L’arte greca può essere suddivisa in 4 periodi: delle origini (1000-650 a.C.), arcaico e severo (650-450 a.C.), classico (450-323 a.C.), ellenistico (323-31 a.C.). Sorta dopo la decadenza della civiltà minoico-micenea (sec. X a.C.), se ne distaccò per stile e contenuto, riproponendone solo alcune tecniche di lavorazione dei vasi in argilla e bronzo. Abbandonate le forme tondeggianti, le popolazioni ioniche e doriche elaborarono lo stile geometrico, basato sull’uso della linea retta e spezzata. Questa linearità contraddistinse la produzione del periodo più antico e si evidenziò sia nella decorazione (ceramiche, sec. X-VIII a.C.), che nella scultura (figure umane, cavalli). La tendenza geometrica si riscontrò anche nei primi esempi di stile proto-attico e proto-corinzio (prima metà sec. VII a.C.), derivati dall’incontro fra cultura greca e civiltà dell’Asia Minore. Nella ceramica gli elementi orientalizzanti (doppie spirali, leoni, sfingi, palmette) e le figure umane nere e stilizzate furono utilizzati non tanto come motivi ornamentali quanto con intenti narrativi e didascalici, attraverso la rappresentazione di scene mitologiche e gesta eroiche. Nata a Corinto, questa tendenza si diffuse nell’Attica (ceramica del Dipylon) e gettò le basi per la formazione della pittura (Chigi, 640-630 a.C.), influenzando pure l’oreficeria, la lavorazione dei metalli (scudi, elmi, bacili, tripodi) e dell’avorio. L’architettura delle origini concepì il tempio come sede della divinità: nacque la struttura a cella, contenente il simulacro della divinità, circondata o meno da colonne (templi di Olimpia, Sparta e Samo). Il periodo arcaico fu dominato dalle aristocrazie cittadine legate alla religione olimpica. Si elaborò una scultura, di influsso egizio, basata sulla realizzazione di grandi statue: i kúroi (figure maschili nude) e le kórai (figure femminili vestite) che denotavano, già in epoca dedalica (dal mitico Dedalo, sec. VIII a.C.), l’interesse per le proporzioni e la bellezza del corpo umano. Per la lavorazione degli enormi blocchi di pietra fu approntata la tecnica dei piani paralleli (kórai dell’Acropoli, kúroi di capo Sunio).
Come tutta la cultura ellenica del periodo arcaico, anche l’arte risente della duplice influenza dorica e ionica, soprattutto nel campo architettonico, relativamente alla costruzione dei grandi templi: lo stile dorico, diffuso nel continente e nella Magna Grecia, offre immagini di forza e staticità, mentre lo ionico, usato in Asia Minore, si basa sulla grazia e sulla dinamicità delle forme. Le grandi realizzazioni doriche (templi di Era e Zeus a Olimpia, di Apollo a Corinto, di Paestum, di Agrigento e di Selinunte) e ioniche (Artemisio a Efeso) arricchiscono ed evolvono la semplice cella allungata: si aggiungono il pronao, una peristasi di colonne, il frontone, i triglifi e le metope figurate, elementi che consentono una proficua sintesi tra manifestazione architettonica e scultorea. Ne sono prova i templi dorici di Afaia a Egina, con il mirabile frontone triangolare, e di Apollo a Cirene. Sotto la tirannide di Pisistrato (Atene, sec. VI) si sviluppò la scuola attica, soprattutto nel campo della ceramica: grandi maestri come Clizia ed Exechia crearono opere a figure nere (vaso Francois), mentre dopo il 530 a.C. prevalse la tecnica delle figure rosse su fondo nero (Epitteto, Eufronio). All’inizio del sec. V si andò affermando lo stile severo, che proponeva l’abbandono dell’eccessiva monumentalità dei secoli precedenti a vantaggio di una più rigorosa ricerca del ritmo, delle proporzioni e delle forme. Derivato dalla ceramica attica, che adottò la più espressiva tecnica delle figure rosse al posto di quelle nere, questo stile interessò sia la pittura che la scultura. I pittori Cimone di Cleone e Polignoto di Taso e i ceramografi Epitteto, Eufronio ed Exechia abbandonarono il disegno lineare e il cromatismo unitonale, mentre Agatarco di Samo affrontò in modo organico i problemi della prospettiva. In campo scultoreo furono prodotte opere celebri e significative: il Discobolo dovuto a Mirone, il frontone del tempio di Zeus a Olimpia, i Guerrieri di Riace, Zeus o Poseidone di Capo