Il romanticismo fu un ampio movimento culturale che pervase ogni campo del sapere, ma è nell’ambito estetico che il grande insieme di idee, teorie e gusti culturali di cui si compose l’ideologia romantica, trova il luogo privilegiato di espressione.
Prima di passare a il movimento romantico come si caratterizzò in Inghilterra, è necessario però chiarire quali furono, in generale, i capisaldi della dottrina romantica in Germania alla fine del diciottesimo secolo.
Innanzitutto è opportuno dare uno sguardo al significato del termine. Le analisi semantiche della parola romanticismo ci dicono che essa è sempre stata intrecciata al termine ‘romanzo’ (1), più precisamente al ‘romanzo cavalleresco’. Quest’ultimo ebbe anche un ruolo fondamentale nella ricostruzione che gli stessi esponenti del romanticismo fecero del proprio movimento. August Wilhelm von Schlegel per esempio, uno dei fondatori della rivista Athenaum, definì il romanzo come ‘un libro romantico’. Sempre dal maggiore dei fratelli Schlegel il termine fu riferito a ciò che riguarda le lingue e le letterature neolatine, al poema cavalleresco di autori come Pulci, Boiardo, Ariosto e Cervantes.
L’aggettivo ‘romantic’ apparve per la prima volta proprio in lingua inglese a partire dalla seconda metà del Seicento e venne utilizzato per indicare negativamente la stranezza, l’ingenuità e la materia avventurosa dei romanzi cavallereschi e pastorali: “per ‘romanzo’ bisogna intendere, come l’affinità tra le due parole lascia del resto intuire, quel che gli inglesi chiamano romance, ossia una narrazione fantastica, per lo più di argomento cavalleresco, non il novel ossia il romanzo realistico che tratta di avvenimenti contemporanei allo scrittore. Per questo il senso della parola romantico andrà precisandosi in quello di ‘immaginato, inventato come in un romanzo’” (2). Il termine romantico quindi, nacque portatore di significati negativi, utilizzato per definire alcune caratteristiche negative dei romanzi cavallereschi e pastorali come la falsità, l’irrealtà e l’eccesso di contenuti fantastici. Tutto ciò che sembrava il prodotto di una fantasia sregolata venne definito come romantico.
Un’altra fondamentale connotazione dell’aggettivo riguarda il paesaggio, nel senso che esso venne a significare anche ciò che nei paesaggi o nelle rovine, faceva rivivere la stranezza e l’ingenuità dei vecchi romanzi: nel 1654 John Evelyn parlò di un ‘luogo romantico’ nei dintorni di Bath e Samuel Pepy nel 1666 indicò un castello come ‘il più romantico del mondo’. Come scrive De Paz, in questi scrittori “l’aggettivo ‘romantic’ riguarda dunque l’ambito dell’immaginazione e risulta collegato alla dimensione dell’ ‘irrazionale’ ” (3).
Già agli inizi del Settecento, il significato di questo termine si fissò su ciò che è attraente e insolito, indicando ciò che colpisce l’immaginazione. Alla fine dello stesso secolo, romantic non si riferì più solamente agli aspetti del paesaggio e della realtà esteriore, ma implicò anche l’intensa emozione suscitata nell’animo umano da spettacoli insoliti e grandiosi. Nell’ultimo quarto del Settecento J. J. Rousseau scrisse, in Le fantasticherie del passeggiatore solitario, che ‘le rive del lago di Bienne sono più selvagge e romantiche del lago di Ginevra’ (4). Rousseau, una delle fonti principali degli autori romantici, si servì del termine ogniqualvolta dovette chiamare in causa sensazioni indistinte provocate da un luogo magico, soprannaturale e infinito nel quale perdersi in contemplazione. Tenendo l’attenzione rivolta all’ambito inglese inoltre, è importante sottolineare una rilevante differenza che il significato del termine ebbe in Inghilterra rispetto a quello che assunse in Francia e in Germania: “in Inghilterra venne impiegato per caratterizzare ciò che è fantastico e vago, mentre in Germania e in Francia la parola iniziò ad entrare nell’ambito letterario” (5). In Germania inoltre, l’aggettivo ‘romantisch’ comparve tardivamente rispetto a quello inglese e fu sempre strettamente connesso al mondo gotico-medioevale e alla poesia cristiana medioevale-rinascimentale.
