenti, il professore si limita a fissare le regole del gioco ed a volte – con gli studenti più esperti – nemmeno quelle (nell’ultimo anno di corso il ruolo del professore può addirittura essere limitato ad una semplice funzione di controllo).
Se il professore sente messa in gioco la propria professionalità reagisce imponendosi come “attore interno” nelle dinamiche del dialogo: esprime la propria posizione nel merito di quanto si discute, fa valere la propria superiorità dialettica, le proprie conoscenze e così via, o addirittura impone con la propria autorità una determinata posizione (è facile per un insegnante vincere nel gioco dialettico con un giovane di diciotto anni, soprattutto se mette in mostra – anche senza usarla – la propria autorità).
Si tratta di pericoli gravi, assolutamente da evitare. Emotivamente spesso è difficile evitarli, anche per professori esperti (è questo il momento di libertà espressiva degli studenti, sia pure secondo regole: non è forse vero che alcuni ne approfitteranno per “provocare”? Il professore non deve cadere nella trappola).
Se il dibattito prescelto è del tipo “tra studenti”, il professore deve limitare al massimo il proprio ruolo attivo (visibile: il lavoro “dietro le quinte”, come vedremo, è un’altra cosa). Il grado più alto – e solo in alcuni tipi di esercizi – potrà essere l’assumere il ruolo di “attore esterno”: porre una domanda al momento opportuno senza suggerire implicitamente la risposta, fare una provocazione (gettare un sasso nello stagno ritirando però subito la mano), assumere il ruolo di moderatore del dibattito senza diritto di parola, chiedere un esempio, e così via.
In realtà – è facile comprenderlo, ma è indispensabile ricordarsene per non cadere nelle trappole emotive – il professore ha un ruolo determinante, decisivo. Anche quando rimane in silenzio o, in casi estremi, è assente al momento del dibattito. Fissare “le regole del gioco”, infatti, e imporre il loro rispetto (altrimenti i pericoli di fallimento sono molto alti) significa stabilire per i giovani precisi modelli di comportamento che hanno un’influenza decisiva sulle loro stesse autonome attività.
Un esempio: in un Liceo Scientifico si fecero alcune esperienze di conduzione di dibattiti a classi aperte in occasione della Guerra del Golfo gestite insieme da studenti e professori secondo regole ben formalizzate; l’anno successivo gli studenti senza alcun aiuto da parte degli insegnanti organizzarono alcune assemblee di istituto seguendo le stesse regole, con buon successo, nonostante solo pochi insegnanti vi abbiano preso parte e nessuno abbia avuto un ruolo attivo di alcun genere.
Il lavoro del professore nella classe di esercizi di “dibattito tra studenti” deve essere soprattutto “dietro le quinte”: è il lavoro di un regista che prepara i materiali, distribuisce le parti, fissa le regole del dibattito, controlla e coordina. Ma non è un attore interno al gioco.
Un esempio in negativo. Due classi riunite (due terze di un Liceo Classico) dialogano su marxismo e liberalismo dopo avere entrambe studiato Marx e Stuart Mill ed avendo un’idea abbastanza completa della storia europea di tutto l’Ottocento. Uno degli insegnanti presenti interviene continuamente nel dibattito perchè ravvisa nelle tesi di alcuni studenti posizioni a suo avviso del tutto superate che egli conosce bene e che vuole correggere (posizioni molto diffuse tra la fine degli anni Sessanta e gli anni Settanta). In realtà gli studenti non sanno nulla di Sessantotto ed affini e le loro posizioni sono diverse: è all’orecchio del professore che esse suonano “sessantottine”, ma il professore ha ascoltato molto poco ed ha reagito subito. Dibattito fallito, quasi finito in rissa perché gli studenti si sono sentiti non capiti e hanno vissuto gli interventi del professore come una prevaricazione. E si sono ribellati, anche perché questo impediva il dialogo tra loro. Dunque: ascoltare molto gli studenti, non “sovrainterpretare” e cercare di capire a fondo le loro parole.
C’è tuttavia almeno un tipo di dibattito in cui deve essere direttamente il professore a condurre il gioco. Ma non si tratta di dibattiti tra studenti (dunque tra pari). Si tratta di dibattiti a due: tra il professore (o gli insegnanti che operano insieme, ma occorre molta esperienza ed affiatamento per farlo) e gli studenti.
