Il nome della disciplina e la sua autonomia scientifica datano da Ch. Bally [1905 e 1909], che fonda lo studio sistematico delle risorse espressive della lingua svincolato dalla retorica. Il termine (ricalcato sul ted. Stilistik coniato da Novalis poco prima del 1801) si diffonde in Italia alla metà dell’Ottocento col significato di ‘arte del comporre’ associato alla descrizione dei tropi, delle figure del discorso e alle regole della “composizione”.
Con questo valore normativo la stilistica sopravvive nelle sezioni dei manuali scolastici fino alla metà di questo secolo ed oltre. Dall’antichità al Novecento ciò che pertiene alla stilistica ricadeva nel dominio della retorica, nell’ambito dell’elocutio (con continue intersezioni con la dispositio e l’inventio). E della retorica la stilistica divenne parte principale, quando la trattatistica praticamente venne a coincidere con lo studio dell'” ornato”. Questo spiega gli incroci e le sovrapposizioni che esistono tuttora tra retorica e stilistica. Oggetti e funzioni della s sí definiscono in .relazione ai valori di stile.
La linguistica del primo Novecento riporta la dicotomia saussuriana langue/parole all’opposizione sociale/individuale che caratterizza i due indirizzi della stilistica moderna, la stilistica linguistica e la stilistica letteraria.
La stilistica di Bally, di stampo psicologico e sociologico, ha per oggetto la lingua comune, non letteraria, e di essa studia i caratteri affettivi, i “mezzi espressivi” che il parlante usa scegliendo tra le possibilità offerte dal sistema. Variazioni di intensità (interrogazioni, esclamazioni, ellissi, ed altri), e giudizi di valore (elogiativo, spregiativo, ecc.) sono segnali dalla parte dell’emittente di emozioni e sentimenti; mentre gli “effetti di evocazione” interpretati dalla parte del destinatario sono indici delle condizioni sociali e culturali, della varietà linguistica, quindi, del parlante. L’attenzione alla parole, elemento indispensabile al funzionamento del sistema, ma di volta in volta mutevole in quanto attualizzazione di una possibilità della langue, accomuna Bally a tutta la linguistica postsaussuriana «la quale tiene conto della coesistenza di variabili generazionali e socioculturali e di fasi conservative, innovative o locali, agenti come spinte potenziali alla trasformazione non meno che i veri e propri squilibri del sistema strettamente inteso » [Segre 1993].
Nel solco di Bally si pone Marouzeau [19462) il quale sviluppa il concetto di “scelta” in rapporto al sistema linguistico: lo stile di uno scrittore è il risultato delle scelte che questi compie all’interno delle risorse che la lingua gli mette a disposizione. Il concetto di stile individuale si afferma a partire dal Settecento e con il romanticismo (per Goethe lo stile rappresenta il perfetto risultato dell’elaborazione artistica).
La stilistica letteraria si sviluppa nel solco del pensiero linguistico di Humboldt e di Schuchardt e delle anticipazioni di Vossler (a cui si deve la distinzione tra Sprachstil, l’insieme dei fatti linguistici che costituiscono lo stile di un autore o di un’opera, e Stilsprachen, l’insieme dei fatti stilistici che caratterizzano le diverse fasi della storia di una lingua) e ha come fondatore Leo Spitzer [cfr. Spitzer 1928]. Centro della sua stilistica è la nozione di “scarto” (in cui si ravvisano molteplici e profonde le influenze freudiane), il postulato che «a qualsiasi emozione, ossia a qualsiasi allontanamento dallo stato psichico normale, corrisponde nel campo espressivo, un allontanamento dell’uso linguistico normale ». Il lavoro critico si fonda sul « circolo della comprensione» e consiste in un percorso plurimo di lettura dalla superficie al centro del testo, dai particolari alla considerazione dell’insieme fino a far scattare l’intuizione critica – il click –, grazie al quale si riconosce «l’etimo spirituale […] la radice psicologica di “vari tratti di stile” individuali in uno scrittore ».
Spesso contrapposte, le stilistiche di Bally e di Spitzer rimandano a prospettive ed entità incomparabili. Bally studia le possibilità e le premesse dell’enunciazione, Spitzer le realizzazioni e gli enunciati [Segre 1985 e, 1993].
La stilistica italiana ha precorso l’analisi del rapporto lingua/scrittore. Devoto [1961] confronta le scelte stilistiche di un autore con le istituzioni linguistiche per misurare gli apporti alla lingua (che possono essere “evasioni”, per es. l’uso espressionistico del dialetto, o “coercizioni”, piegare tratti tradizionali verso esiti nuovi). Lo scrittore per Devoto è calato nella storia della lingua e la sua espressività non è fattore di anomalia ma centro propulsore della dinamica linguistica.