Tale aggettivo divenne, alla fine del Settecento, il termine chiave utilizzato da tutti i collaboratori dell’Athenaum per indicare proprio il contenuto meraviglioso, fantastico e irreale di quelle opere e per contrapporre tali significati ad un certo tipo di classicismo retto da norme di equilibrio, compostezza e regolarità. Friederich Schlegel dette infatti alla poesia romantica un senso storico, il fratello August Wilhelm creò la celebre contrapposizione letteratura romantica-letteratura classica, la quale venne quasi universalmente riproposta, con diverse sfumature, dai filosofi e poeti del periodo.
Inizialmente però, in Germania, il termine venne usato polemicamente da Johann Voss e dai suoi seguaci che definì ‘romantici’ i membri del gruppo di Jena. La parola acquistò però sempre più importanza nell’ambito culturale tedesco, tale da divenire una vera e propria moda negli anni tra la fine del Settecento e i primi dell’Ottocento. Tieck pubblicò nel 1799 una raccolta di poesie intitolata Romantische Dichtungen (Poemi romantici) e Schiller, che non apparteneva al gruppo romantico, due anni dopo dava a una sua tragedia il sottotitolo Una storia romantica.
Da questa breve analisi del termine, si ottiene un’importante indicazione. Oltre ad essere stato un ampio movimento culturale in un periodo temporale circoscrivibile, il romanticismo può anche essere considerato in una veste extratemporale come un atteggiamento spirituale che tende a valorizzare la realtà del sentimento, a considerare il significato dell’arte fondamentale nella vita dell’uomo e a ripensare su questi valori il rapporto dell’uomo con la natura. Questo nuovo sistema di valori, già fin dalla sua nascita, venne contrapposto, dai suoi teorici, ai principi della tradizione classicista accusati di soffocare gli autentici valori del sentimento, dell’arte e della natura in favore di freddi criteri razionali come l’ordine, l’equilibrio, la compostezza e la simmetria.
Per comprendere adeguatamente la nuova visione romantica della realtà, è necessario ora considerare il periodo immediatamente precedente alla nascita del vero e proprio movimento romantico. I segnali del passaggio tra la mentalità illuminista e la mentalità romantica infatti, cominciarono ad avvertirsi, nella seconda metà del Settecento, a margine del pensiero illuminista dominante. I primi segnali concreti in questo senso furono dati da un certo disagio nei riguardi dei rigidi e rigorosi metodi d’indagine utilizzati dagli illuministi che, agli occhi dei nuovi poeti romantici, escludevano e ignoravano i valori della vita del sentimento e delle emozioni (6). Questo significò, agli occhi di chi avvertì questa violenza, la grave mancanza e l’abbandono del mistero come estraneo ai procedimenti intellettualistici astratti nella conoscenza del mondo. Da un punto di vista gnoseologico quindi, tutto questo coincise con il disagio nei confronti di quel tipo di razionalità che tende ad escludere delle realtà spirituali considerate fondamentali dalla nuova sensibilità romantica. In questo lungo e ancora disordinato processo che conduce all’autentico movimento romantico, maturò progressivamente la convinzione che l’attività sentimentale e fantastica è un mezzo conoscitivo che si spinge più a fondo della razionalità illuministicamente intesa. È in questo senso, inoltre, che De Paz utilizza il termine preromanticismo: “[…] nonostante sia controversa l’opportunità del suo uso- esso serve abitualmente a designare una tendenza che emerge a partire dalla metà del XVIII secolo in reazione contro la ragione trionfante, contro l’intellettualismo che favoriva la conoscenza a scapito della sensibilità, un clima nuovo che voleva celebrare l’immaginazione e il sogno” (7).
La concretizzazione più importante e più evidente di questa tendenza di pensiero preromantica, si ebbe intorno gli anni Settanta in Renania: lo Sturm und Drang, ‘tempesta e impeto’. Questo nuovo movimento intellettuale ebbe come partecipanti, tra gli altri, Goethe, i fratelli Jacobi, Lenz, Herder e Klinger. Fu proprio quest’ultimo a dare il nome al gruppo attraverso il titolo di un suo melodramma pubblicato nel 1776. Il loro manifesto programmatico più importante fu la raccolta di scritti Intorno al carattere e all’arte dei tedeschi del 1773 prodotta dai più autorevoli esponenti del movimento: Goethe, Herder e J. Moser. È proprio con gli scritti teorici di queste grandi personalità che la concezione dell’arte e della letteratura si pose in termini nuovi e più maturi. L’attenzione fu qui ancora una volta rivolta alle istanze del sentimento, della passione, dell’immaginazione e della spontaneità che vennero esaltate, anche da un punto di vista estetico, in opposizione ai canoni fissati nelle teorie neoclassiche che pretendevano di regolare l’arte e la vita dell’uomo.
