Risulta essere vero che non esiste un greco unitario, e si può dire che il greco è fatto di tanti dialetti a partire dall’VIII secolo a. C.; le nostre testimonianze si limitano al I millennio a. C., l’epoca storica più antica cui possiamo risalire. In questo periodo si possono riconoscere quattro gruppi linguistici: arcado-ciprio, eolico, ionico-attico e greco occidentale (quello che normalmente si designa come dorico), abbastanza omogenei; l’area comprendeva penisola balcanica, isole dell’Egeo, coste dell’Asia minore, Calcidica, Creta e Cipro e colonie della Magna Grecia, ritenute come appendici linguistiche. Nel V secolo è possibile individuare una maggiore varietà all’interno delle quattro famiglie dialettali, trovare cioè delle sottofamiglie, operazione possibile grazie alla documentazione che abbiamo del periodo. L’impressione è che con il procedere del tempo aumenti la varietà linguistica, mentre a fare la differenza è il numero di testi disponibili; è difficile dire se a monte della molteplicità dei dialetti del I millennio ci sia un’unità, di che greco si parli e se si debba parlare di greco. Ci si deve basare su ragionamenti di buonsenso, ricostruzioni storiche o testimonianze archeologiche; cosa c’è dietro il greco storico? Si potrebbe dire che la fase precedente fosse l’indoeuropeo, nato in seguito alle migrazioni di popoli dell’XI secolo, ma quando e come? Forse doveva esserci un’unità di qualche genere, culturale, se i Greci pur sapendo di essere Ioni Dori ecc. si chiamavano tutti Ἕλληνεσ (pensa alle istituzioni come il simposio simili e diffuse dall’Asia Minore all’Attica); anche la storia di Elleno e dei suoi figli fa pensare alla percezione di una stirpe comune. Dalla metà del II millennio fino al 1200 la civiltà micenea civilizza gran parte della penisola balcanica, è quella civiltà che traspare dai poemi omerici. Il miceneo è la più antica attestazione del greco, ma non è il padre dei dialetti. Si parla di Pelasgi ed Eteocretesi come popolazioni stanziate nella penisola balcanica prima degli Ἕλληνεσ, cosa molto probabile; si pensa anche agli Achei come popolazione greca di età molto alta, sovrapposti talvolta ai Micenei, non si pensa quindi a popoli indigeni come i Pelasgi ma a popoli greci dunque indoeuropei antecedenti a quelli di età storica. È complicato mettere in relazione tutti questi elementi in chiave cronologica e logica, ma sono nate in ambito scientifico diverse teorie tra loro contrastanti, a partire dalla seconda metà del XIX secolo soprattutto in Germania:
– Brugmann (1904) elabora la cosiddetta teoria dell’albero genealogico, secondo la quale i dialetti sono rami bassi di un albero genealogico che ha a monte un’unità originaria e che si siano formate queste lingue attraverso un processo evolutivo divergente, di differenziazione; quest’unità è chiamata da Brugmann protogreco figlio dell’indoeuropeo figlio del protoindiano. Obiezione: il meccanismo di evoluzione delle lingue non è così semplice e ovvio, non c’è discendenza diretta ma i cambiamenti sono impredicibili, non è un processo divergente ed immune da contaminazioni, verrebbe da sovrapporre all’albero genealogico una serie di fenomeni di convergenza e di innovazione, poiché non si dimentichi che la lingua è prodotto degli uomini e quindi va soggetta ad innovazioni. Tuttavia l’idea dell’albero genealogico è parzialmente corretta, è forse vero che a monte ci sia unità e si percepisca parentela tra lingue differenti.
– Schmidt (1865) elabora la teoria delle onde: egli osserva proprio che la lingua non si propaga per un processo di divergenza omogeneo, in alcune zone resta uguale a se stessa, in altre si hanno innovazioni, in altre queste vengono recepite in tempi diversi, insomma il suo movimento è simile alle onde generate da un sasso gettato nell’acqua, che non toccano allo stesso modo tutti i punti della superficie dell’acqua. Il processo non è determinato da rigore o da leggi precise, e anche se Schmidt non ha molto successo è importante la sua intuizione su questi movimenti della lingua così complessi.
– Paul Kretschmer (1896) individua un processo opposto a quello di Brugmann, ritenendo che la molteplicità linguistica stia a monte del processo di sviluppo del greco, si parte dalla varietà e dall’unione delle varietà nascono i dialetti di età storica, frutto di un processo di convergenza linguistica: secondo lui esistevano gruppi linguistici separati che entrano in contatto e generano i dialetti che sono molto meno vari delle lingue originarie. Quindi arrivo degli indoeuropei nella penisola balcanica, contatti con popolazioni preesistenti dopo gli stanziamenti in diverse regioni, nascita di gruppi etnici separati: Eoli e Dori nella parte Nord, altri si spingono verso Sud e da questi nascono i Micenei; dal Nord Eoli e Dori si spostano a Sud e dall’incontro tra Micenei Eoli Dori nasce la mescolanza dialettale attestata dal I millennio. L’eolico storico ha origine a Nord in Tessaglia e le popolazioni doriche sembrano derivare da Nord-Ovest come lui sostiene, e sembrano esserci parentele tra lingue occidentali come l’osco-umbro e questi dialetti. Egli sa di dover fare i conti con la documentazione storica e non solo ragionare con il buonsenso. Questa teoria è ripresa da Vittore Pisani negli anni Cinquanta ed egli la contempera con le due precedenti. Secondo Chedwick non c’è mai stata invasione dorica, i Dori nel Peloponneso non avrebbero soppiantato i Micenei ma ci sarebbero sempre stati nelle classi umili dei Micenei, e la loro lingua sarebbe il miceneo normale, e quella delle nostre tavolette sarebbe una lingua speciale, di una élite delle classi alte. A suo avviso per una normale evoluzione sociale le classi basse avrebbero preso il posto delle classi elevate. Ma il miceneo presenta punti di contatto con diversi dialetti della grecità: ionico eolico arcadociprio, ma mai con il dorico, non ha isoglosse congiuntive con il dorico; meglio non si attestano isoglosse solo doriche congiuntive con il miceneo, che farebbero intravedere una parentela; alcuni elementi comuni ci sono, ma non sono tipici del dorico, appartengono anche ad altre aree.
