Iniziato probabilmente negli anni del liceo, fu pubblicato nel 1820. Suscitò un grande scalpore, molti critici vi vollero vedere una specie di “manifesto” del romanticismo, altri lo respinsero, come opera troppo ardita: i conservatori, difatti, furono indignati per la violazione delle “regole” poetiche. Del resto anche i karamzinisti e lo stesso Karamzin ebbero modo di fare delle critiche severe; Karamzin definì il poema privo di interesse. Altri criticarono l’assenza di un piano, l’insufficiente caratterizzazione dei personaggi e così via. A parte le polemiche, spesso di carattere contingente, va subito osservato che il poema, pur con le sue ingenuità, è importante per il suo carattere innovatore nell’ambito della tecnica del verso, della composizione e dello stile. I romantici vollero vedervi l’ispirazione popolare, quella delle “fiabe russe”. In realtà, la struttura di quest’opera ricorda più il poema cavalleresco occidentale, che non la fiaba russa o l’epos russo (da cui, senza dubbio, molti episodi sono per altro tratti). Nel poema è stata avvertita l’influenza dell’Ariosto, conosciuto probabilmente in traduzione francese dal giovane poeta. Un mago gobbo rapisce la bella Ljudmila la sera stessa delle sue nozze con il principe Ruslan. Questi parte per liberare la sposa. Con lui partono tre suoi rivali, spinti dal desiderio di rapire per sè la bella fanciulla, figlia del gran principe Vladimir Bel Sole: sono Rogdaj, ardito guerriero, Farlàf, arrogante ciarlone, primo nei banchetti, ultimo in battaglia, e Ràtmir, il khan dei khazari. Per un giorno i quattro guerrieri cavalcano insieme; poi si separano e ciascuno va per la sua strada. Ruslan s’imbatte in un vecchio mago dal volto sereno che gli rivela che Ljudmila è stata rapita da Cernomor, un malvagio stregone gobbo, padrone delle montagne del Nord. Intanto Cernomor ha portato Ljudmila nel suo palazzo incantato, fra magici splendidi giardini, e propone alla fanciulla di sposarlo: ma Ljudmila, disperata, si oppone. Per sua fortuna si mette, per caso, il berretto del ridicolo mago (che intanto aveva stretto alleanza con la strega Naina per eliminare Ruslan) e scopre che, calzandosi il berretto alla rovescia, si diventa invisibili. Ruslan, nel frattempo, continua il suo cammino verso il palazzo del nano stregone e gli capitano varie avventure: fra queste, l’incontro con una mostruosa testa di gigante, piantata nella steppa, che cerca di spazzar via il principe a soffi, e lo schernisce pure, mostrandogli la terribile lingua. Ruslan prontamente trafigge la lingua con la lancia; mentre sta per tagliarle anche le orecchie, la testa sospira e, chiedendo pietà al guerriero, gli narra la sua storia: causa delle sue disgrazie era stato Cernomor, il suo fratello minore il quale, nato nano e con la barba, odiava i giovani e aitanti guerrieri: così con un atroce inganno tagliò la testa a lui, suo fratello, con una spada magica, che ora la stessa testa custodiva. La testa, in cui sopravviveva lo spirito vitale del giovane, dice a Ruslan di prendere la spada magica e di fare giustizia del malvagio nano, la cui forza stava nella barba. Così avviene: Ruslan arriva al castello, afferra il nano per la barba (il nano resiste, e vola per due giorni, con Ruslan attaccato alla sua barba), finchè si arrende: Ruslan gli taglia la barba e ritorna con la sua bella. Purtroppo cade in un inganno tesogli da Farlàf. Ma tutto termina felicemente e il poema (in sei canti, con un epilogo) si conclude con una gran festa nel palazzo del principe Vladimir.