In questo nuovo modo di esprimere le realtà dell’uomo, divenne centrale, per questi pensatori, il volgersi verso forme culturali ed artistiche lontane che l’ideologia illuminista aveva sottovalutato. Il Medioevo rappresentò così, secondo le loro esigenze, il richiamo a quei valori spirituali, espressi nell’arte gotica e nelle poesie popolari, trascurati per lungo tempo come gli ideali della cristianità e della fede, del pittoresco, del patetico e della semplicità. Sempre in questa prospettiva avvenne inoltre anche il recupero dei canti di Ossian. Questi, oltre ad essere visti come portatori di immagini gloriose e di valori di grandezza del tempo passato, influirono anche direttamente sulla concezione paesaggistica inglese, attenta a luoghi fatti di rocce e corsi d’acqua, spesso avvolti nella nebbia. Un altro tema fondamentale che emerse in questo contesto, e che ci riguarda da vicino, è la nascita di una nuova concezione del genio che, proprio nella Germania di quel periodo, assunse connotati originali.
La parola genio apparve in lingua tedesca e si diffuse rapidamente in Germania intorno alla metà del Settecento e venne ricondotta, successivamente anche dalla critica inglese, alla figura di Shakespeare, considerato allora come il genio per eccellenza. Ciò che di grandioso gli sturmer videro nel poeta inglese, fu la sua capacità, a differenza degli autori classici, di intuire e rappresentare i misteri della coscienza umana, le sue inquietudini e i suoi turbamenti.
Il concetto di genio fu legato inoltre all’idea di originalità, nel senso che l’opera del genio si qualificava innanzitutto come opera irripetibile, libera. Essa non era legata a canoni esterni prestabiliti artificialmente, ma era il prodotto di un’individualità eccezionale, e l’unica regola, come scrive De Paz, “è ascoltare il proprio cuore, essere sincero ed essere forte. L’originalità era la cosa più importante e colui che non sentiva in sé delle emozioni nuove, che non formava dei pensieri inediti, era ritenuto di non avere nulla a che fare con la poesia o con la drammaturgia” (8). Oltre ad avere avuto un ruolo centrale nelle riflessioni critiche, estetiche e filosofiche del romanticismo più maturo, l’importanza di questo concetto si vede bene anche nel fatto che essa rappresentò l’elemento distintivo di tutta la poesia della prima metà dell’Ottocento, la quale si può riconoscere soltanto nel suo rapporto diretto con la genialità.
L’inizio del vero e proprio romanticismo avvenne nella città di Jena, dove un gruppo di poeti, critici e filosofi si riunì a partire dal 1796 per costituirvi la ‘Scuola romantica’. I principali esponenti di tale Scuola furono i fratelli Friedrich, il principale teorico del gruppo, e August Wilhelm Schlegel, meno portato alla speculazione filosofica del fratello minore ma grande scrittore ed esperto di letteratura.
Nel 1797, Friedrich si trasferì a Berlino dove formò un nuovo gruppo, in seguito alle amicizie con Friedrich Schleiermacher, teologo e filosofo, il poeta Ludwig Tieck. Nel 1798 si aggiunse poi anche Friedrich Wilhelm Joseph von Schelling. Il nuovo gruppo di intellettuali romantici, assieme anche a Novalis che vi fece parte già dal 1796 a Jena, diede alla luce le prime formulazioni teoriche del proprio pensiero negli articoli della rivista Athenaum che si può considerare, assieme al Dialogo sulla poesia di Friedrich Schlegel, il primo documento ufficiale del romanticismo.
Nelle menti dei componenti del nuovo gruppo influì non poco la particolare situazione storico-politica in cui si trovarono ad operare, una situazione che fu la fonte di delusione di smarrimento in seguito alla caduta dei grandi ideali della Rivoluzione Francese e alla successiva oppressione napoleonica dei popoli europei. Dopo aver brevemente accennato alle premesse di carattere storico e politico della nascita del nuovo pensiero romantico, è possibile ora inquadrare meglio la critica romantica all’illuminismo, anche da un punto di vista filosofico generale facendo riferimento ad un principio fondamentale in tutti gli autori romantici: il concetto di infinito.
