Nel 1835 Augustin Edouart pubblicò il Treatise on S Likenesses definendo Silhouette quei prodotti di gran moda nel Settecento che in Inghilterra venivano chiamati anche shadow portraits con esplicito richiamo al racconto della «dama di Corinto», fortunato tema sviluppato in pittura tra gli altri da Wright of Derby (La Dama di Corinto, 1782-85 ca.: Washington,ng of Art); del resto il rapporto tra s e ritratto si trova citato anche in alcuni dipinti ad esempio di Liotard come il Ritratto di Marie Justine Benoite Favart (1757: Winterthur, Stiftung Osakr Reinhart), con esplicito riferimento al giudizio di P. Clement sull’attrice che a suo dire pur avendo alcuni difetti possedeva «una fisionomia propria».
Il nome derivato da Etienne de Silhouette (1707-67), ministro delle finanze caduto in disgrazia per le sue eccessive economie, alludeva quindi a un genere di ritratti, o meglio profili fisionomici, «a scartamento ridotto» (Praz). La fortuna di questa tecnica – inizialmente si trattava di figure dipinte ritagliate seguendone il profilo su tavole di legno a grandezza naturale – risale al Seicento. Queste dummy-board figures munite di basi di legno o ferro per sostenerle verticalmente, sono ricordate dal pittore e critico Hoogstraten, il quale afferma che Cornelis Bisschop verso il 1630, era stato uno dei piú noti artisti cimentatisi in questo genere di gioco illusionistico di profili. Scrive infatti Hoogstraten: «poste in un angolo o in fondo a un vestibolo… veniva fatto di salutarle come persone vive», producendo un effetto pari all’illusionismo pittorico di quei personaggi che si scorgono in controluce negli sfondi dei dipinti di Pieter de Hooch. Hoogstraten ne documenta la diffusione, ma anche il progressivo decadimento tecnico: «Ormai si vedono soltanto croste fabbricate da storpi e da sguatteri e mal imitate dalle belle figure prima citate»; il successo di queste immagini diede sviluppo a varianti di diverso genere, tra cui quelle che lo stesso Hoogstraten ritagliava e dipingeva, a suo dire (gatti, scimmie, frutta, pesce secco e persino scarpe), con l’intento di ingannare la vista, sull’esempio volto in burla dell’antico asaroton oikon in mosaico di Sosos ricordato da Plinio.
Figure di animali o di altro genere ritagliate in carta affascinarono il granduca Cosimo III de’ Medici durante la sua permanenza ad Amsterdam, tanto da decidere di portare con sé tal «Giovanni Achelom» esperto in questo genere a Firenze nel 1668. La fortuna di questi giochi illusionistici nel sec. XVIII è documentata in tutta l’Europa del Nord. Il fermier général Lalive de July si racconta avesse «posto presso una scrivania una figura seduta, mediocremente dipinta, che aveva fatto ritagliare: rappresentava uno scrivano all’opera. Tutte le persone che aprivano la porta, colpite da quell’oggetto, si ritiravano per non disturbarlo dal lavoro». Grimm narra un analogo aneddoto: «Il signor Huber (pittore russo che dedicò gran parte del suo tempo a ritrarre Voltaire), ha dipinto Voltaire a grandezza naturale, l’ha incollato su un cartone che ha poi ritagliato, di modo che, entrando a casa sua, si viene ricevuti dal patriarca. Intende portare, uno di questi giorni, il cartone alla Comédie-Francaise per collocarlo in fondo a un palco, facendo spargere la notizia in platea che il signor Voltaire è, in incognito, alla Comédie-Française».
Se le s vennero usate generalmente per tenere aperte le porte o come decorazione per caminetti, lo spirito scientifico del sec. XVIII le considerò quali «impronte della natura» (C. Lavater) utilizzandole anche per scopi diversi dal semplice gioco di inganno citato da Grimm. Le s del profilo di un volto dovevano mettere in mostra nell’estrema concisione, l’intimo significato di un volto attraverso le caratteristiche salienti che lo avrebbero fatto identificare (particolari della fisionomia come un naso, un mento sporgente). A questo scopo Lavater le utilizzò nel suo trattato Physiognomische Fragmente zur Beforderung der Menschenkenntnis und Menschenliebe (1775-78), in cui veniva pubblicata anche la descrizione di una macchina «comoda e sicura per delineare s», che secondo la voga del tempo dovevano essere rigorosamente nere, con evidente rimando al loro significato di «ombre» o «impronte».