Si tratta di esercizi di lavoro filosofico particolarmente complessi. Questi casi particolari non contraddicono il discorso sin qui fatto.
Ovviamente, onore al caso. Vi sono situazioni che riescono perfettamente in modo naturale, non programmato, contraddicendo tutto quanto abbiamo detto. Uno dei dibattiti tra studenti su temi filosofici che ricordo molto volentieri avvenne – ero supplente alle prime esperienze – con i cappotti già messi, in piedi e quasi sulla porta al tempo del referendum sull’aborto. Durò oltre un’ora, dopo la fine della scuola ed iniziò per caso. Ma, ovviamente, non siamo in grado di governare il caso: il professore deve solo imparare a riconoscere le buone opportunità e a non lasciarle morire. Allora ero alle prime armi, oggi, probabilmente, al suono della campanella andrei a casa, lasciando morire una buona opportunità.
Regole generali per gli studenti
Elenchiamo dunque alcune regole generali che gli studenti devono seguire per l’intera classe degli esercizi di dibattito (in aula, tra classi parallelle e non, a classi aperte). Ovvio il riferimento in negativo ad alcuni modelli televisivi e in positivo ad altri, essendo la televisione una notevole fonte di modelli per le giovani generazioni ed un ovvio punto di riferimento per i dibattiti. In fondo c’è una ragione, per così dire, “tecnica” per cui il dibattito televisivo non può essere un modello, ed è questa, che la televisione prevede un pubblico assente per il quale avviene il dibattito. Forse ogni tipo di dibattito è una forma di “spettacolo” e prevede un pubblico, ma in televisione il pubblico non è composto dalle stesse perosne che partecipano al dibattito. In aula sì. E certo non sarà da dimenticare che chi prende la parola lo fa sempre per un pubblico (e per gli adolescenti vale certamente la celebre massima epicurea).
a) Prestare sempre grande attenzione alle parole di un altro, chiunque egli sia, e preoccuparsi sempre di propri eventuali errori di comprensione. Non selezionare mai tra le persone: il meno preparato o il meno capace degli studenti può esprimere un concetto fondamentale (anche se può accadere che lo esprima male).
L'”educazione all’ascolto” è tra le più difficili. Il professore deve “tenere” questa regola con grande determinazione. Gli studenti, senza un rigoroso allenamento, non la rispetteranno. Capiterà anche a noi insegnanti di non rispettarla e l’esempio che daremo sarà decisivo. Mai, anche se non si interviene, mostrare attenzione per le parole di uno studente bravo e distrarsi quando parla uno che non lo è: pur silenzioso, è un comportamento eloquentissimo, assolutamente non giustificato, che ha l’effetto di “bloccare” nella sua situazione lo studente meno preparato o meno capace e di non favorire la messa in valore di quelle capacità che egli – certamente – possiede, anche se il professore e forse lui stesso non sa quali sono.
b) Tentare, per quanto possibile, di fuggire il pericolo del dialogo tra sordi: porsi come obiettivo quello di comprendere le “ragioni” dell’altro e contrapporre argomentazione ad argomentazione, non soltanto personalità a personalità.
c) Nei propri interventi mostrare sempre rispetto per le opinioni degli altri, facendo capire che si sta facendo un serio sforzo di comprensione. Mai tentare di avere ragione dell’altro con mezzi scorretti: per esempio lasciando trasparire disprezzo con le proprie parole o alzando la voce o ironizzando in modo gratuito.
Nulla più di una battuta efficace distrugge una buona argomentazione: avremo vinto il confronto dialettico, ma la buona argomentazione dell’altro era buona, non la battuta, e in filosofia non è la vittoria che conta, ma fare un passo in avanti nella ricerca.
d) Prestare sempre grande attenzione a che la propria immagine non serva a coprire il vuoto delle proprie argomentazioni. Se non si ha nulla da dire, tacere ed ascoltare.
e) Rispettare sempre l’autorità di chi coordina il dibattito e parlare solo quando se ne ha l’autorizzazione.