Anche il greco si produce nella sua varietà linguistica attraverso il sommarsi di processi di divergenza e convergenza: ad esempio il beotico si è staccato dalla famiglia principale della Tessaglia, secondo Pisani ha parentele con i dialetti occidentali e con l’attico: il loro stanziamento è vicino all’Attica e ci sono sicuri contatti con le popolazioni occidentali, quindi il dialetto da cui nasce il beotico è il tessalico di matrice eolica, ma con la sovrapposizione di elementi attici e dorici. Quanto agli indoeuropei, si stanziano intorno al 2000, si sa grazie ad elementi linguistici, la stessa idea di indoeuropeo come etnia è suggerita dai linguisti, la lingua è inequivocabile tratto che unisce, solo in seguito arrivarono storici ed antropologi a completare l’identità indoeuropea. Si dividono in stirpi, almeno due ionica ed eolica che si stanziano a Nord ed in seguito muovono verso Sud: i Dori vanno a sostituire nel Peloponneso Micenei o Achei, per la presenza dei Dori nel cuore della Grecia, e perché tra gli elementi dialettali che formano il dorico c’è l’arcado-ciprio, la prima regione montuosa nel cuore del Peloponneso, la seconda grande isola del Mediterraneo. Forse in Arcadia e a Cipro ci sono sacche di resistenza di una lingua altrove soppiantata: gli Achei sono cacciati e restano in isolamento, anche in Arcadia e a Cipro, le somiglianze stanno a monte e non ci sono colonizzazioni. Il dorico si inserisce come innovazione su un sostrato di lingue preesistenti, e si spiegano così le parentele con esse. Gli Eoli si spostano in parte verso Sud-Est (Beozia) e si spostano verso Oriente, coste dell’Asia Minore, Lesbo che ha parlata eolica anche se atipica rispetto ai Tessali (convergenza con la lingua preesistente, contaminazioni dei Lesbi con la parte ionica dell’Asia minore). Sembra che ci fossero piccoli spostamenti di Tessali anche in epoca precedente, ci sono isoglosse tra lingua eolica e dorica e con l’arcado più antico. Riguardo allo ionico-attico è confinato ad un’area, ionico in Asia Minore e in Eubea; alcuni pensano che gli ionico-attici arrivino da Oriente a colonizzare la penisola balcanica, altri che vengano dalla penisola balcanica e vadano verso l’Asia minore, e che gli Attici non siano gli Ioni ma un gruppo autonomo. Sembra certo che lo ionico-attico sia rimasto quasi indenne da invasioni eoliche e doriche, potrebbe attestare come l’arcado-ciprio le fasi più antiche del greco. Parlando di dialetti del V secolo si può pensare ad un’unità originaria, perché al di là della varietà dei dialetti ci sono elementi comuni a tutti i dialetti greci. Oltre alle isoglosse poche ma presenti tra i dialetti, ci sono tracce di unità che stava a monte in elementi che evidenziano parentele tra realtà in apparenza distanti, dal punto di vista non solo geografico. Si può quindi parlare di un protogreco, unità verificabile prima della differenziazione dialettale: il miceneo è un dialetto tra i tanti, non è alla base degli altri anche se le attestazioni sono antiche: ci sono innovazioni nel miceneo rispetto al protogreco che non sono condivise da tutti gli altri dialetti greci. Un esempio è il fenomeno tipico dell’attico chiamato assibilazione, trasformazione in sibilante; la 3 pers sing della flessione atematica è in σι, ma in indoeuropeo nella posizione della sibilante dell’attico doveva esserci una dentale (cantat), in dorico questa dentale si conserva, abbiamo τίθητι; il *ti dell’indoeuropeo si esprime perciò in modo diverso, il passaggio di dentale a sibilante vicino alla vocale chiusa ι dell’attico è un’innovazione, posteriore alla fase dell’unità e dunque al protogreco, come prova il dorico; il miceneo ha l’assibilazione, è chiaro che non è il padre del dorico, non è l’unità che cerchiamo. Ci sono anche innovazioni assenti dal miceneo e presenti in quasi tutti gli altri dialetti storici: per esempio il miceneo non conosce per il numerale 1 la radice notissima agli altri, εἷσ μία ἕν, la radice era hen, all’inizio c’era un suono che ha lasciato come traccia l’aspirazione (vedi lat semel); l’indoeuropeo era *sem, in greco la sibilante iniziale si è trasformata in spirito aspro poiché si indebolisce l’articolazione, e la nasale labiale diventa dentale, in particolare in fine di parola del neutro; il femminile prova che la nasale era labiale, μία è la stessa radice senza vocale intermedia, sem è radice apofonica e si usa il grado 0 sm, che per semplificazione del nesso iniziale diventa m. Questo numerale non è usato dal miceneo, è innovazione successiva ad esso ed ecco un’altra prova che non costituiva l’unità antecedente; tutti gli altri nascono oltre che da un processo di separazione dall’unità, da un processo di convergenza reciproca: l’innovazione di εἷσ è stata introdotta in qualche area che ha contaminato le altre (pensa a quanto è facile contaminarsi nei numerali, commerci in cui è importante intendersi sulla quantità). Le innovazioni che non sono nel miceneo sono probabilmente entrate in epoca successiva rispetto allo sviluppo del miceneo, esso usa altri radicali sempre di matrice indoeuropea; attesta un uso più antico per indicare l’unità. Il protogreco non era monolitico, non aveva un unico modo per designare le stesse cose, quell’unità aveva al suo interno una varietà di modalità espressive della medesima categoria: vedi l’uso della particella modale ἄν, che in Omero è κε, che non viene dalla stessa radice, le due radici sono attestate in diverse lingue indoeuropee; le due alternative si equivalgono, probabilmente il protogreco le conteneva entrambe, in seguito i dialetti hanno privilegiato l’una o l’altra, divergenza da un’unità non monolitica. L’articolo determinativo ha una dentale nella radice, che manca in Omero con il valore di articolo, è presente come deittico, la radice in dentale è quella del deittico; una parola che si accompagna a un’altra per determinarla è innovazione del greco e diventa comune a tutto il greco, ma si introduce anche una divaricazione: nom plur masch e femm in alcuni dialetti è οἱ αἱ, in altri è τοί ταί, si introduce subito dopo l’innovazione, le forme οἱ αἱ sono analogiche rispetto al singolare ὁ ἡ che usa un radicale sigmatico so sa; la flessione del plurale invece continua con la dentale τῶν τοῖσ, è la forma conservatrice mentre οἱ αἱ è innovativa.