L’opposizione romantica all’illuminismo, è prima di tutto opposizione al suo concetto di ragione. L’illuminismo fu l’esaltazione della ragione, di una ragione che si dava limiti precisi come la mera conoscenza del finito. L’esempio più importante e il progetto più ambizioso di una tale concezione di tipo illuministico, fu sicuramente l’Enciclopedia di Diderot e D’Alembert. In essa si affrontò il problema di riunire e catalogare tutto lo scibile sistemandolo in ordine alfabetico, il che significa che si intese la realtà come una serie di elementi finiti. La ragione illuminista si limitò soltanto alla conoscenza di singoli aspetti della realtà per poi, nel suo progetto enciclopedico, riunirli tutti in un ordine arbitrario, l’ordine alfabetico. In questa prospettiva, la ragione illuminista ripudia nettamente la possibilità di conoscere l’infinito, la totalità, l’assoluto per limitarsi solamente alla conoscenza del finito. Da questo punto di vista per esempio, la filosofia kantiana si può considerare come un’espressione della cultura illuminista. Per Kant infatti, la conoscenza è sempre conoscenza del finito, del molteplice empirico. Se la ragione tenta di spingersi oltre l’esperienza, si esce anche dall’ambito della conoscenza: l’infinito e l’assoluto non sono conoscibili. La ragione sulla quale fecero affidamento gli illuministi la si può intendere come intelletto che analizza il molteplice, il finito e lo astrae fuori dall’insieme di cui fa parte: il problema dell’insieme, della totalità, dell’infinito e dell’assoluto è fuori discussione.
Questa concezione illuministica della ragione, del finito e della conoscenza venne criticata e capovolta da tutti gli autori romantici. Il romanticismo infatti fu il tentativo, l’affermazione orgogliosa da parte dell’uomo di poter cogliere l’assoluto e l’infinito che non furono più visti, per questo motivo, come qualcosa che va espunto dalle possibilità della conoscenza. I romantici ebbero così una grande fiducia sulle possibilità dell’uomo di poter cogliere l’infinito e, di conseguenza, si può capire perché questo periodo sia considerato come periodo di grande esaltazione delle capacità umane. L’uomo romantico infatti si sentì un titano in grado di sfidare gli dei perché si sentì in grado di raggiungere l’assoluto.
Il tentativo di cogliere l’infinito avvenne, nelle varie personalità romantiche, secondo diverse modalità e sfumature. Inoltre, la riabilitazione romantica del sentimento avvenne conformemente a questo nuovo modo di intendere il rapporto finito-infinito. É in questo senso infatti che la categoria del sentimento fu il punto cardine delle speculazioni romantiche: essi considerarono le vie d’accesso all’infinito non nell’intelletto separatore, ma nell’intuizione, nello slancio sentimentale, nella fantasia.
Un’importante conseguenza di questa nuova visione romantica fu una condizione esistenziale di sofferenza, irrequietezza e melanconia. Il limite e la finitezza del mondo provocarono turbamenti profondi alle sensibilità romantiche. L’uomo romantico era sempre in cammino verso l’identificazione di finito e infinito ma questo cammino implicava che, ogni volta che l’uomo raggiungeva una sintesi di finito e infinito, egli si rendeva consapevole che la propria natura finita e limitata avrebbe potuto cogliere soltanto una parte, un aspetto di questa identificazione. Essa infatti sfugge continuamente e non può essere mai colta completamente e pienamente. Tale situazione, indicata con la parola tedesca Streben, la si può ben capire anche dalla celebre frase di Novalis: ‘Noi cerchiamo dappertutto l’Assoluto, l’Incondizionato e troviamo sempre e soltanto cose’.
Ma il termine tedesco più importante per capire questa aspirazione romantica all’infinito è Sensucht, traducibile con le parole aspirazione, desiderio: “Sensucht deriva da sehen che significa desiderare e dal sostantivo sucht che vuol dire desiderio. Quindi la parola finisce per delineare un desiderio innalzato alla seconda potenza, un desiderio del desiderio e quindi un desiderare che si esaurisce in sé per il piacere del desiderio” (9).
Un’altra categoria fondamentale del romanticismo, particolarmente presente in Hölderlin, fu quella della nostalgia. I romantici guardarono all’epoca dove avvenne la conciliazione tra finito e infinito, soggetto e oggetto, spirito e materia e la trovarono nella Grecia classica. Essi si sentirono esuli da quella terra ove regnava l’armonia tra il divino e l’umano, lo spirituale e il materiale, basti pensare che gli dei greci erano simili agli uomini.
