L’eccezionale rigoglio letterario e culturale del primo Novecento russo creò le condizioni per la nascita di una scienza della letteratura indipendente e autonoma rispetto agli ambiti di cui tradizionalmente era stata vassalla. Furono i formalisti russi che affrancarono gli studi letterari dall’estetica, dalla psicologia e dalla sociologia, orientandoli verso la linguistica che – in quanto scienza del linguaggio, ovvero dell’unica materia propria del testo letterario – avrebbe dovuto fornire i presupposti fondamentali per la nuova disciplina. La scienza letteraria contemporanea può essere così considerata debitrice al fervore teorico sviluppatosi nel periodo tra le due guerre mondiali nell’Europa Orientale e Centrale (Russia, Boemia, Ungheria, Bulgaria e Polonia) grazie a intensi scambi tra studiosi e centri di studi: R. Jakobson (crocevia tra formalismo russo, strutturalismo praghese e scuola di Tartu-Mosca), G. Lukàcs, R. lngarden, R. Wellek e M. Bachtin (riletto poi da J. Kristeva nella Parigi del 1968). Gli studi narratologici di C. Lévi-Strauss e A. Greimas (lituano d’origine) presero coscientemente impulso dalla Morfologia della fiaba di V. Propp (1928), cosi come la teoria della ricezione degli anni Settanta è stata preannunciata nei lavori del Circolo linguistico di Praga e di Ingarden.
Originata dallo sforzo riduzionista e «specificatore» del formalismo, sempre alla ricerca della specificità del fatto letterario, paradossalmente la scienza della letteratura russa è andata via via estendendo il proprio oggetto fino a diventare una teoria della cultura onnicomprensiva. Tale traiettoria era, tuttavia, già implicita nella concezione di segno e di comunicazione jakobsoniana, che prevedeva l’isomorfismo tra linguaggio e testo. Sviluppata dalla Scuola dì Tartu-Mosca negli anni Sessanta (J. Lotman, 1922-93; B. Uspenskij, 1937; B. Egorov, 1925, A. Pjatigorskij 1929; V. lvanov, 1929; V. Toporov, 1928 – 2005; E.M. Meletinskij, 1918-2005) e arricchita dalle conquiste della allora neonata scienza dell’informazione, questa ipotesi diede origine alla semiotica sovietica che, in un linguaggio altamente formalizzato (spesso una sorta di idioma esopico usato per eludere la censura del regime), elaborò un modello pansemiotico dove la lingua era il sistema che modellava ogni attività culturale: letteratura, cinema, moda, arti non verbali, etichetta sociale, folclore e mitologia (da segnalare in questo campo i preziosi lavori di Toporov e Meletinskij); tutto concorreva a formare una tipologia della cultura universale.
Tuttavia, già a partire dagli anni Settanta questo modello pansemiotico e neopositivista cominciò a essere messo in crisi dalla stessa Scuola di Tartu-Mosca e proprio gli studi letterari furono l’ambito in cui si posero le basi per un superamento dello strutturalismo. La consolidata tradizione ‘biologica russa e sovietica e l’influsso delle opere di Bachtin, riscoperto proprio in quegli anni, portava l’attenzione alla storicità, alle coordinate spazio-temporali dell’opera letteraria, e quindi alla categoria della differenza e dell’alterità che nessuno schema tipologico poteva dominare.
Gli studi di Lotman sull’influenza reciproca di letteratura e vita (su Karamzin, il decabrismo) e sullo spazio geografico come motore narrativo segnarono un nuovo periodo nella scienza letteraria russa e, insieme alla riscoperta di un patrimonio culturale più o meno sommerso durante gli anni sovietici (Bachtin; L. Losev 1893-1988; L.. Gìnzburg 1902-90; D. Lichacev 1906-99), stimolarono una generazione di studiosi che emersero con autorevolezza tra la fine degli anni Ottanta e gli anni Novanta: il filologo e storico delle idee S.S. Averincev (1937-2004), gli studiosi di poetica E. Etkind (1918-99) e M.L. Gasparov (1935-2005).