Artemisio, l’Auriga di Delfi. L’espressione più matura dell’arte greca si manifestò nel periodo classico, coincidente con l’età di Pericle: lo scultore Policleto, illustrando con uno scritto la propria opera, il Doriforo (ca 450 a.C.), precisò i canoni interpretativi del nuovo stile. Fidia fu senza dubbio l’interprete dei nuovi ideali basati sulla ricerca psicologica (trasposizione di stati d’animo umani), sulla razionalità (senso delle proporzioni e della prospettiva) e sulla bellezza (morbidezza di forme e giochi cromatici). Sull’esempio di Fidia si mossero gli scultori Lisippo (Apoxyomenos), Scopas (Menade) e Prassitele (Venere di Cnido) e i pittori Parassio, Zeusi, Filosseno e Apelle. La massima espressione del classicismo greco fu raggiunta però in architettura: affinato lo stile dorico mediante l’introduzione del capitello corinzio, artisti quali Filocle (Eretteo), Callicrate (Tempietto di Atena Nike) e Ictino (Partenone) eressero le opere più significative dell’acropoli ateniese, trasformata per volere di Pericle in simbolo della splendida civiltŕ attica. Vennero inoltre concepiti e realizzati come monumenti artistici teatri (di Dioniso ad Atene, di Siracusa), luoghi per le riunioni consigliari (buleuteri) e sacre (santuari). L’introduzione dello stile corinzio (thólos a Epidauro) e lo sviluppo dello ionico (Nuovo Artemisio a Efeso, Mausoleo ad Alicarnasso) completarono la ricca produzione architettonica del periodo classico. L’avvento della dominazione macedone e il successivo periodo ellenistico (323-31 a.C.) non costituirono fattori di involuzione e regresso. Al contrario, l’arte greca si diffuse in tutto il mondo mediterraneo (Egitto, Medio Oriente, Roma) dando vita a nuove forme e a nuovi canoni interpretativi. Accanto alla scuola attica, erede diretta del periodo classico, si affermarono la scuola di Rodi, che proseguì l’opera di Prassitele e creò le grandi opere scultoree della Nike di Samotracia e del Laocoonte, la scuola di Pergamo (Ara) e quella di Tebe. Pittura e scultura si caratterizzarono per forme morbide, ricerca verista (ritratti), rigorosità prospettica e scenografica, scelta di temi mitologici e bucolici. L’architettura in parte adottò lo stile corinzio (templi dipteri: Zeus Olimpio ad Atene), in parte cercò forme di fusione fra ionico, dorico e corinzio (Arsineion di Samotracia). Si svilupparono anche gli studi urbanistici (Ippodamo di Mileto) che concepirono la città a pianta sempre più regolare, con vaste piazze a portici, chiuse da peristili in marmo (Atene, Cnido, Efeso). Notevole fu il successo del mosaico, spesso più apprezzato e ricercato della pittura: di carattere policromo, composto da tessere sottili, divenne elemento decorativo per case e palazzi, soprattutto grazie al talento di Soso di Pergamo.
Gli ordini ionico (e una sua versione più antica chiamata protoionica o eolica della prima metà del VII secolo a.C.) e corinzio si distinguevano dal dorico per una maggiore leggerezza. La colonna ionica non sorgeva direttamente sullo stilobate, ma aveva una base costituita da elementi sovrapposti (tori e trochili), e il capitello aveva al posto dell’echino una doppia voluta poggiante su un collarino decorativo. Il sovrastante fregio, privo di divisioni, era spesso decorato a rilievo. Nella colonna dorica il rapporto fra l’altezza e il diametro di base variava da 4:1 a 6:1, nella colonna ionica da 8:1 a 10:1. Una sensazione di semplicità e di energia si ricavava dall’ordine dorico, di finezza e grazia dallo ionico, che, sul finire del V secolo, evolvette nel corinzio, una versione arricchita caratterizzata dalla decorazione a foglie di acanto sul capitello.
In genere, per quanto si può desumere dalle scarse tracce, perchè buona parte del colore è andato perduto, si può affermare che solo alcune parti dei templi greci erano dipinte: in rosso o blu il fondo dei frontoni; in blu i mutuli (lastre inclinate nella parte inferiore della cornice con tre fili di gocce) e i triglifi; in rosso la parte superiore delle metope e la sommità dell’architrave; policrome erano le sculture. Il colore serviva insomma per connotare, evidenziare e drammatizzare le varie parti dell’edificio.