A questo punto, sempre seguendo il tema del rapporto tra finito e infinito, possiamo meglio comprendere il significato che acquisirono l’arte e l’estetica nel pensiero romantico. Attraverso l’arte e il sentimento l’uomo poté penetrare l’essenza della propria vita. Il poeta è colui che ha un animo particolarmente sensibile e geniale, che gli permette di scorgere le tracce dell’infinito all’interno delle cose che lo circondano. La genialità del poeta è proprio quella che gli permette di saper riconoscere, individuare e intuire sentimentalmente ed esteticamente nelle cose finite, singole e materiali qualcosa che va al di là di esse, l’infinito appunto. Si può comprendere ora anche perché l’estetica romantica abbia operato una così importante riabilitazione della fantasia definendola come facoltà che permette all’uomo, al poeta, di porsi in contatto diretto con l’assoluto per poterne poi rappresentare un parziale aspetto nel prodotto artistico. Mentre la concezione illuminista dell’uomo qualificò quest’ultimo in rapporto ad una precisa sua attività razionale, la cultura romantica si definisce come ‘visione estetica del mondo’. La conciliazione tra finito e infinito è il nodo teoretico che sta a fondamento di questa estetica: essa, infatti, ruota attorno l’idea centrale di unità tra individuo e mondo, tra spirito e natura, tra soggetto e oggetto, tra passioni e intelletto, tra tutti i diversi e apparentemente frammentati aspetti dell’esistenza.
Il rifiuto dei procedimenti analitici dell’illuminismo, coincise con l’esigenza di un sistema che integrasse armoniosamente tutti gli aspetti della realtà umana. Per i poeti romantici l’arte rappresentò quel luogo privilegiato di concretizzazione di questa unità. Queste nuove teorie estetiche rimasero però, nelle opere dei poeti e dei critici romantici, solamente a livello di frammenti e di appunti senza mai raggiungere una compiuta sistematicità. Fu solo con il sistema filosofico del primo Schelling che i contenuti e le istanze estetiche del romanticismo trovarono una loro sistemazione adeguata e un loro sostrato filosofico compiuto.
La natura, romanticamente intesa, trovò espressione in una concezione organica del mondo in contrapposizione alla concezione meccanicistica degli illuministi che la consideravano un ordine oggettivo scientificamente analizzabile e come un insieme di relazioni fattuali legate tra loro da una rigida causalità. Il pensiero romantico, recuperando una visione rinascimentale, dinamica, vitalistica e anche mistica, concepì il cosmo come totalità in cui le parti vivono in funzione del tutto. La natura non è più vista soltanto come qualcosa di materiale e regolata da leggi meccaniche, ma diventa dotata di vita e di spiritualità, ordinata secondo scopi: “Non un’apologia del caos dunque, ma l’accettazione di un modello cosmologico fondato su un diverso tipo di ‘ordine’, un ordine non geometrico, vivente, in perenne ‘crescita’” (10).
I documenti del romanticismo inglese
Anche l’Inghilterra, oltre alla Germania, fu il luogo nel quale la critica contro i valori razionalistici dell’illuminismo e quelli del materialismo scientifico, trovò nell’estetica e nell’arte il suo terreno di individuazione sul quale si incontrarono le maggiori personalità del tempo. Prima di passare ad analizzare i manifesti programmatici dell’autentico romanticismo inglese, è opportuno però vedere come questo si caratterizzò da un punto di vista storico-culturale.
Il primo tratto distintivo è sicuramente dato dal fatto che il mutamento di sensibilità, in Inghilterra, avvenne in precedenza rispetto agli altri paesi europei ed una delle principali motivazioni è che in questo paese la tradizione del classicismo fu meno radicata ed operante che altrove. In Favole d’identità Northorp Frye afferma che questo periodo ha sempre risentito della mancanza di una chiara etichetta storica. Egli inoltre, preferisce evitare il termine preromanticismo preferendogli la definizione di “età della sensibilità”: “Non solo i ‘preromantici’ non sapevano che stava per succedere a loro il movimento romantico, ma probabilmente non vi deve essere mai stato un solo caso che si ricordi d’un poeta che abbia considerato l’opera d’un poeta avvenire come compimento della propria” (11).
Marylin Butler afferma che la new weave inglese precede di molto la nascita del romanticismo Jenese del 1797. L’inizio del romanticismo inglese infatti, si dovrebbe datare intorno al 1740. La Butler inoltre individua una delle cause nelle particolari condizioni che contraddistinguono i lettori: “I poeti romantici sono originali perché si trovano in una nuova situazione. Il mondo del poeta inglese è già cambiato prima del 1750. Il fattore rivoluzionario sta nel nuovo pubblico che segue la letteratura d’immaginazione. Un numero sempre più vasto di inglesi è in grado di leggere e gode di un maggior benessere che gli dà la possibilità di possedere libri e il tempo per leggerli” (12). Sempre la Butler sostiene poi che, a seconda del loro modo di porsi nei confronti della società del tempo, i poeti romantici inglesi si possono dividere in tre gruppi: “Il primo esprime una tendenza di opposizione, anche se non si tratta ancora di quei sentimenti rivoluzionari delle classi medie e provinciali che si sarebbero poi manifestati nel mezzo secolo che precede la Rivoluzione francese. Il secondo, degli anni intorno al 1795 sino al 1812 circa (gli anni in cui l’Inghilterra era in guerra con la Francia postrivoluzionaria), si serve di sfondi paesistici ugualmente provinciali e di un accessibile linguaggio ‘naturale’, mentre riformula drasticamente il messaggio di opposizione rendendolo religiosamente ortodosso e politicamente lealista. Il terzo, dal 1812 circa al 1824, è molto meno nettamente provinciale e democratico: in realtà le modalità poetiche di Byron e di Shelley sono aristocratiche quanto le loro origini sociali, benché ciò non impedisca loro di sfidare la politica del governo britannico più arditamente e direttamente dei loro predecessori” (13).
