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Scopo di queste note è quello di raccogliere alcuni elementi di riflessione e di elaborazione sulle abilità più comunemente indicate come “trasversali” o “comuni” o “di base” e sviluppare in merito qualche indicazione di carattere operativo. Sull’argomento lo scorso anno si è assistito a un intensificarsi del dibattito legato al grande clamore conseguente all’emanazione del decreto che aboliva gli esami di riparazione. In verità, la riflessione ha riguardato essenzialmente il tema del recupero generale, mentre i corsi organizzati dalle scuole sembra abbiano “toccato”, tra l’altro in misura piuttosto residuale, soprattutto le abilità trasversali legate al metodo di studio. D’altra parte, la nozione di recupero riferita alle capacità interdisciplinari è piuttosto impropria per il nostro sistema scolastico, presupponendo il recupero una precedente attività volta allo sviluppo di tali capacità. E su questo terreno, si sa, la nostra scuola non vanta esperienze e sperimentazioni diffuse e significative, in quanto – l’ambito disciplinare e la pratica individualistica dell’insegnamento rimangono – elementi ancora centrali della professionalità docente, almeno a livello di scuola secondaria superiore.
I giudizi di ammissione alla maturità: le contraddizioni del nostro sistema scolastico
Eppure, il rito annuale degli esami di maturità, per quanto sempre più stanco- perché ridotto progressivamente di senso-, ripropone, sia nella fase preliminare della elaborazione dei giudizi di ammissione sia nella valutazione delle “risultanze” del colloquio e nella stessa stesura del giudizio di maturità, la centralità di queste abilità, e mette a nudo una contraddizione non sempre vissuta in modo consapevole dalla nostra scuola. Il giudizio di ammissione, infatti, essendo soprattutto finalizzato a fornire alla commissione un profilo culturale e “professionale” del candidato, si articola opportunamente in valutazioni che riguardano non solo la preparazione nelle varie aree disciplinari del corso di studi, ma anche competenze pluri o transdisciplinari e comportamenti intellettuali a cui viene dato spesso un peso rilevante. E così capita di leggere frequentemente, nei giudizi di ammissione, riferimenti alle “capacità di rielaborazione critica” degli apprendimenti disciplinari, o “di collegamento organico tra argomenti anche di discipline diverse”, o alla “autonomia organizzativa e di giudizio” o allo “spirito critico” più o meno declinato o a “comportamenti fondatamente autovalutativi” dei vari candidati. Generalmente i giudizi più ricchi di riferimenti ad abilità trasversali sono quelli degli studenti più bravi: e quanto più bravi sono gli studenti, tanto più ricco diventa il repertorio delle abilità transdisciplinari cui si ricorre per disegnarne il profilo.
Le stesse caratteristiche presentano più o meno i giudizi di maturità.
Ovviamente, l’articolazione di questi ultimi fa riferimento agli elementi portanti del curricolo, del giudizio di ammissione, dei risultati delle prove scritte e di quelli del colloquio; ma la «valutazione globale della personalità del candidato, considerato con riguardo ai suoi orientamenti culturali e professionali» (1) riporta a competenze non riconducibili esclusivamente a quelle delle discipline oggetto d’esame. D’altra parte, la stessa giurisprudenza ha esplicitato la nozione di maturità in termini di «capacità globale di discernimento e quindi di maturità critica» (2).
La contraddizione tra giudizio caratterizzato da riferimenti alle capacità di base, da una parte, e programmazione e pratica didattica a esse generalmente, diciamo così, “disattente”, dall’altra, risulta evidente ove si consideri che le valutazioni sulle capacità trasversali o comuni, derivate da qualche singolo giudizio analitico, vengono assunte come complessivamente valide, anche se si è consapevoli che a esse non si lega che raramente un’attività mirata e specifica, e quindi una verifica conseguente. D’altra parte, essendo capacità non legate in modo esplicito a un ambito disciplinare, anzi, essendo comuni a tutti e le discipline o a molte di esse, la loro promozione e verifica dovrebbe essere compito di un lavoro collegiale del Consiglio di classe. Ma in proposito raramente capita di avere notizie di esperienze che vadano oltre il semplice e a volte generoso tentativo di progettare percorsi realizzabili.
C’è da chiedersi allora: il riferimento alle abilità comuni, sia nei giudizi di ammissione sia in quelli di maturità, si può leggere anche come tensione verso un tipo di formazione meno frantumata e scoordinata e più attenta invece a competenze, capacità e atteggiamenti culturali spendibili oltre lo spazio della singola disciplina o dello stretto ambito scolastico? E l’incongruenza prima richiamata può essere vista come espressione del bisogno di ricondurre i singoli saperi a obiettivi formativi transdisciplinari che più e meglio riescono a dare senso e quindi motivazione al lavoro scolastico?
