Indice
L’Ottocento, da cui ha inizio questa rapida rassegna, si apre col romanzo della maturità del sommo scrittore tedesco: Wolfgang Goethe, le cui Affinità elettive (Die Wahlverwandschaften, 1809) fanno di un tema per eccellenza romantico — l’irresistibilità dell’amore, dall’autore inteso come una forma della stessa attrazione che regna tra le sostanze chimiche — un’autentica tragedia classica del fato. La prosa di Goethe, piena e armoniosa, raggiunge qui le altezze della sua lingua poetica. Nello stesso 1809 il romantico Heinrich von Kleist scrive il suo racconto più celebre, La marchesa di O. (Die Marquise von O.), in cui la vicenda paradossale di una donna, rimasta incinta in circostanze a lei ignote e inspiegabili, manifesta tutta l’ambiguità del reale e del volere umano. È un tema caro all’autore, che svolge la narrazione rinunciando all’analisi psicologica dei personaggi a tutto vantaggio di una narrazione tesa e incalzante. Tra i numerosi altri esponenti del romanticismo va menzionato almeno E. T. A. Hoffmann, narratore prolifico e in ogni senso eccessivo, la cui fama è dovuta forse più alle tematiche da lui scelte (occultismo, sogno, ipnosi, satanismo) che a meriti strettamente letterari.
Approdo al realismo
Una prosa già moderna, tutta imperniata sul discorso indiretto libero, s’incontra nella grande novella di Georg Büchner, Lenz, rimasta incompiuta per la scomparsa (1837) dell’appena ventiquattrenne autore. Vi è narrato un fatto reale, la visita del poeta Lenz, obnubilato dall’incipiente pazzia, al parroco protestante Oberlin. Le trenta pagine scarse di questo frammento costituiscono uno dei vertici della narrativa tedesca.
Benché soprattutto poeta e saggista, Heinrich Heine merita di essere letto anche nella sua veste di originalissimo prosatore, ma, più che nell’incompiuto romanzo Il rabbi di Bacharach (Der Rabbi von Bacharach, 1840), nelle sue vivacissime Impressioni di viaggio (Reisebilder, 4 voll., 1826-31), di cui raccomando almeno quelle del Libro Le Grand, dove il tamburino Le Grand racconta le guerre napoleoniche, e quelle dedicate all’Italia, come I bagni di Lucca.
Ormai interamente nell’ambito del realismo si muovono autori come Stifter, Keller, Storm e Fontane. Adalbert Stifter, più che nel romanzo di formazione e nel romanzo storico, entrambi da lui tentati, eccelle nella dimensione del racconto: il suo più bello è Cristallo di rocca (Bergkristall, 1853). Dello svizzero Gottfried Keller si può leggere quasi tutto: da La gente di Seldwyla (Die Leute von Seldwyla, 1856), che contiene il suo racconto più celebre, Giulietta e Romeo del villaggio, alle Sette leggende (Sieben Legenden, 1872); ma chi ha più fiato legga il grande romanzo autobiografico Enrico il verde (Der grüne Heinrich, 1854-55, ed. definitiva 1880). Theodor Storm ha scritto bellissimi racconti, di cui raccomando la storia a cornice Immensee (1851) e L’uomo sul cavallo bianco (Der Schimmelreiter, 1888). Di Theodor Fontane, il più grande romanziere tedesco dell’Ottocento, si potrà leggere il celebre Effi Briest (1895), storia di un adulterio femminile solo apparentemente vicina a Madame Bovary di Flaubert, e il non meno bello La signora Jenny Treibel (Frau Jenny Treibel, 1892).
Ancora nel segno del realismo
Il Novecento narrativo tedesco è dominato dalla figura di Thomas Mann, la cui lunga carriera letteraria avviene senza scosse apparenti sotto il segno di un realismo giunto a completa maturità. Ma a lui, come a ogni grande, ogni etichetta va stretta. Dal sorprendente romanzo d’esordio I Buddenbrook (1901), in cui Mann racconta la “decadenza di una famiglia” borghese di Lubecca, che è poi la sua, alla grande trilogia d’ispirazione biblica Giuseppe e i suoi fratelli (Joseph und seine Brüder, 1934-43), dal romanzo di idee La montagna incantata (Der Zauberberg, 1924), a mio avviso tra i vertici della letteratura di ogni tempo, al Doktor Faustus (1947), in cui si agita la tragedia appena conclusa della guerra mondiale scatenata dalla Germania nazista, tutto merita di essere letto. Chi abbia meno fiato si rivolga almeno ai racconti.