Un’altra importante schematizzazione storica del romanticismo inglese, la fornisce anche Mario Praz. Egli infatti divide questa epoca in tre periodi principali. Il primo periodo, dal 1798 al 1832 è qualificato come periodo etico “poiché la prima generazione dei grandi poeti romantici presenta una dottrina ed un orientamento etico altrettanto salienti quanto l’estetico” (14). Il secondo periodo, dal 1832 al 1875, è quello del compromesso vittoriano caratterizzato, all’interno di una sensibilità romantica, da un certo ritorno al razionalismo (15). L’ultimo periodo infine, dal 1875 al 1914, è quello della reazione antivittoriana caratterizzato dal nascere del decadentismo, dell’estetismo, dall’attenzione ai problemi sociali e partecipato da scrittori come Shaw, Wells e Chesterton (16).
Non è da sottovalutare poi il fatto che la precocità della nuova sensibilità romantica in Inghilterra si manifestò contemporaneamente alla Rivoluzione industriale che prese corpo nella seconda metà del Settecento per estendersi nel secolo successivo. L’uomo romantico si pose in diretto rapporto con la varietà di problematiche provocate dalla Rivoluzione industriale come la violenza delle macchine nei confronti della libertà creatrice e della soggettività della persona e come il nuovo genere di esistenza provocato dall’industrializzazione. Questo stretto rapporto tra le conseguenze della Rivoluzione industriale e la nascita della nuova sensibilità preromantica, è messo in rilievo anche da Pagnini. Egli ci avverte di non dimenticare che “i primi romantici non separarono affatto gli interessi politico-sociali da quelli poetici, e furono partecipi dei grandi eventi del periodo cruciale che va dal 1757 al 1827 e cioè la nascita della democrazia e, appunto, i terribili risultati della Rivoluzione industriale: fame, malattie, alienazioni, smarrimento (17). Ovviamente, queste furono delle cause contingenti che diedero luogo al mutamento di sensibilità, legate alla particolare situazione storico-economica verificatasi in Inghilterra. Più determinante, nella trasformazione culturale inglese, fu la formazione di uno stato d’animo generale su scala europea, che abbiamo visto nel precedente paragrafo, che determinò la nascita di nuove tendenze di pensiero attraverso gli intellettuali tedeschi della seconda metà del Settecento.
Come accadde in Germania, anche in Inghilterra ebbe luogo un profondo disagio nei confronti dei valori razionalistici dell’illuminismo e del materialismo scientifico. In primo luogo, esso si tradusse nella conseguente ripresa del Medioevo, inteso come periodo che andava dalle prime età barbariche fino a tutto il Rinascimento, cioè nella “rivalutazione delle opere e delle epoche storiche in cui si suppose avesse prevalso l’espressione diretta del sentimento” (18). In questa tendenza tipica dell’Inghilterra del Settecento, che prese il nome di Gothic revival, i poeti e gli artisti volsero l’attenzione, nella convinzione che la razionalità non riuscisse a soddisfare appieno le esigenze dello spirito, a valori di ‘primitivismo’ e cioè all’espressione dei sentimenti e delle passioni, nel gusto per il particolare, per la descrizione del paesaggio e per la suggestione delle rovine.
L’esempio più importante, in questo senso, lo si può vedere bene nella riscoperta, da parte di James Machperson, dei canti di carattere epico dei bardi gaelici e degli Highland scozzesi. Il Machperson tradusse e raccolse questi canti, nel 1760, in un volume che intitolò Fragments Ancient Poetry collected in the Highlands of Scotland and traslated from the Gaelic or Erse language e che vennero attribuiti ad Ossian. Nelle caratteristiche di questi canti, come le misteriose visioni di un paesaggio nordico, la natura semplice e primitiva dei guerrieri, la semplicità e la libertà della tecnica poetica, si possono rintracciare già tutti gli elementi dell’epoca della sensibilità: l’importanza data alla fantasia, al sentimento e l’evasione poetica da canoni e regole prestabilite.