Respingere la tentazione di dare subito, in poche parole, una risposta a chi ha appena enunciato una tesi opposta alla nostra. Preparare, in attesa del proprio turno, una efficace risposta, ben argomentata ed espressa con chiarezza. Magari ricorrendo ad un breve appunto scritto.
f) Preoccuparsi che le proprie posizioni – espresse sempre curando il miglior rapporto tra brevità e comprensibilità – siano effettivamente utili al dibattito e chiare per tutti gli ascoltatori.
g) Preparare una breve “scaletta” del proprio intervento, soprattutto per poter dar ordine alle proprie parole.
Quest’ultima regola non è una regola, ma un consiglio: c’è chi con il metodo delle “scalette” non si trova affatto e non ne trae vantaggio. Bene. Ma in generale è assai efficace ed è una buona abitudine. Quindi, insegniamo agli studenti a farle (insieme con il professore di lettere, naturalmente).
Come comportarsi con chi non interviene nei dibattiti? E con chi interviene troppo?
Per il professore si tratta di situazioni normali, ma delicate. Nelle classi nasce quasi subito un gioco delle parti per cui ciascuno studente si fissa su determinati comportamenti. E’ questa la ragione per cui è opportuno – se si decide di utilizzare gli esercizi di dibattito – realizzare un certo numero (piccolo, perché la cosa non cada nei meccanismi della routine) di dialoghi tra classi o – se si può, ma la cosa dà buoni risultati – a classi aperte.
In ogni modo chi non parla va incoraggiato, mai costretto, a intervenire. Se si decide di dare la parola a turno a tutti, è sempre necessario ammettere che si possa “passare” la parola. Sappiamo bene che chi non parla spesso ha moltissimo da dire. Magari lo farà in privato, o per iscritto. Cercare quindi queste occasioni, stimolare la scrittura (il metodo della lettera è spesso usato dagli adolescenti tra loro, perché non con noi insegnanti?). Naturalmente questo tipo di dialogo per iscritto non è davvero privato, ne è privata solo la forma.
Detto questo, è bene ricordare che gli studenti – non a caso la loro età è “evolutiva” – vanno soggetti a mutamenti a volte anche profondi. Meglio, quindi, tentare ogni tanto di infrangere il gioco delle parti e stimolare tutti a parlare.
Ci sono comportamenti che bloccano molte persone che sono indecise se parlare o meno: sono i comportamenti verbalmente aggressivi dei compagni. Mai accettarli (anche se vanno corretti con una lenta educazione all’ascolto ed al rispetto dell’altro, piuttosto che con mezzi punitivi).
Quanto a chi parla troppo, si deve agire con tatto. In colloqui privati è bene spiegare non solo perché non deve farlo, ma anche come fare. Insegnargli, per esempio, che un discorso incisivo può esser necessario sia breve, e un intervento è più efficace se ben calibrato nel tempo all’interno del dibattito.
Un minimo di tecniche riguardo a quelle che gli antichi chiamavano retorica e dialettica, che del resto possono anche essere oggetto di spiegazione e di esercizio per tutti (se non fa queste cose già il professore di italiano).
Il gioco dei ruoli: il dibattito tra studenti-attori
Classe: Dibattito tra studenti
Tipo: Il gioco dei ruoli: il dibattito tra studenti-attori
Nei giorni precedenti la data fissata per il dibattito, il professore definisce il tema e la situazione (storica o attuale) nella quale il dibattito deve essere collocato, ed assegna ad alcuni studenti dei “ruoli” particolari. Nel dibattito essi devono argomentare le posizioni dei personaggi che incarnano utilizzando il materiale che è stato precedentemente oggetto di studio in classe o altro appositamente preparato (soprattutto testi originali). Gli studenti che non hanno un ruolo particolare ne assumono uno generico. (Per esempio, se il gioco dei ruoli ripropone in classe il processo a Socrate, la maggior parte degli studenti farà parte del gruppo dei giudici, con facoltà di porre domande.)
Regole:
Oltre al rispetto delle regole generali definite nella premessa, si deve tenere qui presente l’esigenza che ciascuno studente non esprima le proprie posizioni, ma quelle del personaggio che incarna. E’ difficile da ottenere, questo, ma è possibile, e si pone quindi il problema del corretto abbinamento tra studente e personaggio (non si darà, ad esempio, il ruolo del personaggio principale ad uno studente con grande desiderio di protagonismo, ma si valuterà se sia utile assegnargli una parte che ha il compito di stimolare il contraddittorio, ponendo però limiti precisi, per esempio di tempo per ciascun intervento e di numero degli interventi).