Forse sì. Questo in ogni caso dovrebbe essere un obiettivo tra i più importanti di una buona riforma dell’istruzione secondaria superiore. Nell’attesa, che ormai dura da un secolo, un terreno di lavoro come quello qui indicato potrebbe facilitare la costruzione di alcuni “pezzi” di cultura scolastica innovativa che si muova in quella direzione.
L’esperienza dei corsi integrativi: le riscoperte
Anche l’esperienza recente dei corsi di recupero/sostegno organizzati da tutte le scuole superiori e il dibattito che l’ha preceduta e accompagnata, pur nella varietà dell’impegno, delle tipologie organizzative e degli esiti dei singoli istituti, hanno reso tutti un po’ più consapevoli del fatto che:
– dietro l’insuccesso nelle singole materie c’è un carenza di strumenti culturali e operativi (prerequisiti, abilità, competenze) (3) che la scuola non dà in modo mirato, intenzionale, programmato e coordinato;
– tale carenza provoca spesso nello studente atteggiamenti di rifiuto verso lo studio e perdita di fiducia in sé e nelle proprie capacità.
Per un progetto sulle abilità trasversali: indicazioni operative
Pertanto un impegno maggiore su questo terreno non può più essere rinviato. D’altra parte, però, occorre essere consapevoli dell’importanza essenziale di alcune indicazioni operative. Per esempio bisogna sempre tenere ben presente:
– che per quanto riguarda terreni di lavoro come quelli di cui ci stiamo occupando, non è possibile procedere in ordine sparso, e ogni tentativo individuale che non si integri e si rafforzi con quelli analoghi degli altri colleghi in una visione unitaria dell’insegnamento perde gran parte della propria efficacia;
– che il coordinamento e l’integrazione dell’impegno formativo che riconduca a una logica unitaria l’insieme delle iniziative non è un optional, ma una condizione dell’efficacia del lavoro docente e quindi di qualsiasi iniziativa di recupero o sostegno;
– che lo sviluppo e quindi il recupero anche delle abilità comuni non è quasi mai il risultato di azioni singole, per quanto ben programmate, ma di iniziative plurime, convergenti e integrabili;
– che tale sviluppo risulta più efficace se l’offerta formativa della scuola è più ricca e variegata e quindi tale da permettere allo studente una maggiore conoscenza e sperimentazione di sé e delle proprie attitudini e dei propri interessi. (Si pensi alla ricaduta sulle capacità trasversali di esperienze formative come quelle legate agli scambi culturali o agli stage estivi dei progetti di alternanza scuola-lavoro e ad attività all’interno del Progetto giovani di ogni singolo istituto);
– che una organizzazione didattica che si avvalga di figure riconosciute e definite nel proprio ruolo e nei propri compiti (si pensi a figure come il coordinatore di classe, o il tutor, o il responsabile di progetti di classe o il responsabile di materia) è un prerequisito essenziale in campi di lavoro scolastico come quelli di cui ci stiamo occupando;
– che lo sviluppo e il recupero delle abilità di qualunque tipo, come d’altra parte delle conoscenze disciplinari, ha possibilità di successo duraturo solo se lo studente ne capisce il senso, e quindi se si sente motivato e parte in causa e soggetto attivo e responsabile rispetto alle iniziative messe in atto.
I capitoli e il senso di una proposta possibile
Muovendo da queste consapevolezze, occorre adesso chiedersi cosa operativamente è possibile fare. Le risposte vanno ovviamente cercate in rapporto al tipo di classe o di gruppo su cui si intende intervenire e allo specifico corso di studio. E’ sulla base di questi parametri che occorrerà individuare alcune specifiche abilità che si intendono promuovere e intorno ad esse costruire un progetto di classe, quadrimestrale o annuale che sia, che preveda:
– i criteri e le modalità di selezione delle capacità da promuovere;
– gli spazi interdisciplinari da utilizzare;
– le condizioni da assicurare (e fra queste, in primo luogo, il passaggio delle informazioni);
– il ruolo del Consiglio di classe;
– chi gestisce il progetto;
– il ruolo degli studenti (che, come abbiamo già detto, vanno considerati come soggetti attivi e responsabili e quindi coinvolti anche nelle fasi della progettazione, del rendiconto e della valutazione; e ciò nella convinzione che un progetto per gli studenti ha successo se essi lo sentono come loro);
– le modalità e i tempi della verifica.