Fondamentale, per la formazione della mentalità romantica in Inghilterra, fu anche il saggio Indagine filosofica sull’origine delle nostre idee del sublime e del bello di Edmund Burke, uscito in prima edizione nel 1757 e nel 1759 in seconda edizione ampliata con l’aggiunta dell’Introduzione sul gusto. Con la categoria del sublime, già teorizzata precedentemente da Boileau, Addison e Baille, continuò quel processo di liberazione del sentimento che i poeti e i critici romantici inglesi, nelle loro produzioni, porteranno a compimento nella prima metà dell’Ottocento. Questa categoria rappresentò un’arma importante per tutti coloro i quali attaccarono le regole del classicismo, dal momento che attraverso di essa venne sempre posto l’accento sull’importanza delle emozioni più forti e sugli aspetti irrazionali dell’arte e dell’uomo. La fortuna di questo concetto, fu la testimonianza più evidente degli stretti legami che il romanticismo inglese strinse con gli sviluppi della riflessione estetica del Settecento. Questa particolarità è evidenziata anche da D’Angelo. Egli infatti afferma che ciò che caratterizza la particolarità dell’estetica romantica inglese è “l’interesse per le letterature primitive o credute tali e le prime raccolte di canti popolari e reliquie dell’antica poesia locale, la riscoperta dell’architettura gotica, la voga del romanzo nero, e tutti quei nuovi orientamenti del gusto che sul piano teorico trovano espressione nel concetto di sublime, che a partire dalla metà del secolo si affianca a quello di bello, e che viene a giustificare l’attrazione esercitata dal terribile, dal grandioso, dal tenebroso, dal violento: insomma dalla forza che scompagina la forma. Tutti questi fenomeni possono essere interpretati come manifestazioni di uno spostamento di accento, nell’ambito della teoria estetica, dalla ragione verso l’immaginazione, e dall’imitazione verso l’espressione, di cui non è avventato scorgere i prodromi, in Inghilterra, già all’inizio del Settecento, e che prosegue per tutto il secolo, culminando appunto nell’estetica romantica” (19).
L’atto di nascita della stagione romantica inglese fu l’uscita, nel 1798, delle Lyrical Ballads di William Wordsworth e Samuel Taylor Coleridge, ma è nella Prefazione alla seconda edizione del 1800 che venne delineata la poetica del nuovo movimento. Nel 1798, assieme alla prima edizione delle Ballate, uscì anche una breve avvertenza al lettore nella quale Wordsworth confessò al lettore il carattere sperimentale di quelle poesie: esse “furono scritte principalmente allo scopo di verificare in che misura la lingua di conversazione delle classi medie e basse della società sia adatta ai fini del piacere poetico” (20). Wordsworth auspicava che i lettori, nel leggere le poesie, “non permettano che la semplice parola Poesia, un termine dal significato assai incerto, intralci il loro piacere, ma piuttosto si chiedano, mentre leggono questo libro, se esso contiene una descrizione naturale delle passioni umane, dei personaggi umani, degli accadimenti umani. Se la risposta sarà favorevole agli intenti dell’autore, dovrebbero accettare di essere soddisfatti nonostante quel nemico fra tutti i peggiori dei nostri piaceri, i nostri codici di scelta prestabiliti” (21).
Già in questa Avvertenza si possono trovare le tracce della concezione wordswortiana del linguaggio poetico, che verrà poi sviluppata nella Prefazione del 1800. La lingua scelta per le poesie doveva rispecchiare quella della parlata comune per poter adeguatamente narrare le passioni e i sentimenti della gente umile. Una tale concezione del linguaggio poetico conduce Wordsworth a criticare la ‘dizione poetica’ neoclassica. In un passo della Prefazione infatti, avverte il lettore che nelle sue poesie troverà “ben poco di ciò che si è soliti definire dizione poetica: si è prestata tanta attenzione nell’evitarla quanta, di solito, se ne presta nel produrla. E questo è stato fatto per il motivo già detto, e cioè avvicinare il mio linguaggio al linguaggio degli uomini, e, inoltre, perché il piacere che mi sono prefisso di suscitare è di una specie assai differente da quello che molti ritengano sia lo scopo proprio della poesia” (22). Wordsworth volle descrivere, per esempio, la tragicità della condizione esistenziale dei contadini attraverso le parole di tutti i giorni che niente hanno a che fare con la ‘dizione poetica’ classica e i codici di scelta prestabiliti. Di conseguenza la concezione del metro, che in Coleridge invece fu un elemento distintivo della sua poesia, veniva ad assumere una funzione diversa da quella attribuitagli dalla tradizione. Il metro, secondo Wordsworth, non doveva interferire nell’espressione delle passioni: “Si può affermare con sicurezza che non c’è né può esserci alcuna differenza sostanziale fra il linguaggio della prosa e quello della composizione metrica” (23).