Come sempre nei dibattiti tra studenti in cui il professore non è dentro il gioco, è indispensabile nominare un moderatore, da tutti accettato, che dia e tolga la parola.
In quale senso è usata qui la parola gioco? Gioco è una “realtà parallela”, definita cioè non dalle regole della vera realtà, ma da altre regole che i giocatori hanno accettato. Si deve ricordare che il rifiuto di una regola del gioco mentre si gioca distrugge il gioco. Non è quindi molto grave se uno studente infrange una regola (lo si fa rientrare), è grave se la rifiuta e la contesta. Il gioco fallisce perché la “realtà parallela” va ridefinita, e non è possibile farlo in corso d’opera. Non si può non sottolineare che gli studenti hanno la forte tendenza ad elaborare nuove regole: tendenza che va accettata o addirittura stimolata in fase di organizzazione, respinta nel corso del gioco. E’ assai probabile che, proposto una volta questo esercizio, gli studenti propongano autonomamente un altro esercizio dello stesso tipo dopo un certo tempo, elaborando da soli le regole.
Si deve poi porre molta attenzione al fatto che, se il gioco riesce, il coinvolgimento emotivo degli studenti può essere molto forte, sia in fase di preparazione (quella giornata è oggetto di attese) sia nel corso del gioco e dopo. Dunque si avrà cura di non programmare un esercizio del genere in un momento dell’anno di grande impegno e di proporlo una, due volte l’anno (tutto dipende dalla classe).
La posizione del professore durante il gioco è – se tutto funziona – quella di un regista che rimane fuori dal palcoscenico. La sequenza del gioco deve essere nelle sue linee generali predeterminata e il professore interviene (sempre con brevi battute, perché ogni suo intervento rompe la finzione creata dal gioco) solo per stimolare il dibattito o per raffreddarlo (i coinvolgimenti emotivi possono essere molto forti e sommarsi, più o meno senza volerlo, alle tensioni personali tra gli studenti). Ovviamente si deve pretendere il massimo rigore nelle argomentazioni e nelle citazioni.
Rispetto alla situazione storica che si è prescelta per ambientare il dibattito, bisogna prevedere varianti “possibili”. Riprendendo l’esempio prima proposto, si deve prevedere che l’esito finale del processo con il voto dei giudici sia diverso, o che uno studente dia a Socrate una argomentazione “socratica” (se non lo è va respinta) vincente.
Gli interventi di tipo “disciplinare” del professore (che è prevedibile siano necessari, se gli studenti non sono abituati al dialogo) vanno realizzati in modo da non incidere troppo sul gioco. Far tacere qualcuno che eccede, per esempio, è possibile chiamandolo un attimo fuori con una scusa. Naturalmente questo tipo di interventi sono meno necessari se il moderatore è bravo ed è da tutti accettato.
Correzione e valutazione:
L’esercizio non può dare luogo ad attribuzione di voto se non a costo di pesanti contestazioni da parte di questo o quello studente. E’ difficile, infatti, fissare parametri condivisi (e comunque il professore, se vuole attribuire il voto, deve fissare prima i parametri in accordo pieno con gli studenti, perché questi ne possano tenere conto).
Gli elementi da osservare con particolare attenzione sono:
a) la capacità di rispettare le regole, sia nel lavoro di preparazione sia nella gestione del gioco;
b) l’acquisizione delle conoscenze filosofiche (e storiche) necessarie e soprattutto il modo in cui esse vengono usate nel gioco dialettico; dunque la capacità di usare al meglio gli strumenti che si hanno;
c) la capacità di argomentazione e di giudizio;
d) la capacità di controllo della emotività.
Quando usare:
Raramente e sempre alla fine di un percorso piuttosto lungo. Ciò che si può sperare di ottenere da un esercizio di questo tipo è dare grande vivacità allo studio (e quindi stimolare chi studia poco: è una tecnica di recupero scolastico che in alcuni casi è efficace).