La dialettologia è una scienza con due obiettivi: capire in che relazione siano tra loro i dialetti storici (storia della lingua), e descriverne la struttura in maniera sistematica (con l’aiuto della morfologia storica). Ci sono oggi due approcci alla dialettologia che cercano di raggiungere questi obiettivi. Gli strumenti per analizzarli, le fonti, sono le testimonianze degli antichi grammatici, la lingua della letteratura e la lingua delle iscrizioni. I grammatici non sono affidabili quanto a scientificità e sistematicità, perché anche i trattati di dialettologia sono distanti dai dialetti storici (περὶ διαλήκτων, opera del vescovo Gregorio di Corinto nel XIII secolo d. C., anche lui doveva ricostruire qualcosa di lontano), e inoltre le osservazioni sulla lingua sono fatte con criteri non sistematici ed analogici e poco scientifici (vedi Cratilo di Platone, belle osservazioni ma con errori). I testi di letteratura sono piuttosto utili per comprendere alcune caratteristiche dei dialetti storici, ma una lingua letteraria non è il riflesso della lingua dell’uso, le connessioni tra le parole sottostanno a leggi diverse da quelle del parlato e in certi casi anche prese singolarmente sono ricercate e sconosciute al parlato; anche la flessione può presentare delle differenze tra le due lingue. Inoltre esiste un problema di dizione che non si limita all’opposizione livello alto / livello basso: gli aedi si servivano di formule tipiche della dizione epica, già connesse e fissate nella tradizione, facevano parte di una lingua stratificata e non connotata in una sola direzione dialettale, questo perché nasceva in luoghi differenti della grecità. Pindaro di Tebe scrive in una lingua con una patina dorica vistosa, diversi elementi eolici in cui rientra il beotico ma solo a tratti; anche la sua lingua è un miscuglio con prevalenza di influssi occidentali, e questa era la prova che per la dizione poetica Pindaro si rifà ad una lingua tradizionale, quindi usando la lingua delle sue poesie non è possibile ricostruire né la lingua di Tebe né la lingua di Sparta dei suoi tempi, la sua lingua letteraria è altro da entrambe; è impossibile fare un discorso dialettologico scientifico partendo dalla lingua letteraria. Insorge anche il problema della tradizione del testo, delle copie e degli errori di copia; si è portati ad adattare la trascrizione alla propria lingua normale e corrente, e i copisti potrebbero averlo fatto: il copista attico tende ad atticizzare la lingua del testo che copia, dunque aggiunge un rivestimento linguistico che non appartiene all’originale. Ciò accade ancora più spesso nella tradizione indiretta, quando un autore ne cita un altro più antico traendolo a sua volta da una tradizione che ha in mente, che aveva errori di copia, e l’autore che cita la adatta alla propria lingua. Vedi testo di Pausania (II sec d. C., libro V, cap 24 par 3): egli parla di una statua votiva sotto la quale c’era un’iscrizione che lui ricopia, ed è stato ritrovato lo stesso piedistallo su cui si trova l’originale; si può perciò considerare il rapporto linguistico tra originale e tradizione indiretta. La statua votiva era lasciata dagli Spartani ad Olimpia in Elide dove si parlava eleo, dialetto di famiglia dorica diverso dal laconico; la lingua delle iscrizioni dei templi può essere la lingua del luogo o l’originale di chi la dedicava, e questo è il caso della nostra iscrizione, che è in laconico. Già si nota che non si verifica il processo di copia che altera il testo letterario, il supporto è quello originale; l’inconveniente è la possibilità di errori dovuti alla deperibilità del materiale stesso, è necessario integrare per guasti meccanici. Ricorda che le iscrizioni sono in maiuscolo, scriptio continua e senza segni diacritici. Pausania: accogli signore Zeus Cronide Olimpio la bella statua con animo benevolo verso gli spartani (oppure con anomalia sintattica da parte degli spartani, di solito nelle iscrizioni votive era presente chi dedicava la statua). Prima parola δέξο identica ricostruita su Pausania, seconda: ἄναξ / ϝαναξ (iscrizione del VI-V sec a. C.), in Laconia è ancora in uso il digamma mentre ad Atene forse non era più in uso. Κρονίδα, att Κρονίδησ dor Κρονίδασ, voc masch 1 decl, l’iscrizione riflette la medesima forma anche se alla fine dell’iscrizione c’è uno ι espunto dall’editore, considerato errore del lapicida. Pausania Ζεῦ, iscrizione Δευ, da radice indoeuropea dieu con i semivocalica, questo nesso produce ζ da cui Zeus; in laconico abbiamo δ perché il nesso δj produce assimilazione, cioè da δj a δδ (vedi δικάζω da δικάδδω lacon δικάδδω, ricorda la legge del minimo sforzo alla base di tutte le modificazioni fonetiche in tutte le lingue); però una doppia non sta a inizio parola e perciò δδ si semplifica in Δευ. Pausania Ολύμπιε, iscrizione Ολύνπιε; per la legge del minimo sforzo è più agevole μπ, due labiali, la forma di Pausania vi corrisponde; Ολύνπιε introduce una dissimilazione, la ν diventa dentale complicando l’articolazione, perché in quest’area c’è una tendenza a scandire le sillabe, e cambiare luogo di articolazione aiuta a separarle meglio; questo fatto ha anche riscontro grafico come appare dal caso presente. Καλὸν ἄγαλμα è identico in entrambi. Pausania: ἱλάῳ, iscrizione ιληωι, l’editore ha integrato lo ι ed ha segnato come lunghe la e e la o.
Come si isolano le famiglie dialettali?
