In tempi di metodo forsennato applicato alla letteratura, come gli anni Sessanta e Settanta che videro fiorire lo strutturalismo e la semiotica, c’era a Torino un grande critico che lavorava in solitudine, a modo suo, lontano dalle sirene delle novità. Era Giovanni Getto. Se la personalità degli studiosi si vede anche dagli allievi che hanno prodotto e dalla scuola che hanno formato, Getto entra a buon diritto nel novero dei maggiori: chi direttamente chi indirettamente, se ne considerano discepoli critici di orientamento diversissimo, come Sanguineti e Magris, Beccaria e Mondo, Guglielminetti e Jacomuzzi, Ossola e Ficara, Davico Bonino e Bàrberi Squarotti. E lo stesso Eco non esita a dichiarare l’importanza che ebbe per lui il barocco riletto da Getto.
Nato a Ivrea nel 1913, allievo di Luigi Russo alla Normale di Pisa, ha insegnato per anni nell’Università di Torino al fianco di un altro impareggiabile maestro qual era il linguista Benvenuto Terracini. Due personalità opposte e soprattutto complementari. Ambedue, però, sensibili alla lezione di stile che proveniva da Leo Spitzer e che riuscì, come ha osservato Gian Luigi Beccaria, a «costruire un ponte fruttuoso tra linguistica-filologia-letteratura, perché privilegiava gli elementi analitici e formali, ma per portare infine alla sintesi espressiva e interpretativa». Il repertorio degli interessi di Getto fu amplissimo: dai poeti religiosi dei primi secoli (San Francesco, Santa Caterina e Jacopo Passavanti) a Dante, dal Barocco letterario (su cui ha scritto pagine definitive) a Manzoni, da Leopardi al Novecento. Con sconfinamenti di carattere civile (memorabile il ricordo dell’amico Gino Pistoni, caduto ventenne nella lotta partigiana) e scolastico (come la Storia delle storie letterarie ).
La precoce curiosità onnivora lo ha portato ad allontanarsi ben presto dal crocianesimo e dalle certezze metodologiche che impongono definizioni aprioristiche e rigide applicazioni. Critico di ascendenza cattolica ma sufficientemente attento alle risonanze interne del testo preso in esame per cadere in facili tentazioni ideologiche, Getto fondeva in modo originale l’analisi dello stile e la sensibilità per la tensione spirituale del testo (l’«umanità») con una sterminata conoscenza delle letterature straniere, pur privilegiando le strutture tematiche dell’opera letteraria.
Si capisce bene, dunque, l’interesse centrale per la letteratura barocca come apice della crisi rinascimentale. Intanto, Getto contribuì, con i saggi su Tasso (considerato «il poeta che per tanti aspetti anticipa il Barocco») ma anche con studi più ampi, a far cadere una volta per tutte il pregiudizio crociano sul nostro Seicento letterario. Ma sicuramente individuandovi inquietudini e una instabilità per molti versi simili alla civiltà novecentesca, Getto trovò in quella cultura gli stessi turbamenti che agitavano il suo animo di studioso mai appagato.