L’esercizio è da usare, poi, quando si desidera che vengono stimolate le capacità di argomentazione e dialettiche, ma si deve ricordare che vengono in luce i conflitti di personalità. Bisogna prestare grande attenzione al fatto che in ogni conflitto c’è qualcuno che perde, ed è per questo che l’emotività degli studenti va controllata molto: altrimenti su qualcuno l’esercizio avrà l’effetto di inibire determinate abilità. Il professore può giungere ad espellere dal gioco, o far tacere in qualche modo, chi aggredisce verbalmente o alza la voce (oltre quello che è normale attendersi in simili situazioni).
Varianti:
1. Tra le più interessanti varianti c’è l’esercizio che propone un “esperimento ideale”: il professore propone una situazione e gli studenti – che incarnano determinati personaggi, storici o fantastici – devono elaborare le regole del gioco. Ad esempio, siamo tutti passeggeri del Myflawer e siamo a un giorno di navigazione dalle coste americane: si tratta di fissare le regole di vita per il nuovo mondo e non ci sono autorità superiori che le dettino, se non la nostra ragione e la nostra coscienza. Quindi…
2. Una seconda variante è il gioco dei ruoli realizzato unendo classi diverse, che hanno però svolto programmi uguali o simili o almeno trattato in modo coordinato il tema oggetto del dibattito. Ancora più interessante è proporre questo esercizio a classi aperte, con la sola presenza di volontari. Ovviamente si pongono in questi casi maggiori problemi: è più difficile che si instauri il giusto clima per l’avvio del dibattito, perché c’è da superare una ulteriore barriera emotiva. Tuttavia si può anche avere un effetto di stimolo. E’ da sottolineare che questa variante impone un accordo tra colleghi e una divisione dei compiti che rende più complesso il lavoro di preparazione.
3. Una terza variante supera i limiti di un esercizio scolastico. Al posto di un dialogo libero, condotto “a braccio” (sia pure con molti materiali già pronti), la classe può dividersi in gruppi e scrivere un dialogo da “rappresentare” come un testo teatrale.
Questa variante è molto interessante soprattutto se nel lavoro in classe si è precedentemente fatto uso di brani antologici o comunque di una delle tante forme di lettura diretta dei testi. Il dialogo può così essere costruito parafrasando i testi dei filosofi o montandoli in modo opportuno e creativo.
La fase della rappresentazione teatrale dà luogo, come ben noto, a molti problemi che solo con difficoltà il professore ha la possibilità di risolvere da solo. E’ questo uno dei casi in cui diventa essenziale la collaborazione tra colleghi di materie diverse (primo fra tutti il professore di materie letterarie).
In tutti i casi in cui si sceglie di trattare temi di filosofia della scienza il ruolo degli insegnanti di materie scientifiche può essere decisivo. E molto utile può rivelarsi anche il rapporto con il professore di disegno e storia dell’arte (si pensi, ad esempio, al Rinascimento).
A proposito del rapporto con quest’ultimo insegnante, non va sottovalutato un fatto: può accadere che studenti con difficoltà nella esposizione orale o che per problemi emotivi non desiderano esporsi al dibattito abbiano però buone idee grafiche. Così il dibattito in classe – e certamente la rappresentazione teatrale – possono essere “pubblicizzati” da un cartellone o da un disegno, oppure essere visualizzati da una vignetta. Non è da sottovalutare il fatto che la parola è un veicolo delle idee, ma non è l’unico ed alcuni studenti hanno difficoltà con le parole, ma possono non averne con la matita. Studenti scadenti in filosofia possono esprimere idee che ci sorprendono per la loro qualità e finezza con strumenti grafici.
Nota:
E’ da sottolineare che questo tipo di esercizi libera energie e risorse difficilmente prevedibili in questo o quello studente. E’ quindi essenziale che il professore (meglio sarebbe un osservatore esterno presente nel più assoluto silenzio) osservi con grande attenzione gli studenti e prenda nota delle buone (o, purtroppo, anche non buone) caratteristiche ed abilità che vengono in luce. Possono a volte costituire un ottimo punto di avvio per il recupero scolastico. (Esempio: studente che non studia, non mostra particolari interessi o capacità, ma si diverte molto nel gioco dialettico: in una successiva occasione sarà affidata a lui una delle parti che prevedono la conoscenza di una ampia quantità di informazioni. Sarà costretto a studiare se vuole far quello che lo diverte, cioè reggere il gioco dialettico.)
