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Il termine, generalmente connesso alla nozione di comico, deriva da caricare. In senso stretto significa, nel campo del ritratto, l’accentuazione o la deformazione di determinati tratti fisionomici e, nel campo della rappresentazione di un evento o di una scena, l’evidenziazione di un certo elemento o l’esasperazione di un altro, il che consente al caricaturista di esprimere un giudizio. Al senso etimologico, relativamente semplice, di «carica», o accusa, vengono ad aggiungersi nozioni divergenti quanto quelle di capriccio, grottesco, disparato, pamphlet, o non-senso.
La caricatura, intesa in senso lato, attinge i propri argomenti dovunque e si diversifica senza posa, pur facendo appello a tipi o a simboli convenzionali. Il suo campo d’azione si è diversificato; partendo dalla deformazione fisionomica dell’individuo, ha rivolto la propria attenzione a tutti gli atti e a tutti i rapporti umani e, dalla rappresentazione di costume alla satira politica e a quella delle arti stesse, alla sua maniera essa rende conto, mediante la semplificazione o l’esagerazione, l’invenzione o la parodia, delle epoche che descrive. Pertanto la caricatura non solo riflette lo spirito del tempo, ma è pure testimonianza delle sue passioni e quando la sua azione sia concertata, può persino influire sugli eventi.
La caricatura diviene genere specifico solo a partire dal XVII sec. La diffusione dei giornali – e dei giornali satirici illustrati, in particolare (attorno al 1830 ca.) – le procurò un vasto pubblico e non poche censure politiche.
L’antichità
Se esempi di deformazione, di caratterizzazione, di animalizzazione e di parodia sono riscontrabili fin dalla piú remota antichità, particolarmente nell’arte egizia; e se Aristofane e Aristotele menzionano un certo Pausone come «pittore maligno», occorre senza dubbio ricercare nella ceramica greca i primi tratti caricaturali all’interno di temi orgiastici o mitologici, o a momenti della vita quotidiana. L’influsso del teatro, della commedia o della farsa è qui evidente tanto per la riproduzione di scene propriamente dette che per la ripresa di personaggi o di maschere.
Il periodo ellenistico perpetua tali appropriazioni, sotto forma di statuette di bronzo o d’argilla, oltre ad amplificare l’effetto comico che deriva dall’accostamento tra l’uomo e l’animale o dalla combinazione delle forme dell’uno e dell’altro secondo un genere di cui l’iniziatore sembra essere stato il pittore Antifilo.
A Roma non si arricchí il vocabolario esistente di alcun apporto originale, limitandosi il piú delle volte a svilupparlo e ad adattarlo. Se alcuni aspetti della pittura sono testimonianza di ricerche naturalistiche, il suo spirito si volse piú, in questo caso, verso l’erotismo e l’oscenità. D’altra parte i graffiti offrono spesso documenti preziosi di espressione caricaturale, sotto forma popolare e spontanea.
Il medioevo
Le drôleries gotiche tendono ad unire il fantasioso al fantastico e all’immaginario, pur denunciando la realtà mediante episodi strambi, detti popolari o parodie animali che il Roman de Renart incarna perfettamente in letteratura. La satira medievale affrontava piú la condizione umana che le fisionomie individuali.
Il Rinascimento
Leonardo da Vinci ha disegnato una serie di volti dai tratti deformati, per i quali un certo numero di studiosi preferisce il termine ‘capriccio’ a caricatura, perché vi mancherebbe qualsiasi intento di canzonatura. Parimenti, presso Hieronymus Bosch, le teste ripugnanti o crudeli che circondano il Cristo, ad esempio nella Via Crucis (conservata a Gand), non sono state concepite allo scopo di far ridere, dato il carattere religioso del soggetto, ma non è per questo meno evidente la volontà di «accusa» che in esse si esprime. D’altra parte, le deformazioni fisionomiche, presso Leonardo come presso Bosch, superano sensibilmente quelle che si notano in P. Bruegel, pur soprannominato «le Drôle». Grande fortuna ebbero le figure grottesche in caricatura. Jamnitzer, nelle teste composite di Arcimboldo, nei paesaggi antropomorfici attribuiti a J. de Momper e negli assemblaggi di G. B. Bracelli.
In questo periodo la stampa ha contribuito a diffondere l’immagine satirica.
Il XVII secolo
Si è d’accordo nel riconoscere che la nozione di caricatura propriamente detta, seguendo l’etimologia italiana, ebbe origine nel cerchio bolognese dei Carracci. Ne fu iniziatore Annibale, seguito dal fratello Agostino, dal Guercino, dal Domenichino, dal Maratta e da altri. Bernini arrivò al ritratto-denuncia. Nel XVII sec. l’Italia ebbe il primato nell’arte della caricatura e ne forní fin dal 1646, col Mosini, la definizione; nel 1681 il Baldinucci la precisò ulteriormente.
Il XVIII secolo
Il genere proseguí con successo grazie soprattutto all’attività di P. L. Ghezzi, di G. B. Tiepolo e del figlio Domenico. Vanno ricordati, in Francia, due nomi: quello di J. Callot, di Nancy, e quello del tolosano Raymond La Fage. In Olanda, Dusart praticò insieme la satira di costume e la caricatura contro Luigi XIV; va ricordato anche Romeyn de Hooghe. In Inghilterra, a partire dal 1743, l’incisore Arthur Pond pubblicò una raccolta di caricatura straniere, testimoniando cosí dell’interesse diffuso per questo genere; W. Hogarth fece della satira e della caricatura non solo strumento di intervento ideologico e politico ma anche il soggetto preferito dalla sua attività di pittore. Moralista, attento alla vita sociale, stigmatizzò l’ingiustizia o l’avvilimento con accuse violente, in una serie di stampe e dipinti sequenziali che sviluppavano le tappe del racconto; tra i maggiori successi: il Matrimonio alla moda, la Carriera di un libertino, la
Carriera di una prostituta, la Via del gin.