Dall’espressionismo allo sperimentalismo
Quasi coetaneo di Mann, l’ebreo praghese Franz Kafka ha raggiunto solo molto dopo la sua scomparsa (1924) la fama di cui gode ancora oggi: anche se l’ha raggiunta sicuramente più per la stranezza delle sue narrazioni che per la loro notevolissima qualità letteraria. Varrebbe dunque la pena, non potendo leggere in originale i suoi racconti e i romanzi Il processo e Il castello, di cercarne una bella traduzione, possibilmente ‘d’autore’. Nell’ambito dello sperimentalismo joyciano si muove invece l’austriaco Hermann Broch, autore (sempre meno letto) della trilogia I sonnambuli (Die Schlafwandler, 1931-32). Robert Musil, anch’egli austriaco, è famoso per il suo lunghissimo e incompiuto romanzo-saggio L’uomo senza qualità (Der Mann ohne Eigenschaften, 1930-33 e post.), che accanto a personaggi di fantasia pone personaggi storici sullo sfondo di un impero asburgico ormai in via di dissoluzione. Chi non voglia affrontare questa lettura può volgersi al lungo racconto I turbamenti del collegiale Törless(Die Verwirrungen des Zöglings Törless, 1906). Certo meno significativi sono gli altri due austriaci, a tutt’oggi molto letti, Joseph Roth e Arthur Schnitzler. Molto letto è ancora altresì il tedesco Hermann Hesse, del quale — tralasciando la sua produzione di minor gusto — menzionerò l’autobiografico Sotto la ruota (Unterm Rad, 1906) e il celebre Siddharta (1922), che tanta parte ha avuto, dopo il ’68, nella ripresa dell’interesse irrazionalistico per il misticismo religioso orientale.
Dopo la guerra
Il secondo dopoguerra tedesco è segnato in pari tempo dalla rielaborazione psicologica e politica del periodo nazista e dal miracolo economico. L’opera più riuscita e più bella è Il tamburo di latta (Die Blechtrommel, 1959) di Günther Grass, lungo racconto in prima persona di un nano degente di una clinica psichiatrica, scritto in una disinvolta forma straniante dalle punte comiche e paradossali. A questo romanzo può avvicinarsi Lezione di tedesco (Deutschstunde, 1968) di Siegfried Lenz, in cui la narrazione, sostenuta dal recluso di un riformatorio, verte sul divieto di dipingere imposto dal nazismo a un pittore, sotto il quale è adombrato Emil Nolde. Altra figura di spicco del dopoguerra è Heinrich Böll, cattolico dal forte impegno politico, il cui capolavoro è Foto di gruppo con signora (Gruppenbild mit Dame, 1971). Autore dalla scrittura densa e poderosa benché meno immediata è Wolfgang Koeppen.
Uno, e forse due dei maggiori scrittori di lingua tedesca di questo periodo vanno cercati in Svizzera: di Max Frisch, più che il noto Homo faber (1957), segnalo lo splendido Stiller (1954), storia di un uomo che cerca di sfuggire alla propria identità: una parte del romanzo si svolge a Davos, atto di consapevole omaggio ma anche di orgogliosa emulazione del Mann della Montagna incantata. Acuto, brillante, a tratti irriverente è l’altro svizzero Friedrich Dürrenmatt, la cui lettura non delude mai.
Della narrativa più recente, a parte il celebre Peter Handke e il premio Nobel Elfriede Jelinek, segnalerò soltanto il curioso e un po’ inconsistente best-seller Il profumo (Das Parfüm, 1985) di Patrick Süskind, e l’ammirevole, davvero originale Austerlitz (2001) di Georg Sebald. Il romanzo della riunificazione tedesca, invocato e cercato dalla critica, nonostante qualche falso allarme non s’è ancora visto.