Il dialogo personale tra studenti
Descrizione
Il professore fissa il tema filosofico su cui si dialoga e gli studenti lo esaminano tra loro – confrontando le loro personali posizioni – alla luce della loro personale esperienza e delle loro (dichiarate ed argomentate) convinzioni. Il tema va selezionato in rapporto al programma scolastico che si sta svolgendo.
Regole
L’esercizio deve trattare temi legati all’esperienza reale dei giovani (per esempio temi morali).
Come è ovvio, è molto utile la presenza di un moderatore che non abbia facoltà di intervento. Se si riesce, è bene sia uno studente scelto dai compagni.
In questo tipo di esercizio il singolo studente, con il suo carico di conoscenze ed esperienze (e pregiudizi, e quant’altro ancora) è il protagonista assoluto. Il professore, anche se costretto a intervenire (e può farlo solo per esigere il rispetto delle regole da tutti accettate per il dibattito: vedi l’Introduzione agli esercizi di dibattito), non deve mai né esprimere il proprio punto di vista né giudicare quello degli studenti. Potrà farlo solo in sede successiva (in altro giorno, con grande misura e sempre con spirito di confronto dialettico), dopo aver dato agli studenti tutta la possibilità di esprimere liberamente quanto avevano da dire. E’ ovvio infatti che la posizione del professore orienta – in positivo o in negativo – il dibattito, e costituisce un limite alla libertà espressiva degli studenti in momenti come questi. E’ quindi molto utile che il professore prenda molti appunti su quanto dicono e sul modo in cui interagiscono, in modo da potere essere preciso nelle successive riflessioni con gli studenti (individuali, a piccoli gruppi o con l’intera classe).
L’esperienza umana, soprattutto quando conta davvero, è intrecciata con la sfera delle emozioni, e non è mai semplice farla emergere in maniera serena. Questo tipo di dibattito funziona solo se ciascuno è invogliato ad esprimersi ed a parlare – inevitabilmente – di sé in condizioni di sicurezza emotiva. E’ quindi necessario educare gli studenti al dialogo, perché si possa creare il necessario clima corretto ed aperto, senza il quale la messa in gioco della propria esperienza fallisce.
In caso di fallimento si corrono dei rischi: si può generare frustrazione in qualcuno, oppure la convinzione che “tanto dialogare è inutile”, o peggio.
Molto comune è la fuga dalla esperienza reale e il rifugio nel mondo delle pure astrazioni, fuga peraltro che è tipica del mondo degli adolescenti.
E’ quindi essenziale in fase di preparazione fare in modo che gli studenti comprendano che:
a) l’esercizio richiede che la loro personale esperienza e le loro convinzioni siano messe in gioco nel confronto con il pensiero (e i testi, se noti) dei filosofi;
b) l’area dalla quale il dibattito deve partire, muoversi intorno e giungere alla fine è la stessa: è la concezione filosofica di cui si dibatte e (se ci sono meglio) i testi dei filosofi.
Questo non significa che non siano possibili fughe in avanti o astrazioni. Significa che c’è un termine di paragone col quale fare i conti: il pensiero filosofico degli autori studiati.
Ultima regola: l’esercizio richiede concentrazione. Va quindi programmato quando è realistico attendersela. Inoltre l’esercizio richiede libertà e il rischio di una ricerca collettiva che non porta da nessuna parte. E’ necessario concedere questa libertà e affrontare questo rischio, se si sceglie di proporre un esercizio di questo tipo.
Correzione e valutazione
L’esercizio non deve in nessun caso dar luogo ad attribuzione di voto (altrimenti si rischia di comprimere molto la libera ricerca del gruppo), ma può essere un’ottima preparazione collettiva a compiti scritti ai quali dare un voto. Per la valutazione – da fare insieme con gli studenti in una sede successiva – sono essenziali (oltre al rispetto delle regole generali, che non ripeteremo qui) i seguenti punti:
a) la capacità di argomentazione, connessa con la chiarezza della esposizione;
b) la capacità di interazione con gli altri, cioè di argomentare in risposta alle loro tesi (che, dunque, devono essere state comprese, il che implica capacità di ascolto);
c) la capacità di analisi dei testi filosofici o comunque delle idee filosofiche, e soprattutto il loro uso ai fini del libero dialogo con gli altri;
d) la capacità di giungere a conclusioni stringenti o a definizioni chiare di problemi;
e) la sensibilità necessaria alla riflessione personale sulla propria esperienza;
f) la capacità di osservare ciò che gli altri non vedono.