Fra i primi esempi di tempio dorico ricordiamo il Poseidonion, cioè il tempio dedicato a Poseidone, di Isthmia (Corinto), della fine dell’VIII secolo a.C.; l’Heraion, tempio dedicato a Hera, di Argo, dell’inizio del VII secolo a.C.; l’Heraion di Olimpia, della fine circa del VII secolo a.C.; l’Apollonion, dedicato ad Apollo, di Thermos (Etolia), della seconda metà del VII secolo a.C.
La canonizzazione dell’ordine dorico si ha però con l’Heraion di Olimpia: una cella di cento piedi preceduta da un pronaos di venti con due colonne fra le ante; quattro pilastri alle pareti lunghe della cella, che semplificavano il problema della copertura del tetto, probabilmente piana; un colonnato che originariamente era ligneo, ma in seguito fu sostituito con uno in calcare; il tetto a due frontoni, coperto da tegoloni adorni di rosette sui bordi esterni; un grande acroterio, cioè un motivo architettonico decorato, sulla sommità del frontone orientale (in qualche caso l’acroterio era presente su tutti e due i frontoni).
L’espressione più matura del dorico è data, invece, dal Tempio di Apollo a Corinto (VI secolo a.C.). Si ergeva su un’altura dominante l’agorà. Su uno stilobate, formato da quattro alti gradini, sorgeva una peristasi di 6×15 colonne monolitiche alte più di sei metri: un titanismo temperato dalle delicate rifiniture, come la stuccatura del calcare, dallo slancio dei frontoni, dal ritmo ascensionale; ancora più sottile la progettazione della cella, con due colonne fra le ante, la parte centrale divisa in due settori, di cui quello volto a oriente suddiviso in tre navate da due file di quattro colonne, e quello a oriente suddiviso anch’esso in tre navate da file però di due colonne (questo secondo settore era forse dedicato a un’altra divinità). Le colonne, a testimoniare la potenza della città, erano monolitiche.
La documentazione più antica del tempio ionico è relativa all’Heraion di Samos. Le sue origini risalgono all’età protogeometrica e geometrica, ma venne ricostruito nel 670 a.C. circa, dopo un’alluvione e incluso in un temenos, insieme ad altri edifici. La cella, circondata da un portico di 6×18 colonne, era stata liberata del primitivo colonnato mediano, sicchè la statua della dea si vedeva benissimo sul fondo. Una serie di pilastri sosteneva il tetto, privo verosimilmente di tegole, e coperto forse con argilla battuta.
L’ingresso era diviso in tre da due pilastri, e pilastri, probabilmente di legno, erano disposti anche intorno alla cella, a distanza costante.
Verso il 640 a.C., probabilmente, fu costruito lungo il letto del fiume un portico di duecento piedi di lunghezza, diviso in tre navate da due serie parallele di pilastri di legno e destinato ad accogliere i pellegrini.
Fra il 570 e il 560 a.C. il santuario subì modifiche e il tempio fu spostato a occidente, ricoprendo un’area dodici volte più estesa di quella del precedente edificio, secondo un progetto realizzato da Rhoikos e Theodoros. E’ in questo Heraion che l’ordine ionico sembra giunto alla sua ultima definizione. Oltre cento sottili colonne, ciascuna con quaranta scanalature, creavano un seducente effetto luministico. La vibrazione delle superfici era esasperata dalle basi, formate da un tamburo molto schiacciato, leggermente concavo, sormontato da un toro decorato a tornio con una serie sottilissima di membrature. Molto originale l’altare, ricostruito intorno al 550 a.C.: di forma rettangolare, presentava una gradinata; le ante erano decorate con sfingi a rilievo e cornici vegetali stilizzate. L’edificio andò nuovamente distrutto per un incendio e fu ricostruito in dimensioni ancora maggiori nel 530 a.C. circa.
Il gusto ionico trionfa nel tesoro (thesauros) dedicato dagli abitanti di Sifno, un’isola delle Cicladi, all’Apollo di Delfi. L’edificio, costruito a forma di tempio (senza colonnato esterno) e destinato a custodire le offerte votive per la divinità, fu eretto nel 526-525 a.C.
Le colonne di facciata sono sostituite da due cariatidi, figure femminili che indossano un leggero chitone e un himation, lungo e ampio mantello di lana che avvolgeva il corpo. Cornici, sculture, fregi, frontoni costituiscono un esempio pregevole della scultura decorativa ionica per l’animazione drammatica e il dinamismo delle scene.