Rispetto al capitolo “chi fa che cosa e come” occorre probabilmente prevedere momenti di progettazione e organizzazione più flessibili e funzionali ed evitare pertanto riunioni inutili. Per esempio, alcune operazioni come la gerarchizzazione dei bisogni degli allievi, la definizione delle competenze da far acquisire, la suddivisione dei saper-fare da assumere come obiettivi nei singoli insegnamenti disciplinari possono essere svolte soltanto dai docenti del Consiglio di classe più strettamente interessati al progetto. E il Consiglio di classe va ovviamente coinvolto, oltre che nella fase iniziale del progetto, anche per le verifiche e le ricadute dei risultati acquisiti e la sperimentazione della loro efficacia in altre materie.
Corsi metodologici: alcune riserve
La scelta di costruire le abilità di base all’interno degli insegnamenti disciplinari, e non quindi in appositi corsi metodologici, è da preferire in primo luogo perché più facilmente se ne può cogliere il senso e la possibilità d’uso, legandole a bisogni che si possono prevedere all’interno di un percorso disciplinare; in secondo luogo perché si evita così il rischio della “disciplina in più”. Probabilmente non tutte le capacità di base si possono costruire all’interno delle varie materie (4); certamente però per la maggior parte di esse tale collocazione è possibile. D’altra parte l’orientamento a escludere corsi metodologici dovrebbe valere essenzialmente per la fase della costruzione delle abilità. Non si può prevederne a priori l’inopportunità anche per le altre fasi.
Privilegiare gli obiettivi legati al metodo e alle tecniche
Rispetto poi ai criteri di selezione occorrerà necessariamente partire dagli obiettivi trasversali che si intendono privilegiare e chiarire se il progetto che si vuole costruire debba ruotare intorno a:
a) obiettivi di tipo comportamentale (saper lavorare in gruppo, sapersi rapportare agli altri, rispetto delle regole e delle scadenze ecc.);
b) obiettivi di tipo formativo generale (autonomia organizzativa e di giudizio, pensiero critico e pensiero ipotetico, creatività, responsabilizzazione, apertura agli altri ecc.);
c) obiettivi legati al metodo e alle tecniche (avere padronanza della lingua parlata e scritta; saper fare sintesi, cioè cogliere l’essenziale; saper comunicare; saper porre e risolvere problemi; saper progettare; saper leggere con modalità diverse in rapporto al compito; saper utilizzare e inventare codici, cioè schemi, grafici, piante, tabelle; saper studiare, cioè organizzare e fare un uso appropriato ed efficace del tempo, degli strumenti e delle capacità ai fini dell’apprendimento) (5).
Metodo di studio e professione studente
Considerando che gli obiettivi del primo tipo – e forse anche del secondo – passano più facilmente attraverso comportamenti, modalità e metodologie di insegnamento che non attraverso attività ad hoc, che la loro costruzione è distribuita normalmente su percorsi e tempi lunghi e che le modalità di sviluppo sono meno programmabili in senso stretto, è verosimilmente più opportuno concentrare l’attenzione sugli obiettivi del terzo tipo.
Già prima abbiamo fatto riferimento all’attenzione riservata al metodo di studio in occasione dell’organizzazione dei corsi integrativi dello scorso anno scolastico. Va a questo proposito richiamato che almeno da un quinquennio (6) si è intensificata l’attenzione su questo tema da parte del mondo della scuola.
Ne sono testimonianza una serie numerosa di pubblicazioni che hanno tutte l’obiettivo di guidare l’insegnante a sviluppare la consapevolezza delle molteplici attività specifiche di studio che rientrano in un processo di apprendimento e a offrire indicazioni circa le strategie più adatte perché lo studente impari.
Uno dei primi testi si intitolava appunto Strategie per imparare (7). e molti ne seguirono, tutti più o meno ancora utili a condizione di assumerli nell’ottica precedentemente chiarita, ovvero essenzialmente come repertori di stimoli e strumenti per una più efficace programmazione di percorsi mirati; percorsi che non possono essere dati in ogni caso una volta per tutte, dovendo fare i conti con situazioni scolastiche sempre differenziate e con soggetti sempre diversi per storia, livelli e caratteristiche.
Negli ultimi testi sull’argomento (8) l’accento però è posto opportunamente sulle nuove frontiere del fare scuola, e i loro autori sottolineano la necessità di coinvolgere lo studente nelle varie operazioni dei processi di insegnamento-apprendimento e le responsabilità a cui egli è chiamato in rapporto agli esiti attesi (9).