Inutile dirlo: questo esercizio non si può fare se la classe non ha una corretta conoscenza delle idee filosofiche di cui si discute. Se non si riesce preliminarmente ad ottenere questo da un numero ragionevolmente alto di studenti, allora è meglio rimandare l’esercizio.
In sede di valutazione va deciso in anticipo se valutare la capacità di mettersi d’accordo o di raggiungere una conclusione. (Se si vuole valutare questo punto, si pensi a cosa accadrebbe se a svolgere l’esercizio fossero venti o trenta docenti di filosofia).
Quando usare
In modo sistematico alla fine dei grandi blocchi di programma. L’esercizio serve a varie cose: libera energie e mette in luce questa o quella capacità degli studenti, abitua al dialogo personale (ma reso un po’ più oggettivo dal confronto con la filosofia), rende attiva la vita scolastica, permette di attualizzare quanto si studia e di rendere viva la filosofia, abitua alla riflessione filosofica sulla propria esperienza. Come prima detto, vi sono però dei rischi: si tratta di un metodo di lavoro piuttosto delicato. Per tutte queste ragioni è bene che l’uso di questo tipo di esercizi, in una delle sue varianti, non sia episodico. Gli studenti devono abituarsi a comportamenti collettivi inusuali nella comune pratica scolastica e ad una libertà nel lavoro filosofico che la tradizione didattica non concede loro. Devono, tra l’altro, abituarsi al rispetto reciproco e ad ascoltare tutti e tutto. Detta così sembra una annotazione moralistica. In realtà senza questo rispetto e senza la capacità di ascoltare e osservare, questo tipo di esercizio è tutt’altro che un dialogo. E’ una gara a chi è più bravo ad affermare se stesso.
Ovviamente questo tipo di esercizi non va utilizzato se non si vuole stimolare lo spirito critico negli studenti. Se si abituano, dopo non sarà facile sorvolare su questo o quel punto della storia della filosofia: quel che si studia dovrà essere studiato in modo più approfondito, perché al professore arriveranno molte domande.
Ovviamente questo esercizio, come ogni dialogo, è anche una forma di educazione al rispetto delle regole condivise, e coniuga quindi ampia libertà e rispetto degli altri.
Varianti
Questo tipo di esercizio ha molte varianti. Eccone alcune.
– Commento ad un film: la visione di un film è l’occasione per un dibattito. Per esempio, visto il film “Mission” nel periodo in cui in storia si studia la conquista dell’America e in filosofia l’umanesimo (Pico, Erasmo o Montaigne, poniamo) si dialoga in classe sui rapporti tra le culture, sui concetti di tolleranza, di superiorità di una cultura su un’altra, e così via.
– Una seconda variante nell’uso del film riguarda temi di carattere generale, in cui il dibattito non ha lo scopo di chiudere un ciclo di lezione, ma di aprirlo. Gli studenti non hanno ancora gli elementi culturali che riguardano il nuovo periodo della storia della filosofia che dovranno studiare, ma usano per il dibattito la loro esperienza filosofica passata e riflettono sul film.
– Un’altra variante riguarda il dialogo su un testo (di ieri o di oggi) scelto appositamente dal professore, che impone di scegliere tra due vie, o su un caso segnalato sulla stampa (il che costringe a tradurre in pratica le scelte suggerite dalla filosofia) o su un libro che la classe ha letto.
– Un’ultima variante: il dialogo tra studenti ha come obiettivo quello di chiarire le idee ai partecipanti e raggiungere un accordo su determinati temi (o di chiarire con lucidità le ragioni del disaccordo). In seguito al dibattito la classe si divide in gruppi, ciascuno dei quali produce un testo scritto che può essere utilizzato a scopi diversi (per esempio come base per un dibattito con altre classi).