L’elemento guida usato dal dialettologo è l’isoglossa, documento sulla cui base si costruiscono le famiglie; è un elemento linguistico che accomuna tra loro alcune zone parlanti greco, o che divide alcune zone da altre (pensa alla filologia, le isoglosse sono come gli errori guida congiuntivi per i codici fratelli e separativi). Osserva alcuni fenomeni, assibilazione: attestata in alcune aree fenomeno per cui sibilante + vocale chiusa soprattutto ι è il risultato dell’evoluzione di una dentale + vocale chiusa, ti / si; è attestato in attico, non nei dialetti dorici dove si conserva la dentale. Caso di assibilazione 3 pl ουσι viene da οντι, che evolve in ονσι in attico, che evolve in ουσι con scomparsa del n e l’allungamento di compenso. Fenomeno di α lungo indoeuropeo che si incontra nella forma di η, isoglossa attestata in alcune aree, presente in ionico-attico, assente in dorico Regole fondamentali: 1 solo il comparativismo linguistico permette di dire l’ultima parola sulla realtà dei fenomeni, per definirli non basta possedere un solo dialetto o una sola lingua; 2 distingui fra la pronuncia e la grafia, la resa grafica di a lunga indoeuropea è α o η, ad ogni fatto grafico corrisponde un fatto fonico e normalmente un fatto fonico si esprime con uno e un solo fatto grafico, mentre un fatto grafico può sottendere anche più fatti fonici (pensa all’italiano, se per esprimere lo stesso suono o si usassero diversi grafemi ci sarebbe ambiguità e non sarebbe economico; ma il segno o sottende sia il suono o aperto sia chiuso; per restare nel greco capita nelle epigrafi che il segno ε indichi e breve, e lunga e in attico ei, cioè e lunga chiusa; anche qui nascono casi di ambiguità, e c’è bisogno di disambiguare e ciò accade anche in greco). L’isoglossa consiste nel fatto che un elemento vocalico che in alcune aree suonava a lunga in altre si avvicinava ad e lunga, e nasce l’esigenza di segnarla diversamente e diventa così η. Altra isoglossa: in alcune aree il sostantivo στρατιώτησ ha gen στρατιώταυ; rassegna: attico στρατιώτου ma gli attici barano: ἵππου radice hip, vocale tematica o perché è nome della seconda, poi in indoeuropeo gen dei maschili *sio con i semivocalica, ἱππόσιο, σ cade tra vocale e semivocale, cade ι, οο contrae ου; la sibilante diventa simile alla semivocale, diventa un’altra ι ἱπποιιο, e le due semivocali semplificano e una scompare per facilitare la pronuncia, ἵπποιο è attestatissimo in Omero; la semivocale si lenisce e si riduce quasi a un’aspirazione, una separazione tra le o sempre meno percettibile (fase non attestata), cade del tutto anche l’aspirazione e rimane ἵπποο forma non attestata ma ricostruibile in alcuni contesti, poi fusione di οο in una sola vocale lunga chiusa. In στρατιώτησ tema τα con α lungo, aggiungi sio, στρατιώτασιο, στρατιώταο; in attico α + ο o contrae o c’è metatesi quantitativa, ma non succede, ma si prende la desinenza tematica e si traspone sul tema dei maschili in α, perché i sostantivi della seconda sono maschili, ου era percepita come desinenza di genitivo maschile. Dunque στρατιώτου è forma analogica, ma in ionico in ταο α diventa η e ο si affianca, στρατιώτηο, poi metatesi quantitativa in εω. In dorico ed eolico α si conserva e con ο contrae generando α lungo, στρατιώτα. La desinenza αυ è in alcune aree, l’Arcadia e Cipro, ed è frutto della chiusura di ο nella pronuncia, andando verso u e generando incontro tra vocale e semivocale, dunque diventa dittongo. Altra isoglossa: in alcune aree e testi letterari si trova la desinenza di dat plur 3 declinazione atematica in εσσι, diffusissima in Omero, Saffo e Alceo; fino a poco tempo fa si pensava che fosse artificiale e solo letteraria, ma è anche testimoniata da alcune iscrizioni tessaliche dalle quali sembra si possa dedurre che era anche desinenza della lingua dell’uso. Una possibile spiegazione è che nasca dai temi in σ della flessione atematica (γένοσ γένεσι), tutti i casi si formano dal tema puro con apofonia γενος γενεσ, così a γενεσ si aggiunge la desinenza σι e diventa γένεσσι, in ionico-attico scempiato dopo l’affievolimento. In eolico si è percepito parlando εσσι come fosse una desinenza, e da questo falso stacco desinenziale nasce l’abitudine di usarlo come desinenza con vari termini della flessione atematica.
Tutto il greco rende le occlusive sonore aspirate con le occlusive sorde aspirate; in tutto il greco sembrano esserci due esiti per j ad inizio parola, o aspirazione cioè spirito aspro o consonante doppia ζ; esempi: a fronte del latino iugum il greco è ζυγόν, identici con la sola esclusione dell’elemento iniziale che rimanda a un indoeuropeo con i semivocalica iniziale. Secondo esito: latino iecur con e lunga, greco ἧπαρ, dietro abbiamo una medesima radice indoeuropea che termina con un elemento liquido che in grcco diventa αρ, α è risultato di sonantizzazione della liquida, e lunga c’è da entrambe le parti; quella che nel latino è cu e in greco è π rimanda ad un unico elemento consonantico dell’indoeuropeo, la labiovelare, che in latino si conserva qualche volta ma in altri casi o perde la componente velare o quella labiale, in questo caso cu rende la labiovelare; in greco le labiovelari hanno subito modificazioni a seconda del contesto fonetico, qui diventa una labiale (ma in altri casi diventa dentale, que τε, quis τισ). In latino abbiamo all’inizio una i semivocalica, in greco uno spirito aspro che rimandano ad una j indoeuropea; radice jekwr, il greco genera dalla liquida r la a per agevolare la pronuncia. L’isoglossa poggia sulla dualità di esito in greco della medesima forma indoeuropea; potrebbe trattarsi della presenza o assenza di consonante laringale nella forma indoeuropea, gli esiti diversi sarebbero dovuti alla presenza o assenza di essa; ha influenza in tutte le lingue, non attestate ma ricostruite, tranne l’ittito. In tutto il greco la nasale labiale indoeuropea in fine di parola diventa nasale dentale, vedi iugum vs ζυγόν, tutte le desinenze della flessione nominale all’accusativo, anche la α è una nasale sonantizzata. In tutto il greco non è possibile trovare in fine di parola delle occlusive, ma liquide, nasali, sibilanti (tieni fuori ἐκ e οὐκ proclitiche, dal punto di vista fonico blocco unico con la parola successiva). La seconda di queste isoglosse è attestata già nel miceneo, mentre si suppone che le altre siano più antiche del miceneo, non c’è traccia di occlusive sonore aspirate in tutto il sistema del greco e il miceneo si fonda forse su quello (purtroppo non si può verificare perché le aspirate in miceneo coincidono tra sorde e sonore, la distinzione non è contemplata nel sistema sillabico miceneo).
Esame dello ionico-attico, diffuso in Attica, Eubea, coste dell’Asia Minore, alcune isole dell’Egeo e regioni dell’Italia meridionale colonizzate da madrepatria ionica o attica.