Lo stesso Goethe se ne interessò facendo ritrarre la sua famiglia da Schmoll, disegnatore impiegato da Lavater, annotando che «ognuno ha preso l’abitudine di ritagliare s la sera, e non entra visitatore in casa il cui profilo non venga tracciato sulla parete: il pantografo non riposa mai» (1791). Al ricordo autobiografico è legato il ritratto di Goethe con in mano la sua s conservato in copia al Goethe-Museum di Francoforte (nel museo goethiano di Weimar è conservata la s di gruppo che ritrae il profilo della granduchessa Amalia e delle sue compagne).
Le s vennero utilizzate per funzioni diverse, fino al ritrattino incollato su carta o dipinto su vetro agglomizzato e decorato con perle o turchesi, appeso al collo o a un bracciale, spesso in ricordo di un defunto; François Gonord ritagliò s delle vittime della rivoluzione in Francia.
Dall’effige in ricordo di un volto caro, all’utilizzo di s quali mezzi dimostrativi all’interno del dibattito sulla scienza fisiognomica, questo genere nel sec. XVIII venne inteso soprattutto come profilo di un volto. Il profilo ridotto in piccolo dal pantografo, strumento già in uso nel 1631, o con l’accurate delineator con lenti rifrangenti che mostrano il profilo ridotto (usato nel 1775 da Mrs. Harrington), o con il Physiognomotracer inventato da Gilles Louis Chrétien (strumento in uso prima del 1780), veniva poi riportato su carta, stucco o avorio. John Fiel fu un celebre profilista su avorio intorno al 1820, ma prima di lui in Inghilterra questa tecnica di pittura su avorio è documentata nella produzione di Bernard Lens che la sviluppò sull’esempio di Rosalba Carriera. Alcuni come P. H. Rogers usarono superfici convesse di vetro, altri fecero s a profili bianchi lavorati a merletto; dopo il 1800 le s vennero abbellite con tinte dorate o riportate su vetro agglomizzato su fondo oro (Volo in pallone di Mario Madeleine Blanchard del 4 luglio 1817: Roma, coll. Praz), o rispecchiarono la moda all’«etrusca».
I temi trattati andavano dai profili dei mourning ring (anelli da lutto), alle s di gruppo, in particolare vanno ricordate quelle di Torond in Inghilterra e di Anthing attivo alla corte di Pietroburgo. Attraverso le s è possibile documentate il gusto del secolo nei profili di scene di conversazione, di tè, ma anche lo sviluppo di altre classiche scene di genere con domestici che sbadigliano (Londra, vam) o sbucciano pere (castello di Knole), fino a curiosi ritratti come quello di un pescatore «Jacques Soustre, detto Blair M. Dupollet in età di 55 anni» o di altri soggetti «rustici» conservati nel Museo d’arte popolare di Arnhem.
Le s di soldati costituiscono un tipo particolare, assai diffuso nel sec. XVIII, ma ancora intorno agli anni Venti del nostro secolo.
Nel castello di Schonberg a Nassau, tutto intorno alla sala da pranzo, s di soldati vennero fissate a qualche pollice dal muro, affinché il castello non apparisse mai vuoto. Due s di granatieri del reggimento Royal-Suédois, conservate nel Musée de l’Armée a Parigi, sembra siano servite come insegne per il reclutamento di truppe. Vanno inoltre segnalati alcuni oggetti ritagliati (mucchio di quadri e lettere, Milwaukee, Art Center), particolarmente elaborati il piú notevole dei quali è un Cavalletto, al cui bordo inferiore sembra appoggiarsi un altro quadro capovolto dipinto intorno al 1670 da Cornelis Gysrecht (Copenhagen, smfk). Un altro cavalletto simulato che sostiene una copia incompiuta del Dominio di Flora di Poussin, una tavolozza e numerosi accessori, firmato «Ant. Forbera pinxit», 1686, è conservato al Museo di Avignone. Il presidente de Brosses l’aveva già ammirato nel 1739 nella Certosa di Villeneuve e ne aveva dato, nelle sue Lettere un’accurata descrizione.
Con l’avvento del dagherrotipo, la s scomparve progressivamente; va ricordata la citazione filologica delle s fatta da Balthus per la messa in scena di Cosi fan tutte di Mozart al festival di Aix-en-Provence nel 1950, o le s femminili che Minaux ha dipinto e ritagliato nel 1972 o ancora i legni di Ceroli, opere queste che appaiono lontani parenti di un genere che ebbe grande fortuna fino alla prima metà del sec. XIX in Germania, Olanda, Francia e Inghilterra.