Dialogo insegnante studenti
Classe: Dialogo in classe tra insegnante e studenti
Tipo: Dialogo insegnante-studenti
Il professore dialoga con gli studenti su un tema filosofico: pone domande, sottolinea le contraddizioni che emergono dagli interventi degli studenti o dall’esame dell’esperienza, pone in luce i problemi, sollecita l’uso degli strumenti a disposizione degli studenti per tentare una soluzione, chiede esempi e metafore e ne discute. Non dà mai soluzioni, ma propone filoni di ricerca.
Regole:
Non è un dialogo tra studenti, ma tra il professore e gli studenti.
E’ subito da precisare che si tratta di un esercizio che richiede al professore una competenza professionale notevole ed esperienza di insegnamento.
Si fonda sul presupposto che i giovani abbiano sufficiente maturità, spirito critico ed esperienza per vedere i problemi là dove sono, se vengono posti in luce. La parte attiva riservata ai giovani è notevole e l’esercizio fallisce se il professore non li lascia parlare (l’ideale è guidare il dibattito con brevi domande calibrate).
Mai dire ad un giovane: “Questo è sbagliato perché…”. Si deve riuscire a fare in modo che si accorga da solo del suo errore – o sia indotto dai compagni a farlo – e sia stimolato a cercare una risposta.
Il punto di partenza deve essere l’esperienza dei giovani (e solo questa: non quella degli adulti) e le conoscenze filosofiche già acquisite.
E’ necessario essere prudenti nel far emergere i problemi perché questo può a volte generare angoscia. Il dialogo deve sempre chiudersi con note positive, speranze di soluzione, deve stimolare il gusto della ricerca, non l’ansia di fronte al problema irrisolvibile.
Questo tipo di esercizio spiazza i giovani. Crea attese e tanta confusione (sulla soluzione dei problemi), ma allo stesso tempo – se ben condotto – tanta chiarezza (sulla impostazione dei problemi).
Correzione e valutazione:
Per ovvie ragioni l’esercizio non può dar luogo né a correzioni né a valutazioni sui singoli. Soltanto la riuscita o meno dell’esercizio nel suo complesso può essere valutata. Dare un voto sarebbe poi didatticamente controproducente perché l’effetto di confusione qui è del tutto legittimo e lo studente deve essere lasciato libero nella sua ricerca guidata.
E’ da tener presente che questo tipo di esecizio è preparatorio a qualcos’altro, ed è finalizzato ad ulteriori lavori.
Quando usare:
L’esercizio fa leva sulle domande che un adoscente pone a se stesso, le pone in luce e le ordina ma non le inventa (e non fornisce alcuna soluzione). E’ utile soprattutto per dare agli studenti
a) la dimensione concreta di un problema filosofico (di cui si studia subito dopo una ricerca del passato che ha portato ad una determinata soluzione, mentre il problema rimane aperto anche oggi) e avviare così allo studio di un certo autore;
b) il modello di un metodo di indagine fondato sulla dialettica, nel senso platonico del termine.
L’esercizio va quindi usato come strumento di preparazione ad affrontare i problemi della filosofia e come esercizio (ad esempio) di metodo. Da un punto di vista professionale, il professore non deve mai dimenticare che si propone qui come modello, e dunque che gli studenti stanno imparando per imitazione. Da qui la notevole complessità tecnica nella gestione del dialogo.
L’esercizio, inoltre, può essere usato a completamento di altre forme di lavoro, ad esempio quelle descritte nella scheda n. 6.1, soprattutto nella variante c.
Varianti:
Nella forma proposta l’esercizio è destoricizzato. Ma in una sua variante si può storicizzare. Per esempio far emergere il problema della giustizia seguendo (senza dirlo) la Repubblica platonica o l’amore seguendo il Convito. O la ricerca di un fondamento per la conoscenza seguendo la prima delle Meditazioni cartesiane. Nelle successive lezioni si leggono i testi. Benché sia molto difficile condurre dibattiti di questo tipo, il successo è assicurato in determinati passaggi: per esempio ponendo il problema della realtà e del sogno come fa Cartesio.
In una sua variante, questo esercizio può essere utilizzato come test d’ingresso.