Ricerchiamo le isoglosse congiuntive dello ionico-attico e separative del resto del mondo greco:
1) Isoglosse fonetiche:
– a lungo panellenico si esprime in ionico-attico come e lungo (isoglossa relativa ai suoni, dicendo η si allude alla grafia); la a fu pronunciata nel tempo con apertura molto meno marcata e ci si avvicinò tanto alla e aperta da richiedere una grafia diversa, e si scrive come la e lunga originaria; nelle iscrizioni più antiche μήτηρ si scriveva μητερ, in indoeuropeo doveva esserci nella prima sillaba a lungo, nella seconda e; si arrivò nel tempo a pensare di dover scrivere la prima vocale come la seconda, si usa e μετερ; quando nasce il segno η esso non sostituisce subito entrambe le e, in alcune iscrizioni abbiamo μητερ, η fu usato prima per indicare e lunga derivata da α poi anche per indicare e lunga originaria. Questa è la prova che un segno può corrispondere a due suoni, ma mai accade che due segni siano adoperati per un suono solo; se in una fase del greco la e lunga è scritta in modo diverso in caso derivi da α o sia originaria, in questa fase le due vocali non suonavano in modo identico, la prima più aperta della seconda. η come segno per e lunga è introdotto dagli Ioni perché nell’area ionico-attica si ha questa esigenza di indicare a lunga con un segno diverso, in altre aree a era pronunciato a. Questa isoglossa conosce in attico una sorta di eccezione: se a è preceduta da ε ι ρ essa ritorna ad α, il meccanismo evolutivo era cominciato anche in Attica ma poi si è arrestata la chiusura ed il suono rimase più affine ad a che ad e, ma è un ritorno che permette di verificare la cronologia relativa di altri fenomeni: pensa a κόρη, prima di η c’era un digamma dunque l’originario κόρϝα diventa κόρϝη, cade il digamma postconsonantico ma a quel punto il fenomeno del ritorno di e lunga ad a lunga è già esaurito, questo fenomeno smette di agire prima della caduta del digamma postconsonantico.
– in ionico-attico e più di frequente in ionico alcuni gruppi di vocali (αο, ηο, ηα) sembrano scambiare la loro quantità (αω, εω, εα); nella lingua ionico-epica di Omero sono attestati tutti i passaggi. La metatesi è attestata solo con i nessi citati (perché?); ci si è accorti che nella lingua della poesia dove c’è metatesi c’è sinizesi (vedi Il 1); ῆο è bisillabico, εω è monosillabico.
– Fenomeno dell’assibilazione: in ionico-attico quando dentale sorda è seguita da vocale chiusa specialmente ι, la dentale diventa sibilante. È isoglossa comune ad arcado-ciprio ed eolico di Lesbo, innovativa rispetto al greco originario, presente nel miceneo.
– Il digamma cioè u semiconsonantica in ionico-attico scompare in epoca antica, anche se non in tutte le posizioni nel medesimo tempo. Il digamma ha una natura più vicina alla consonante che alla vocale, per questo cade solo in certe posizioni dove era più difficile articolarlo. In certi momenti ha avuto un tale peso da far nascere un segno grafico per designarlo, in seguito quando ha una natura più vocalica e serve solo per i dittonghi si perde il segno con la perdita del suo peso fonico.
2) Isoglosse morfologiche relative a nome e pronome:
– i sostantivi maschili in α lungo si presentano con il nominativo sigmatico; σ infatti non è desinenza ma segnacaso, normalmente il nominativo maschile è rappresentato dal tema puro con l’aggiunta di σ che marca la parola al nominativo.
– i sostantivi della flessione atematica con tema in ι si flettono secondo un modello politematico (in Omero puoi trovare πόλιοσ πολίεσσι, πόλισ come acc plur ma con ι lungo per compenso dopo la caduta di ν prima di σ), insomma solo tema in ι senza politematicità.
– nella flessione dell’articolo determinativo, che in origine era un deittico, il nominativo plurale nasce dal radicale sigmatico per analogia con il singolare che è ὁ ἡ per tutto il greco; negli altri dialetti il plurale è τοί ταί, tratto innovativo dello ionico-attico.
– ἡμεῖσ viene dalla radice ns e suffisso pronominale σμε + desinenza; νσσμε semplifica in νσμε, la nasale sonantizza diventando ἁ perché è scomparsa la sibilante, traccia retrograda lo spirito perché riguarda l’elemento che precedeva la sibilante, fatto non comune, avviene quando la scomparsa dell’elemento farebbe cadere qualcosa di troppo importante a livello comunicativo, qui significherebbe la quasi totale scomparsa della radice del pronome. Ἁσμε semplifica con la scomparsa dell’altra sibilante e la vocale si allunga per compenso in ἁμε, che si trasforma poi in ἡμε; vi si aggiunge εσ desinenza della flessione atematica e si forma ἡμεῖσ per contrazione. L’aggiunta di εσ è l’isoglossa dello ionio-attico, in altri dialetti ἁμε rappresenta già la voce pronominale, in dorico l’accusativo di noi è ἁμέ; è il caso che si forma dalla radice pura da cui si partiva per formare gli altri casi, il nom è ἁμέσ per stacco di ε considerata desinenza di accusativo e aggiunta di σ. In ionico invece ἁμε è considerato non accusativo ma tema, dunque si aggiunge εσ ad esso. In eolico σμ evolve con l’assimilazione di sibilante a nasale, dunque da ἁσμε si ha ἄμμε, con spirito dolce perché è dialetto con deaspirazione all’inizio di parola, nominativo ἄμμεσ. Lo stesso vale per il pronome di seconda persona, la radice rimandava a vs cioè u semivocalica che vocalizza in greco e diventa fricativa in latino; u è lunga come ἡ pepehé agisce l’allungamento di compenso. La flessione dei pronomi era in origine autonoma rispetto a quella dei sostantivi, ha desinenze indipendenti; col tempo intervengono forme sincretiche tra le flessioni e le desinenze dei nomi sono estese ai pronomi e in alcuni casi viceversa.
3) Isoglosse relative alle preposizioni e agli avverbi:
Originariamente quelle che chiamiamo preposizioni dovevano essere avverbi, cioè elementi che affiancavano il verbo precisandone la relazione con il resto della struttura sintattica; i casi che seguivano erano indotti dal senso del verbo o del preverbio, non c’era idea di reggenza. In seguito il parlante percepisce l’avverbio come necessariamente seguito da quel caso, determinato dal preverbio stesso: ἐκ con il genitivo, via da + caso dell’allontanamento cioè genitivo, εἰσ + accusativo perché è il caso del movimento verso, ecc. Gli stessi verbi composti sono verbi la cui nozione è precisata dal preverbio e la relazione con gli altri elementi della frase è così profonda che verbo e preverbio vengono percepiti come una cosa sola, tanto che ad un certo punto si cominciò a ripetere la preposizione, cosa non obbligatoria per rendere il senso. Nota: la separazione tra verbo e preverbio, cosiddetta tmesi, non è in realtà tale ma è solo un caso in cui è salvaguardata l’autonomia dell’elemento preverbiale. L’avverbio ha funzione disambiguante perché i casi che noi conosciamo hanno assorbito le funzioni di quelli indoeuropei scomparsi per un fenomeno di sincretismo, medesime desinenze hanno determinato una riduzione dei casi con ampliamento delle loro funzioni. Questo sincretismo è anche alla base dell’alternanza di desinenze, nel caso siano diverse, dei casi che uno ha assorbito.