Il XIX secolo
In Inghilterra vennero pubblicate nel 1788 le Rules for Drawing Caricatures di Francis Grose, di cui comparve un’edizione francese fin dai primi anni del secolo successivo.
Non va dimenticato Goya, le cui incisioni per i Capricci (1796-98) rappresentano un momento altissimo nella storia della satira sociale e di costume. A partire dal regno di Luigi Filippo, in seguito alla fortuna delle scene di costume di Debucourt, di Carle Vernet, e delle grimaces di Boilly (una sorta di illustrazioni della Fisiognomica di Lavater), in Francia si scatenò l’entusiasmo per il disegno satirico, con Charles Philipon, inventore della «pera», di cui sottolinea l’analogia col volto regale, e creatore dei giornale satirico illustrato.
Generazioni di caricaturisti professionisti si succedettero durante tutto il secolo, con interventi in ogni campo: politica, costume, ritratti-accusa, arti figurative, fatti diversi, storie per immagini.
La figura di Daumier domina il panorama francese dell’Ottocento. Egli trasformò la litografia in mezzo d’espressione straordinario; la sua satira politica è accompagnata da una elaborazione raffinatissima del mezzo tecnico e del segno. Accanto a lui H. Monnier, Grandville, P. Gavarni, G. Doré, ciascuno con la propria personalità; succederanno loro, A. Gill, A. Grévin, A. Robida, poi J.-L. Forain, A. Willette e Caran d’Ache. Il realismo si alternava alla fantasia e all’immaginazione, il sogno al naturalismo. Ma la caricatura non è opera dei soli specialisti; pittori tra loro diversi come Delacroix, Monet o Puvis de Chavannes la praticavano per divertimento, lo stesso fecero scrittori quali Victor Hugo, Baudelaire e Verlaine.
I giornali specializzati furono numerosissimi; tra i piú importanti «La Caricature» (1830), «Le Charivari» (1832) e il «Journal pourrire» (1848), tutti creati da Philipon; «La Vie parisienne» (1863), che riflette il secondo Impero, mentre «La Lune» (1865) e «L’Eclipse» (1868) riallacciano i rapporti con la politica; «Le Chat-Noir» (1882) fu l’organo della satira di Montmartre, «Le Courrier français» (1884), «Le Rire» (1894) e «L’Assiette au beurre» (1901) caratterizzarono la svolta del secolo, mescolarono i generi, fecero appello a tutte le forme possibili dell’umorismo o della satira, pubblicarono interventi di Steinlen, Hermann-Paul, Poulbot, Sem e Cappiello, oltre a Toulouse-Lautrec, Vallotton, Beardsley, Villon, Gris o Kupka.
In Inghilterra ebbe particolare rilievo il giornale «Punch» (1840), animato da J. Leech e R. Doyle, mentre in Germania – dove W. Busch disegnava cronache umoristiche infantili e mordenti – furono importanti i «Fliegende Blätter» (1844), e «Simplicissimus» (1896), a cui collaborò E. Barlach. Ogni paese meriterebbe attenzione, dalla Svizzera, con P. Töpffer, al Belgio, con F. Rops; la Russia, l’Italia e la Scandinavia come la Grecia ebbero giornali satirici.
Il XX secolo
Riviste e caricaturisti professionisti sono rimasti attivi e efficaci; in Francia, Dubout rivitalizzò l’arguzia dello spirito francese, Jean Effel ricorreva a una sua falsa innocenza; in Inghilterra Ronald Searle dedicava i suoi disegni a crudeli studentesse di college e Low portava avanti la cronaca politica. Spesso ricorrono l’insolito, il gratuito, l’erotismo, l’umor nero, l’assurdo.
Importante è stato l’influsso statunitense. Nel 1925, la rivista «New Yorker» crea, mediante i suoi cartoons, i fumetti, uno stile nuovo, insieme gelido e sofisticato, cui la collaborazione di Saul Steinberg apporterà, fin dal 1941, un contributo determinante. Steinberg, grazie al suo linguaggio grafico, metteva in scena la vita moderna, per sottolineare una debolezza o, semplicemente per sognare; va oltre le apparenze del quotidiano, toccando spesso le motivazioni essenziali del comportamento umano.
Molti sono stati i buoni disegnatori che percorrono strade parallele, (Bosch, Sempé o Chaval); alcuni ricorrono a un linguaggio ispirato al surrealismo e al dadaismo; moltissimi si lasciano prendere da tentazioni manieristiche. La vena caricaturale è esplicita nel XX sec. nella satira sociale di un Grosz; piú velata in O. Dix o in Rouault; è spesso presente con naturalezza in Picasso, e non può essere cancellata dall’opera di numerosi artisti per i quali l’opera d’arte è spesso un mezzo di contestazione (si vedano il messicano J. Orozco e l’americano J. Levine).
Non è estranea alla caricatura del XX secolo una vocazione all’irrazionale che libera i contenuti dell’inconscio attraverso la giustapposizione insolita, i giochi di parole, di oggetti o di forme, che portano al riso.