Parte della fisica che studia gli spettri elettromagnetici emessi o assorbiti dagli atomi e dalle molecole; in senso più ampio, quella parte della fisica moderna che studia e classifica i livelli energetici di ogni sistema quantistico.
Fisica
Il compito principale della spettroscopia è quello di determinare e classificare gli spettri con il duplice scopo di chiarire i meccanismi atomici o molecolari responsabili dell’emissione e dell’assorbimento degli spettri e di individuare nello spettro associato a una data specie di atomi o molecole delle strutture caratteristiche che consentano di riconoscere, mediante l’analisi spettroscopica, la presenza di tali atomi o molecole in una data sostanza.
La nascita della spettroscopia, come è intesa oggi, può farsi risalire all’inizio del secolo scorso quando J. Fraunhofer cominciò a ideare strumenti e metodi sempre più precisi per l’analisi degli spettri ottici; in particolare l’introduzione a lui dovuta dei reticoli di diffrazione nello studio degli spettri consentì di misurare rapidamente e con precisione le lunghezze d’onda delle radiazioni di ogni spettro. Lo stesso Fraunhofer, analizzando lo spettro solare, scoprì l’esistenza di innumerevoli righe scure (righe di Fraunhofer) corrispondenti a lunghezze d’onda costanti. L’origine di queste linee apparve per alcuni decenni misteriosa, anche se diversi fisici, tra cui lo stesso Fraunhofer, avevano notato che alcune delle righe brillanti, osservate nello spettro emesso da una fiamma o da un arco elettrico, avevano la stessa posizione delle righe scure dello spettro solare. Dopo diversi esperimenti e interpretazioni contraddittorie i fisici si convinsero che le righe brillanti osservate in certi spettri erano dovute alla presenza di gas incandescenti e che la posizione delle righe dipendeva dalla natura chimica del gas. Contemporaneamente si osservarono nello spettro di una luce bianca che aveva attraversato un gas delle righe scure (righe di assorbimento) analoghe a quelle osservate da Fraunhofer nello spettro solare. La prima chiara relazione tra righe di assorbimento (righe scure) e righe di emissione (righe brillanti) fu messa in luce nel 1849 da L. Foucault, il quale osservò che la riga brillante gialla emessa da un arco elettrico (dovuta, come si seppe poi, alla presenza di vapori di sodio) diventava scura quando si faceva attraversare l’arco da un intenso fascio di luce solare. L’interpretazione corretta di tale fenomeno si deve a G. Kirchhoff il quale, dopo una serie di lavori sperimentali con R. Bunsen, volti a catalogare gli spettri emessi da svariatissime sostanze allo stato di vapore, enunciò nel 1860 una delle leggi fondamentali della spettroscopia che asserisce che ogni gas assorbe le radiazioni della stessa lunghezza d’onda che è capace di emettere. In base a questa legge, fondata anche su princìpi generali della termodinamica, Kirchhoff poteva correttamente interpretare le righe di Fraunhofer come lo spettro di assorbimento dei gas che costituiscono l’atmosfera stellare e, confrontando la posizione di queste righe con gli spettri emessi dai gas incandescenti, individuare l’esistenza di determinati elementi chimici nel Sole e in altri corpi celesti non suscettibili di analisi chimico-fisica diretta.