Su altre posizioni si colloca la stilistica di Terracini [1966] per il quale l’attività creativa è storia di un dialogo e di un confronto agonistico con la lingua e le istituzioni e le codificazioni letterarie. Il linguaggio d’uno scrittore pertanto non è confrontato con una mal definibile lingua comune, né con un’astratta entità (come per gli strutturalisti), ma con i linguaggi delle varie tradizioni letterarie. Al concetto di “deviazione” Terracini sostituisce quello di “punti distinti”, vettori espliciti del valore simbolico manifestato nel testo.
Un capitolo a sé è rappresentato dalla “critica delle varianti” di Gianfranco Contini [1970]. I suoi studi sulle correzioni d’autore e sulle diverse stesure di un’opera ricostruiscono dall’interno il processo creativo e mettono in luce i tratti costitutivi di un testo.
La definizione dei concetti di “deviazione” e di “scelta” da cui muovono queste concezioni è ricca di aporie (stile), aporie non risolte dalle proposte, anche recenti, fondate pur sempre su un’analisi comparativa. Cosí è per la stilistica di Riffaterre [1971], dove sono distinti e opposti gli elementi marcati dello stile – i “microcontesti” – agli elementi non marcati.
In altri settori di ricerca i parametri I per la comparazione sono stati fissati:
a) con criteri generativi: due enunciati concorrenti possono avere struttura superficiale diversa ma derivare, a seconda delle regole di trasformazione applicate, dalla stessa struttura profonda. A queste proposte fanno capo la semiotica generativa dei testi letterari e la grammatica del testo;
b) con criteri statistici: la maggiore frequenza serve come confronto per la frequenza minore. La frequenza dei tratti stilistici è oggetto della stilostatistica, condotta con spogli elettronici. Con criteri analoghi opera la stilometria di Guiraud [1970], che misura l'”indice di ricchezza” di un testo ottenuto dalla differenza tra il numero dei vocaboli usati e il totale delle parole contenute in esso. I risultati dell’analisi quantitativa sono in realtà assai discutibili, dal momento che l’indice di frequenza, somma delle “parole-tema” (le unità lessicali piú frequenti nel testo) e delle “parole-chiave” (quelle parole-tema che mostrano uno scarto significativo rispetto alla lingua comune), non comporta di per sé un tasso maggiore di informazioni, al contrario, un messaggio è tanto piú informativo, quanto meno è prevedibile.
L’influsso del formalismo e dello strutturalismo è stato decisivo per la stilistica letteraria. Dalla formulazione contenuta nelle Tesi del Circolo Linguistico di Praga [aa.vv. 1929] (« l’opera poetica è una struttura funzionale, e i vari elementi non possono essere compresi al di fuori della loro connessione con l’insieme») derivò una concezione globale dello stile, non piú limitata ad una atomistica sequenza di “scarti” [cfr. Segre 1985]. A Jakobson [ 1960] si deve la definizione della funzione poetica, che sposta l’interesse critico dall’asse paradigmatico, delle scelte virtuali, all’asse sintagmatico, delle realizzazioni. Tra i formalisti russi Vinogradov [1963] distinse tre settori di ricerca: la stilistica della lingua, comprensiva della storia e della tipo logia degli stili (sottocodici e registri); la stilistica della lingua d’uso comune, che ha per oggetto tipi e modi della comunicazione; la stilistica della letteratura, che comprende la teoria e la storia del linguaggio poetico.
Su altro versante la teoria sulla struttura del romanzo di Bachtin [1963] ha « messo in crisi la possibilità stessa di una definizione unitaria dello stile» [Segre 1985]. Ogni opera letteraria per Bachtin racchiude pluralità di usi, di registri, di citazioni delle parole altrui. Ogni testo rimanda ad altri testi (intertestualità) di modo che chi scrive e chi interpreta « trova delle “lingue” e non una lingua ».
In Italia Segre [1969 e 1985] ha approfondito lo studio del testo letterario non separato da quello degli altri testi, e ha circoscritto ambiti e valori interpretativi della stilistica. Per Segre infatti l’analisi dei tratti formali e linguistici rappresenta una fase insostituibile dello studio, ma essa è preliminare alla critica che coglie «la rete di connessioni che lega questi elementi ». Ma l’interpretazione globale di un testo letterario con la « stratificazione di significati » (anche extralinguistici) può solo essere di carattere semiotico. In questa prospettiva « con l’avvento dello strutturalismo non si può piú parlare di critica stilistica, ma di stilistica storica o descrittiva ». Le riserve di Segre valgono anche per valutare il dibattito attuale sulla validità della tradizionale specializzazione letteraria della stilistica.
In altri campi la stilistica è stata applicata all’analisi dei meccanismi di produzione del discorso, o globalmente di tutti i fenomeni discorsivi. In quanto studio di enunciati della comunicazione pratica le sociostilistiche condividono ambiti e scopi con la pragmatica linguistica e la linguistica testuale. La stilistica, collocandosi come « parte di una teoria generale della comunicazione […] si ritrova cosí ancora a condividere con la retorica temi e propositi» [Mortara Garavelli 1992].