– Non troviamo in ionico-attico preposizioni e avverbi apocopati, cosa normale all’interno delle altre aree dialettali.
– Per esprimere il moto verso luogo si usano le preposizioni-avverbi εἰς / ἐσ + accusativo; la maggior parte delle altre aree dialettali usano ἐν con valore sia di stato, con dativo, sia di moto, con accusativo (pensa al latino o all’italiano, in ha entrambi i valori). Si tratta di un’innovazione dello ionico-attico, originariamente infatti la preposizione era unica ed era il caso a sottendere l’idea di stato o di moto. Εἰσ nasce da integrazione di σ, ἐνσ semplificazione del nesso e allungamento di compenso; ἐσ è ancora più innovativo e nasce dall’analogia con en, è percepito come suo contraltare.
L’arcado-ciprio
La comunanza linguistica tra queste aree testimonia una fase più antica di sviluppo del greco e le isoglosse separative rispetto agli altri dialetti sono innovazioni.
– In quest’area è fortissima la tendenza all’assibilazione, è un esempio il pronome τισ che diventa σισ, assibila anche la dentale non originaria (ricorda che era una consonante labiovelare).
– I temi in ευσ dell’attico si presentano in ησ per una differente trafila fonetica, in ionico-attico entra in gioco l’abbreviazione di dittongo lungo per legge di Osthoff.
– Il genitivo singolare dei maschili in α ha desinenza in αυ, da αο per oscuramento, fenomeno attestato in molti casi in questo dialetto: la liquida sonante λ ρ che in attico sviluppa in αρ ρα αλ λα tende a sviluppare in ορ ρο ολ λο.
– Il dativo singolare della flessione tematica è οι, per quel fenomeno di sincretismo dei casi: ῳ dell’attico è vera desinenza di dativo, οι è desinenza di locativo e dà origine alla i lunga di domi, è quella che compare in quelle che saranno chiamate forme avverbiali οἴκοι e πέδοι, che in attico sono la cristallizzazione di una desinenza che non esiste più, in arcado-ciprio accade il contrario e οι ricopre anche le funzioni del dativo. In iscrizioni antiche non è possibile distinguere quale delle desinenze era sottesa ad οι, perché l’alfabeto in una fase antica non distingueva le brevi e le lunghe.
– Il suffisso rafforzativo dei deittici (vedi ὅδε dell’attico) in arcado-ciprio è νυ: ὅνυ o ὅν con apocope di u, τόνυ o τόννυ; questo suffisso ha valore deittico come il tema base.
– Il congiuntivo attivo 3 sing esce in η senza iota sottoscritto, tanto che spesso nelle iscrizioni la mancanza di esso se è sistematica allude ad un’assenza morfologica. Nella nostra percezione il congiuntivo è caratterizzato dalla vocale tematica lunga, quella che diventa nel tempo anche la percezione dei Greci; quando manca vocale tematica si deve individuare il morfema che è marca modale, pensa ad Omero in cui esistono molte forme di congiuntivo cosiddette a vocale breve (es ἴομεν εἴδομεν), che sono congiuntivi originari in cui individuiamo il morfema di congiuntivo, la vocale breve: ἴομεν: radice ι, desinenza μεν, verbo atematico quindi ο marca modale. La marca del congiuntivo si può presentare come ε oppure ο, elemento identico alla vocale tematica che però è presente anche in verbi atematici come εἶμι, e nei verbi a flessione tematica si aggiunge alla vocale tematica, λύοομεν diventa λύωμεν per la fusione della vocale tematica e della caratteristica di congiuntivo; si genera ω perché è un tipo di contrazione premicenea in cui due vocali di timbro identico generavano o lunga aperta, che sarà scritta con ω. Applicando questo ragionamento alle altre persone in cui la marca modale è ε λύεε diventa λύη per la stessa contrazione antica, come caratteristica propria non ha iota sottoscritto, la forma arcado-cipria è la forma più corretta etimologicamente. Ma gli abitanti di Ionia e Attica hanno avuto la nostra percezione di indicativo e congiuntivo differenti per la quantità della vocale tematica, e ci hanno aggiunto le desinenze dell’indicativo, si tratta di un’innovazione dello ionico-attico. Abbiamo qualche attestazione che fa pensare che anche in area ionico-attica fosse preferita in una certa fase la forma arcado-cipria, ma sono poche tracce e non ne abbiamo certezza. Nota: il futuro è probabilmente derivato da un congiuntivo aoristo, ἔσομαι era in origine congiuntivo, ἐσ = radice, ο = vocale distintiva del congiuntivo. La connessione di futuro e congiuntivo aoristo vale per quei verbi per cui è attestato un aoristo sigmatico, e dovremmo immaginare che la nozione aspettuale dell’aoristo si estenda in parte al futuro, che avrebbe la connotazione di azione attesa e desiderata a prescindere dalla sua durata. Un futuro come ἕξω formato dal tema del presente potrebbe essere più recente dei futuri derivati da quello dell’aoristo, e ci sono congiuntivi aoristi a vocale breve che non rimandano ad alcuna idea di futuro. Se si ipotizza che il futuro abbia in parte il valore aspettuale dell’aoristo, è più facile immaginare che si sia generata una forma come ἕξω connotata aspettualmente in modo diverso. La nozione di aspetto nasce da una riflessione sulla lingua non certo antica, i grammatici ne parlano in modo poco chiaro e marginale.
– Esistono preposizioni ἐξ e ἀπό che in arcado-ciprio suona ἀπύ, costruite con genitivo ablativale, in questo dialetto sono costruiti col dativo. La spiegazione potrebbe essere che il dativo, avendo assorbito le funzioni del locativo, alluda a una generica collocazione nello spazio o nel tempo, e la preposizione la specifichi (apparente contraddizione, a Roma ma lontano, ma unica esegesi possibile).
L’eolico
È usato in tre regioni, due nel cuore della penisola balcanica, Tessaglia e Beozia, e una collocata nel bacino orientale del Mediterraneo, in alcune isole dell’Egeo e soprattutto a Lesbo, oltre che nella zona eolica dell’Asia minore. L’eolico a Lesbo e nel bacino orientale del Mediterraneo è attestato come proveniente dal cuore della penisola Balcanica sia da documentazioni archeologiche sia mitografiche, insomma queste testimonianze alludono ad un processo di colonizzazione che avrà toccato anche le coste dell’Asia minore; l’eolico di Lesbo ha isoglosse con lo ionico dell’Asia minore, non si capisce chi abbia trasmesso cosa a chi, una delle quali isoglosse è la psilosi. Dall’area eolica di solito arrivano testimonianze letterarie senza localismi, ad eccezione della poetessa beotica Corinna; dalla Tessaglia non ci sono poeti che scrivano con localismi, perciò su alcune isoglosse non c’è certezza riguardo ai documenti.