Questa digressione forse un po’ troppo lunga serve, per dire in fondo che, a fronte di una letteratura abbastanza copiosa sull’argomento/problema, anche su questo tipo di competenza i passi in avanti, in termini di pratica didattica più diffusa, non sembrano essere stati ancora significativi. Questa considerazione non può tuttavia giustificare disattenzioni verso le altre abilità di base, proprio adesso che, con il Progetto di istituto, le scuole sono chiamate a ripensare la loro identità culturale anche attraverso scelte di obiettivi formativi cui tendere in modo intenzionato e coordinato. E ciò almeno come nuova linea di tendenza. Anzi, probabilmente va scoperto e reso evidente il filo che lega le varie abilità trasversali. Per cui ad esempio l’intervento estemporaneo su alcuni aspetti del metodo di studio fornirà risposta a bisogni che emergono di volta in volta in relazione a compiti di apprendimento disciplinare (come prendere appunti? come organizzarli? come schedare un testo? che modalità di lettura individuare per un dato saggio consigliato per il lavoro di ricerca in atto? veloce? analitica?). L’attività di progetto invece potrà permettere il collegamento tra queste abilità così costruite e le abilità intorno a cui ruota il piano di lavoro del Consiglio di classe.
Queste considerazioni portano a ricordare, in sede di conclusioni, che
1) le diverse abilità da sviluppare sono difficilmente isolabili;
2) per apprendere una abilità non basta affidarsi agli esercizi. A questo proposito ci sembra stimolante il rilievo di De Vecchi secondo il quale, perché l’appropriazione sia effettiva, occorre che le capacità «si appoggino a operazioni mentali che l’insegnamento dovrà progressivamente sforzarsi di fare elaborare» (10)
3) lo sviluppo di queste abilità si lega anche a una modalità diversa dello stesso insegnamento disciplinare, nel senso che l’attenzione alla valenza formativa delle discipline, come punto di partenza della progettazione curricolare, permette di individuare e privilegiare saperi e saper fare che concorrono alla costruzione di competenze comuni anche ad altri ambiti disciplinari.
Ma questo è un tema complesso che meriterebbe una trattazione a parte.
Note
(1) Cfr. Legge n° 119/’69, art.5.
(2) Cfr. sentenza TAR Lombardia del 23 aprile 1983.
(3) Nel parlare comune i “saper fare” si indicano senza particolari distinzioni con i termini di capacità, abilità, competenze; in alcuni contesti particolari il termine competenze sta a indicare la padronanza di un certo numero di saperi, saper fare e saper essere richiesti per affrontare o svolgere un’attività complessa. Si pensi, ad esempio, alla competenza comunicativa.
(4)Sulle classificazioni degli obiettivi c’è una vasta letteratura; cfr. in proposito le indicazioni bibliografiche in “Sensate esperienze”, n.22 1994 e G. De Vecchi, Aider les èléves à apprendre, Hachette, Paris, 1992, p.46 e sgg.
(5) G. De Vecchi, in Aider les élèves à apprendre, op, cit., p.31, indica le seguenti abilità di base come indispensabili per costruirsi un metodo di apprendimento:
saper leggere (con modalità diverse a seconda del compito di apprendimento);
saper ricercare-assumere analizzare/organizzare-riorganizzare (“gerarchizzare”, strutturare, schematizzare, sintetizzare,memorizzare, assimilare):
– il filo del discorso
– il pensiero di un autore, le frasi importanti
– le idee essenziali
– schemi, tabelle, grafici
– esempi, immagini che colpiscono, che piacciono, che aiutano a memorizzare, argomentare, illustrare un’idea
(6) Cfr. a proposito il numero monografico sul metodo di studio di “Sensate esperienze”, n°22, marzo 1994
(7) L. Mariani, Strategie per imparare, Zanichelli, Bologna, 1990
(8) Cfr. Professione studente, Eurelle, 1993
(9) Cfr. la ricca bibliografia in proposito riportata nel numero citato di “Sensate esperienze”, p. 28, punto 5. Aggiungerei almeno altri tre titoli: oltre al già citato Professione studente, cfr. C. Cornoldi, R. De Boni, Gruppo MT, Imparare a imparare, Erickson, Trento, 1993, e la ricerca Il Consiglio di classe e il Progetto sulle abilità di studio dell’IRRSAE Toscana, maggio 1995
(10) cfr. G. De Vecchi, in Aider les élèves à apprendre, op. cit., pp.53-57