Il maggior poeta futurista e uno dei maggiori del Novecento russo è Vladimir Majakovskij. Nato nel 1893 a Bagdadi, in Georgia, Majakovskij si impegna giovanissimo nei movimenti rivoluzionari. Nel 1912, entrato a contatto con i cubofuturisti, firma il manifesto «Schiaffo al gusto corrente», mettendosi presto in risalto. Seguono anni di laborioso apprendistato letterario, vissuti con l’entusiasmo delle serate futuriste, delle redazioni di giornali d’avanguardia, dell’attesa di uno scoppio rivoluzionario. L’esperienza della guerra inorridisce il poeta. Dopo vari lavori teatrali e poetici (tra cui La nuvola in calzoni, 1915), pubblica Il flauto di vertebre (1916).
Allo scoppio della rivoluzione si impegna in prima linea per «consegnare tutta la letteratura a tutto il popolo»: la creazione di un’arte nuova, autenticamente liberata dalle convenzioni borghesi e disponibile alla nuova società proletaria, è al centro della sua ricerca, tanto teorica e creativa quanto organizzativa.
Accanto ai numerosi impegni ufficiali s’incarica di realizzare le «finestre» (manifesti di propaganda), componendone oltre tremila tra il 1919 e il 1923. Nel 1920 esce anonimo il poema 150.000.000, dedicato alla rivoluzione socialista. Nel 1922 compone il poemetto Io amo e mette insieme due antologie della propria opera poetica, dedicandosi quindi a vari viaggi all’estero (tocca fra l’altro Berlino e Parigi).
Nel 1923 diviene direttore dell’importante rivista «LEF» (espressione del Fronte di sinistra delle arti), che raduna i maggiori scrittori futuristi rivoluzionari, battendosi per un più diretto impegno degli scrittori nei processi politici e sociali in corso. Negli anni seguenti, Majakovskij si dedica a una frenetica attività di scrittore, agitatore, pubblicitario, sempre in nome del binomio poesia/rivoluzione, viaggiando in lungo e in largo per l’Unione Sovietica e recandosi spesso all’estero (nel 1925 compie un viaggio in America).
La morte di Lenin (1924) lo spinge a una intensa riflessione sul processo rivoluzionario e sulla sua guida più autorevole, affidata a un poemetto (Lenin, pubblicato nel 1925 dopo essere stato letto in innumerevoli assemblee operaie). Una ricostruzione dei fatti rivoluzionari è anche il poema Bene! (1927), che accoglie d’altra parte anche significative testimonianze individuali.
L’evoluzione del regime sovietico dopo la scomparsa di Lenin procede verso una burocratizzazione e un irrigidimento dogmatico che dispiacciono al poeta, accusato sempre più spesso di oscurità e di distacco dai bisogni proletari della nazione. Majakovskij reagisce con la satira di due opere teatrali (La cimice e Il bagno, rappresentate nel 1929 e nel 1930), accolte freddamente dalla critica.
Nel marzo 1930 si tiene una mostra dedicata ai Vent’anni di lavoro del poeta, che alterna manifestazioni di combattività a momenti di ripiegamento e di delusione. Ha realizzato l’introduzione di un nuovo poema di temi civili allorché si uccide sparandosi al cuore il 14 aprile 1930.
L’allargamento esercitato da Majakovskij nei temi e nel lessico della poesia rispondono nel modo più rigoroso e complesso al programma del Futurismo russo. All’astrazione metafisica della tradizione simbolistica e al ripiegamento folclorico dei poeti-contadini, Majakovskij contrappone una poesia che scende nelle piazze, assume i bisogni delle masse proletarie e la vita squallida delle periferie industriali, senza però alcun cedimento veristico.
Il realismo majakovskiano è rivolto all’offensiva, all’azione, alla lotta, non alla rappresentazione. La massa anonima dei nuovi sconfinati ceti proletari assume nell’opera di Majakovskij una posizione di soggetto, per la prima volta nella storia.
E la stessa promozione coinvolge gli oggetti, sia quelli antichi e comuni, sia, con più evidenza, quelli nuovi e imprevedibili. Perfino i temi personali, come l’amore, si configurano in termini concreti e carnali, come esperienze umane comuni. L’appoggio generoso e disinteressato alla rivoluzione allarga la tensione sperimentale della scrittura majakovskiana, imponendole campi inediti di azione (dalla propaganda al confronto con le masse rivoluzionarie). Majakovskij evita in ogni caso di trasformare la propria attività in amplificazione declamatoria della verità di partito, ritenendosi piuttosto investito di una funzione di verifica umile ma specifica, fondata sulla libertà di analisi e di critica.