– Psilosi: deaspirazione, cioè le parole inizianti nel greco comune con aspirazione la perdono; ciò si può verificare nelle iscrizioni solo quando la parola aspirata è preceduta da espressione con elisione e quindi l’occlusiva attesta l’assenza di aspirazione: ἐφ’ἵππου sarebbe ἐπ’ίππου. A Lesbo, l’iscrizione fornisce informazioni sulla psilosi molto limitate; abbiamo la certezza che la psilosi ci sia a Lesbo, ma non in Beozia e Tessaglia, anzi alcuni elementi fanno propendere per l’assenza di psilosi. Esiste perciò il problema della sua genesi e della sua giustificazione; è però vero che sono psilotiche alcune regioni ioniche delle coste dell’Asia minore, psilosi è isoglossa comune tra aree ioniche dell’Asia minore ed alcuni territori eolici orientali come Lesbo; resta da decidere se sia partita dall’area eolica o ionica, e ci sono varie correnti di pensiero: coloro che credono che la Tessaglia e la Beozia non siano psilotiche sono convinti che Lesbo abbia imparato la psilosi dall’Asia minore. C’è quindi una parentela tra queste due aree ma è difficile dire in che direzione vada il prestito; è molto probabile che sia vera l’ipotesi prima esposta, anche perché l’alfabeto ionico è il primo ad usare il segno h per indicare e lunga, per loro era segno vuoto perché non serviva loro per indicare l’aspirazione, furono proprio gli Ioni d’Asia ad avere l’idea. Questa è considerata però isoglossa eolica perché i testi letterari della tradizione eolica sono tutti psilotici, quelli ionici solo in parte e questo significa che il fenomeno non toccava tutta la Ionia d’Asia.
– Baritonesi: ritrazione dell’accento il più possibile verso l’inizio della parola. Anche qui su Lesbo siamo certi, su Tessaglia e Beozia ci sono dubbi, la Beozia sembra anzi non abbia baritonesi. L’eolico di Lesbo si sottrae alle regole degli accenti dell’attico, e il dorico ha tendenza opposta a spostare l’accento verso la fine della parola.
– Tendenza alla chiusura delle vocali, α di attico si esprime spesso con ο ed ο tende a chiudersi in υ.
– Α lungo rimane sempre α lungo.
– L’assibilazione è attestata solo nel Lesbio, altra isoglossa comune tra lesbio e ionico e separa l’area di Lesbo dalla madrepatria.
– In area eolica τ iniziale pangreca diventa labiale π, c’è una labiovelare che in eolico ha esiti diversi rispetto ad altre aree del bacino del Mediterraneo, dove altrove si trova dentale in eolico c’è labiale (τισ τι τε sono πισ πι πε, anche se non mancano eccezioni in Saffo e Alceo per influenza di aree circostanti, in espressioni di uso comune della lingua poetica). L’eolico ha una fase evolutiva in meno rispetto allo ionico.
– Tendenza a processi assimilativi laddove in altre aree si assiste a semplificazioni di nessi di fonemi. Uno dei nessi è l’incontro di ρ o ν + i semivocalica, ρj νj; in ionico-attico generano metatesi o caduta di j con allungamento di compenso: φθερjω / φθείρω, scomparsa di j e allungamento di compenso di ε, dorico φθήρω allungamento con e lunga aperta; eolico φθέρρω, ρj produce assimilazione. Φανjω ionico φαίνω, metatesi tra ν e j; eolico φάννω, assimilazione. In ionico-attico questi fenomeni sono regolari, quando la vocale che precede il nesso è α / ο abbiamo metatesi, quando è diversa abbiamo caduta di j e allungamento di compenso; in eolico invece ρj νj produce sempre assimilazione. Un altro caso in cui avviene assimilazione è l’incontro di σ + liquide e nasali, in ionico attico si assiste alla semplificazione del nesso con scomparsa di sibilante e allungamento di compenso di vocale successiva: vedi caso dei pronomi di 1 e 2 plur, ἁσμε dà ἄμμε, parossitono e deaspirato; σελήνη deriva dalla radice di σέλασ = luce, con aggiunta di suffisso να tipico dei nomi femminili; ionico-attico σελασνα σελάνα σελήνη, eolico σελάννα, vedi Saffo; α finale è lungo, quella che precede νν è breve, non c’è ragione che si allunghi. Infinito presente di εἰμι εἶναι da ἐσναι, semplificazione e allungamento, eolico ἔμμεναι, ἐσ + desinenza μεναι eolica di infinito atematico di contro a μεν tematico, da ἔσμεναι con assimilazione abbiamo ἔμμεναι. In ionico-attico il nesso σ + nasale semplificato è la ragione del primo allungamento di compenso, che non avviene in eolico di Lesbo, ma la situazione è diversa in beotico che si comporta come lo ionico-attico. L’isoglossa del secondo allungamento di compenso è separativa tra lesbio tessalico e beotico; esso riguarda il nesso ν + σ interno a parola di origine secondaria. In beotico questo nesso semplifica con allungamento di compenso, anche se quest’ultimo è diverso da quello dello ionico-attico ma somiglia a quello dei dialetti occidentali, prodotto differente. In tessalico si conserva νσ, forme come πάνσα per πᾶσα. In lesbio πᾶσα si rende con παῖσα, λέγουσα è λέγοισα, è avvenuta una palatalizzazione della nasale, che è una semiconsonante, che si pronuncia con uno spostarsi dell’occlusione verso il palato, originariamente era un suono intermedio che somiglia e gl italiano, poi evolve in i semivocalica. Il terzo allungamento è quello in seguito alla caduta di digamma che separava ionico da attico; in eolico il digamma scomparendo non lascia allungamento di compenso come nell’attico, anche se in Saffo e Alceo si trovano forme come κούρη e ξείνοσ, per quella contaminazione del linguaggio letterario dovuta all’incontro dei poeti con la tradizione ionica.
– Esistenza di un dativo plurale in εσσι.
– I participi attivi di norma in greco si formano con il suffisso ντ ad eccezione del perfetto in cui si assommano due suffissi. In eolico anche il perfetto è in ντ, λελυκῶν λελυκῶσα λελυκόν, λελύκοντεσ ecc.
