La Rochefoucauld (1613-1680) visse in pieno Seicento all’epoca di Luigi IVX e di Richelieu, di cui fu fiero avversario. Nasceva bene, aveva il titolo di principe e di duca e frequentò la corte, i salotti mondani e anche i campi di battaglia. Una posizione di privilegio in un secolo in cui i privilegi contavano molto. Scrisse le sue memorie e un libretto di Massime al quale lavorò di cesello, prima di darlo alla stampa, per una ventina d’anni. E per questo suo libro di Massime è passato alla storia.
Massime
Sono cinquecento massime di poche, pochissime, righe ciascuna, per cui si riesce in ogni caso ad arrivare in fondo, piacevolmente.
Famosissimo alla sua epoca, il libro, oggi è quasi dimenticato, salvo nelle pagine delle storie della letteratura ove è consuetudine esaltarlo come un piccolo gioiello.
Le massime sono un genere letterario che fa categoria a sé e che non entra nel mondo della letteratura vera e propria.
Gli argomenti? Tutto ciò che un moralista un po’ saccente, un po’ pessimista, un po’ disincantato, buon conoscitore degli uomini e delle donne quanto basta per essere misantropo e misogino, può dire della natura umana e della società. Le passioni, l’amore, l’invidia, la gelosia, la curiosità, l’amor proprio, la vanità, la fortuna, l’orgoglio, la ricchezza e la povertà, la giustizia, l’amicizia, la verità, il coraggio, la riconoscenza e l’ingratitudine, l’ipocrisia, la generosità e l’avarizia, l’umiltà, la giovinezza e la vecchiaia, la maldicenza, la timidezza, il torto e la ragione…
L’argomento più trattato sono sicuramente “le passioni”, intese come la parte un po’ animalesca ed istintiva dell’uomo, in conflitto con la ragione. “Per quanto ci curiamo di mascherare le nostre passioni con apparenze di pietà e d’onore, esse traspariscono sempre sotto i veli” (p. 12). Ecco: le passioni sono qualcosa che dobbiamo nascondere e combattere perché “è pericoloso sognarle e bisogna diffidarne” (p. 9) e possono “rendere pazzo persino l’uomo più abile” (p. 6).
Ciò che rimane – o può rimanere – oggi, delle massime di La Rochefoucauld è l’ironia, pungente, tagliente. Il moralismo puro e semplice annoia. Il moralismo con ironia diverte e quindi rimane. Prova ne sia la famosa massima di Oscar Wilde “so resistere a tutto tranne che alle tentazioni”, la più gettonata delle massime di tutti i tempi.
Ecco qualche esempio, dell’ironico francese La Rochefoucauld:
“Tutti abbiamo abbastanza forza per sopportare i mali altrui” (p. 19).
“I vecchi amano dare buoni consigli per consolarsi di non poter più dare cattivi esempi” (p. 43).
“Per quanto bene ci dicano di noi, non ci diranno mai nulla di nuovo” (p. 303).
“Troviamo poca gente di buon senso al di fuori di quelli che sono del nostro parere” (p. 347).
“Gli intelletti mediocri condannano di solito tutto ciò che oltrepassa la loro portata” (p. 375).
“Si conserva a lungo il primo amante, quando non se ne prende un secondo” (p. 396).
“Talvolta è gradevole per un marito avere una moglie gelosa: la sentirà sempre parlare proprio della donna che ama” (p. 16 nell’edizione del 1693).
“Nella maggior parte degli uomini l’amore per la giustizia non è che il timore di soffrire l’ingiustizia” (p. 78).
“Spesso si fa il bene per poter impunemente fare il male” (p. 71).
“Resistiamo alle passioni più perché quelle sono deboli che perché noi siamo forti” (p. 72).
“Le sole copie buone sono quelle che ci mostrano il ridicolo dei cattivi originali” (p. 133).
“È nel carattere dei grandi intellettuali far intendere molte cose in poche parole. Le piccole menti, al contrario, hanno il dono di parlar molto e non dir nulla” (p. 142).
“Nella gelosia c’è più amor proprio che amore” (p. 324).
“Si fa molta fatica a lasciarsi quando non c’è più amore” (p. 351).
“Le menti ristrette sono ferite da piccole cose; i grandi intellettuali le vedono tutte e non ne sono feriti” (p. 357).
“Soltanto le persone che non hanno motivi di gelosia meritano che si sia gelosi di loro” (p. 359).
“La maggior parte dei giovani crede di essere naturale e invece non è che maleducata e villana” (p. 372).
“Possiamo apparire grandi in una carica al di sotto del nostro merito, ma spesso sembriamo piccoli in un impiego più grande di noi” (419).
“Poche persone sanno essere vecchie” (p. 423).
“Guadagneremmo di più a lasciarci vedere come siamo che a tentar di sembrare ciò che non siamo” (p. 457).
“Le liti non durerebbero così a lungo se il torto fosse da una parte sola” (p. 446).
“Non amare affatto è in amore un mezzo sicuro per farsi amare” (p. 302 soppressa).
Memorie
Quest’opera autobiografica fu pubblicata la prima volta nel 1662 all’insaputa dell’autore; solo nel 1874, però, ne uscì un’edizione integrale, ripulita da tutte le interpolazioni. Le Memorie trattano le vicende avventurose della vita di La Rochefoucauld dal 1624 (cioè dagli anni circa del suo ingresso a corte) al 1652, anno in cui si ritirò dalla vita politica: ostile al Richelieu e favorevole alla regina Anna d’Austria, La Rochefoucauld, influenzato in questo periodo dalla bella Madame de Chevreuse, si dà a macchinare intrighi e congiure contro il cardinale, giungendo persino a progettare una fuga della regina in Belgio: ne guadagna otto giorni di prigionia alla Bastiglia (1637) e due anni più tardi un esilio a Verteuil, che dura fino al 1642. Scomparso Richelieu e trattato con ingratitudine dalla regina, La Rochefoucauld, sostenuto e guidato questa volta da Madame de Longueville, si getta nell’avventura della Fronda, un movimento di lotta, prima del Parlamento (1648-1649), poi dell’aristocrazia (1650-1652), contro il potere del re. Ma nel 1652, nel combattimento alla porta Saint-Antoine, è ferito al volto da un colpo di archibugio, che lo priva per qualche tempo della vista. La lunga convalescenza lo indurrà a meditare amaramente sugli anni spesi in intrighi, lotte, amori frivoli: così, messa al bando la politica, si dedicherà alla stesura delle Memorie e delle Massime, confortato dall’amicizia delle maggiori dame della società intellettuale del tempo. Le Memorie, divise in sei parti (tanto più precise quanto più i ricordi si fanno vicini) , pur rivelando le indubbie qualità dell’autore, sono frutto di un lavoro meno meditato e profondo di quello delle Massime.