La spettroscopia costituisce uno dei più fecondi strumenti di indagine della costituzione e della struttura della materia. Infatti l’analisi spettrale che da essa deriva, estesa a regioni più ampie di quella dello spettro visibile, consente di rivelare in un campione preso in esame la presenza di piccolissime quantità di ogni elemento chimico e di molti composti chimici, o determinati gruppi di atomi contenuti in molecole molto complesse; in altri termini lo spettro emesso o assorbito da una data sostanza è strettamente legato alla natura e ai legami chimici dei costituenti della sostanza, tanto da poter essere considerato come una specie di “impronta digitale” della sostanza che lo emette o lo assorbe, e per di più si può osservare anche quando la sostanza non è direttamente accessibile, come ad es. quella delle atmosfere stellari. D’altra parte la ricerca di una interpretazione soddisfacente della struttura degli spettri atomici e molecolari portò alla formulazione della teoria dei quanti e della meccanica quantistica. Infatti le frequenze delle righe spettrali degli atomi più semplici, e in particolare dell’idrogeno, soddisfacevano a semplici regole empiriche (principio di combinazione di Ritz, formula di Balmer, ecc.); tutte queste regole potevano facilmente interpretarsi ammettendo che i sistemi microscopici, come gli atomi e le molecole, potessero assumere solo determinati valori discreti dell’energia e che la transizione da un valore all’altro fosse accompagnata, per il principio di conservazione dell’energia, dall’emissione o dall’assorbimento di un quanto di radiazione elettromagnetica di energia pari alla differenza tra i due livelli energetici tra cui avviene la transizione; la relazione di Einstein h u = E che lega l’energia E di un quanto di luce alla frequenza u della radiazione (h è la costante di Planck) consente di determinare la frequenza della riga spettrale associata a una data transizione. La struttura dei livelli di energia discreti fu dapprima descritta con metodi semiempirici come le regole di quantizzazione di Bohr- Sommerfeld che ebbero poi una chiara interpretazione alla luce della meccanica quantistica e ondulatoria. L’interpretazione degli spettri di emissione e di assorbimento delle sostanze allo stato liquido e solido è notevolmente più complessa, in quanto le interazioni tra molecola e molecola o, nei solidi cristallini, i legami che si manifestano tra i centri reticolari modificano profondamente la struttura dei livelli energetici dei singoli atomi o delle singole molecole. In generale compare un allargamento delle righe spettrali associate agli atomi o alle molecole che è tanto più grande quanto maggiori sono le forze intermolecolari. Nei liquidi, per es., si osserva spesso un tipico spettro di assorbimento discontinuo costituito da una serie di bande piω o meno larghe. Nei solidi incandescenti le interazioni tra le molecole sono preponderanti e mascherano completamente gli spettri atomici e molecolari, dando origine a uno spettro continuo, costituito cioè da una radiazione la cui frequenza assume tutti i valori compresi in un dato intervallo, che in generale comprende, oltre allo spettro visibile, anche l’infrarosso e l’ultravioletto.
Spettroscopia ottica
E’ il mezzo strumentale tradizionalmente più sfruttato per lo studio delle proprietà delle molecole, in particolare della loro struttura. Le sorgenti di luce alle quali ci si affidava fino a pochi anni fa erano di natura incoerente. I progressi compiuti negli ultimi anni dalla tecnologia del laser nella realizzazione di sorgenti altamente monocromatiche e coerenti hanno permesso lo sviluppo di tecniche e apparati sperimentali basati sull’impiego di luce coerente che consentono di ottenere spettri di elevatissima precisione, in particolare delle molecole organiche. I primi a mettere a punto tali tecniche sono stati, nel 1971, R. G. Brewer e R. L. Shoemaker dell’IBM Research Laboratory di San Jose, in California; essi ne mostrarono l’applicazione a gas molecolari rarefatti, come il fluoruro di metile (CH3F), eccitati da laser a CO2, con emissione nell’infrarosso. I livelli energetici molecolari delle molecole del gas in studio vengono portati in coincidenza della frequenza della luce laser mediante l’applicazione istantanea di un campo elettrico esterno; inizia così un processo di assorbimento e riemissione di luce laser, cioè un effetto di oscillazioni smorzate a frequenza ottica. Il periodo di oscillazione dà una misura del momento di dipolo indotto nelle molecole dal campo ottico mentre la velocità del decadimento porta informazioni sui processi di collisione molecolari.
Spettroscopia elettronica
La maggior parte delle tecniche spettroscopiche tradizionali è basata sui fenomeni di assorbimento ed emissione di quanti fotonici, poichè è relativamente facile avere una informazione precisa sulle quantità di energia trasportate dai fotoni stessi. La stessa cosa non si può dire per quel che riguarda gli elettroni: in primo luogo perchè la forte interazione degli elettroni con la materia comporta oggettive difficoltà sia a livello operativo sia a quello dell’interpretazione dei dati ottenuti sperimentalmente e poi perchè, fino a non molti anni fa, non esistevano strumenti che permettessero di conoscere l’energia associata agli elettroni con altrettanta elevata precisione con cui invece si poteva valutare quella portata appunto dai fotoni. La soluzione di questi problemi ha contribuito allo sviluppo della tecnica spettroscopica elettronica. Il principio fisico su cui si basa la spettroscopia elettronica è il seguente: quando un oggetto è colpito da una radiazione emette degli elettroni, la cui energia è misurata da uno spettrometro ad alta risoluzione; nel caso di fotoni incidenti monoenergetici di energia h n, l’energia cinetica Ee degli elettroni emessi sarΰ: Ee = h n Ei, dove Ei è l’energia di legame degli elettroni. Conoscendo h n e misurando l’energia Ee con lo spettrometro, si risale all’energia di legame Ei: questa è l’informazione essenziale che si ottiene con la spettrometria elettronica.