– Alcuni verbi in attico tematici diventano atematici: φέρω infinito φέρην perché trattato come atematico, caratteristica valida più di frequente per verbi in vocale, κάλημι o κάλημμι da καλέω.
– Uso di una particella modale diversa dall’attico, κε al posto di ἄν, ricorda che erano presenti nel protogreco e danno prova della sua varietà e complessità, derivano infatti da due radici diverse.
– Per il moto a luogo l’eolico usa ἐν + accusativo, tranne a Lesbo in cui si usa ἐσ come lo ionico.
I dialetti occidentali, isoglosse congiuntive di tutto il gruppo (qualificano il gruppo come conservatore):
– Si conserva il nesso τι, non esiste assibilazione (λύουσι è λύοντι), ciò determina il non verificarsi del secondo allungamento di compenso.
– Vistosa coloritura in a, tutti gli α lunghi si conservano e altri α esistono come esiti di contrazione in dorico e non negli altri dialetti: α + ε, α + ο, α + ω generano sempre α lungo, quindi per esempio nel genitivo plurale dell’articolo femminile τασον ταον attico τῶν dorico τᾶν. Ma per contrasto nessi che in attico per contrazione producono α qui danno η: α breve + ε, α breve + η, α breve + ει generano η oppure ῃ nell’ultimo caso: νικάω 2 plur attico νικᾶτε dorico νικῆτε; una delle ragioni possibili è la perspicuità linguistica, occorre distinguere dagli altri i suoni che hanno la portata morfologica più consistente.
– Come nell’arcado-ciprio nominativo plurale maschile e femminile del deittico è τοί ταί.
– Il pronome νιν enclitico corrisponde all’attico αὐτόν, ma col tempo esteso ad altri valori morfologici, per αὐτούσ ma anche per generi diversi dal maschile.
– Alla prima persona plurale corrisponde una desinenza μεσ, la più vicina all’indoeuropeo (pensa al mus del latino), il ν è innovazione non condivisa dal dorico; la radice indoeuropea era apofonica, mes mos dal grado forte deriva mus del latino.
– Alcuni futuri e aoristi sono in ξ pur non essendoci ragione apparente, da νομίζω νομίξω ἐνόμιξα. Questo riguarda i verbi in -ιζω e in -αζω, estensione analogica di una situazione etimologica, verbi come ἁρπάζω tema αρπαγ che hanno quindi futuro e aoristo in ξ, tutti i verbi al presente in -ιζω e -αζω sono percepiti come temi in gutturale. Il futuro dorico è presente in molti verbi e diverse aree dialettali, ha la caratteristica sigmatica e la contrazione, esempio πραξῶ o πραξέω; la genesi sta in un doppio suffisso, sia σ sia εσ. Verbi come φαίνω radice fan aggiungono una ε davanti al σ, φανέσω φανέω φανῶ. La conferma della genesi del futuro dorico è proprio πραξέω non ancora contratto. Il futuro dorico è ben attestato in tutta l’area occidentale anche in poesia nei cosiddetti idilli dorici di Teocrito, anche se la sua lingua non è riconducibile all’uso, in quanto letteraria si rifà ad elementi della lingua dell’area in cui abita, Siracusa.
– Desinenza di infinito attivo atematico tipica anche se non esclusiva del dorico, comune ad aree eoliche peninsulari, μεν da cui μεναι di Lesbo; esiste anche una forma di infinito tematico in εν, accanto a quella con e lunga aperta o chiusa; la desinenza in vocale breve è talvolta estesa a verbi come ποιέω che hanno già il tema in vocale, per analogia con μεν atematico. Le due forme μεν εν a volte si scambiano, μεν spesso tematico, parallelamente a κάλημι visto nelle isoglosse eoliche.
– Al posto di εἰ congiunzione ipotetica si trova quasi sempre αἰ pure proclitica.
– Al posto di ἄν o κε di attico ed eolico si ha κα con α lungo.
All’interno di un’area così vasta la varietà è grande, noi teniamo uniti dorico severo medio e parte del dolce, lasciando da parte dialetti di Nord-Ovest ed eleo; la famiglia del dorico dolce contiene situazioni oscillanti, argivo, megarico e corinzio sono diversissimi, e anche l’eleo è più vicino alla doris severior. Anche Ahrens ha introdotto distinzioni nelle famiglie organizzando i dialetti dorici in due unità: doris severior e doris mitior, la terminologia è stata coniata da lui. Sono scansioni che si fondano su una maggioranza di isoglosse, non su tutte quelle individuabili, è difficile raggiungere una formulazione rigorosa se il quadro è così articolato.
Isoglosse che dividono dorico e dialetti di Nord-Ovest + eleo:
– L’esito di o lunga ed e lunga di origine secondaria, cioè non lunga nella radice indoeuropea ma che deve la quantità lunga a fenomeni fonetici quali contrazione vocalica e allungamento di compenso: nei dialetti nord-occidentali è identico allo ionico-attico, ε + ε, ο + ο, e o allungate per compenso danno ει ed ου, cioè e lunga / o lunga chiusa, la grafia ει ου è convenzione che si introduce ad un certo punto dell’evoluzione dell’alfabeto dunque dopo l’adozione dell’alfabeto ionico, si tratta di segni che indicano un suono, è un digramma. Progressivamente e lunga si chiude tanto da avvvicinarsi e poi ridursi ad i. In doris severior e ed o lunghe secondarie generano vocali aperte, indicate graficamente con i segni dell’alfabeto ionico con η ed ω. Ma questo ad un certo punto, perché anche qui il segno o valeva per o aperta e chiusa lunga e breve, solo si leggeva diversamente ed a ciò è dovuta la differenziazione grafica. Come si pronunciavano allora le vocali brevi scritte ovunque uguali, diverse nelle varie aree? Non è facile rispondere, la mancanza di distinzione grafica non permette di distinguere la fonetica; è probabile però che dove ε + ε dà η si pronunciassero con maggiore apertura, prova e silentio non sufficiente. La differenza però deve essersi presto annullata e non essere più funzionale almeno sul piano della comunicazione. L’oscillazione è talvolta interna a un gruppo dialettale, in certi casi sono differenti a seconda che siano esito di contrazione o di allungamento di compenso.
Isoglosse tipiche dei dialetti nord occidentali
Presenza di nominativi asigmatici per i maschili della prima declinazione; in dorico il segnacaso si trova.
Nella terza declinazione presentano un accusativo plurale identico al nominativo in -εσ, è caratteristica non rara nel panorama indoeuropeo e comune col latino.
Presenza nella terza declinazione di dativi plurali in οισ.
Questi dialetti hanno come unica preposizione di luogo ἐν, costruita con i vari casi.