La Prefazione uscì anche in una seconda versione nel 1802 nella quale l’autore aggiunse un corposo inserto di una decina di paragrafi. Wordsworth comincia con il definire la poesia come lo “spontaneo traboccare di forti sentimenti” (24). In questa definizione è concentrato il nucleo della visione romantica dell’arte. Conformemente alle teorie dei romantici tedeschi infatti, Wordsworth insistette sul carattere espressivo e produttivo della poesia (25). Essa, contrariamente alla visione tradizionale basata sul principio di imitazione che considerava l’arte come il riflesso dell’esterno della mente dell’autore, è una libera produzione del soggetto, delle sue passioni interiori. Il suo fine principale è quello di “illustrare il modo in cui i nostri sentimenti e le nostre idee vengono associati in uno stato di eccitazione; oppure, parlando con un linguaggio meno generico, quello di seguire i flussi e i riflussi della mente quando viene agitata con forza dagli affetti grandi o semplici della nostra natura” (26).
La poesia doveva inoltre esprimere la vita semplice e rustica perché in quelle situazioni le passioni più autentiche del cuore umano trovavano il terreno migliore per potersi esprimere: qui le passioni umane sono fuse con le forme belle ed eterne della natura. Ma la concezione romantica della poesia, come ci ricorda D’Angelo, non fu solamente una mera esaltazione delle passioni e dei sentimenti del poeta. Nelle teorie e nelle poetiche romantiche infatti, furono presenti “sia una valutazione positiva del controllo cosciente e critico esercitato dall’artista sulla sua produzione, sia un’esaltazione dell’immediatezza che può giungere fino all’apologia della creazione inconscia e irriflessa” (27). É in questo senso quindi che si possono inquadrare le precisazioni di Wordsworth riguardo alla sua precedente definizione della poesia come lo spontaneo traboccare di forti sentimenti. Egli infatti aggiunse che “essa trae origine dall’emozione rivissuta in tranquillità” (28) e, di conseguenza, vide il poeta come un uomo che ha “pensato a lungo e profondamente” (29). Alla luce di queste considerazioni sulla natura della poesia, possiamo capire bene anche quale dovesse essere, per Wordsworth, la figura del poeta: “Che cosa è un poeta? A chi si rivolge? E che linguaggio ci si deve aspettare da lui? Egli è un uomo che parla agli uomini: un uomo, è vero, dotato di una sensibilità più vivace, di un entusiasmo e di una tenerezza maggiori, che possiede una conoscenza più grande della natura umana ed un animo più ampio di quanto si suppone siano comuni nell’umanità; un uomo che si compiace delle proprie passioni e delle proprie volizioni, e che gioisce più degli altri dello spirito della vita che è in lui; che si diletta a contemplare volizioni e passioni simili, come si manifestano negli avvenimenti dell’Universo, ed è continuamente sollecitato a crearle quando non le trova” (30).
Un altro documento fondamentale del romanticismo inglese fu la Biographia literaria di Samuel Taylor Coleridge. Il rapporto tra Wordsworth e Coleridge fu di amicizia, ma anche di rivalità. Una testimonianza dello stretto legame che intercorse fra i due poeti fu data dallo stesso Wordsworth nella sua Prefazione: “Per varietà e per la consapevolezza dei miei limiti fui indotto a chiedere la collaborazione di un amico, che mi fornì le poesie Il vecchio Marinaio, Il racconto della matrigna, L’usignolo e la poesia intitolata Amore. Non avrei richiesto, tuttavia, questa collaborazione se non avessi ritenuto che le poesie del mio amico avevano, per la maggior parte, la stessa tendenza delle mie e che, nonostante fosse possibile trovare delle differenze, non si sarebbe trovato alcun contrasto nelle tonalità del nostro stile, poiché le nostre opinioni in materia di poesia coincidono quasi interamente” (31). Inizialmente i due poeti, come questo passo fa capire, sembravano avere una poetica comune ma poi, in seguito alle posizioni espresse da Coleridge nella Biographia literaria nel 1817, ci fu un allontanamento, culminato nella critica di Coleridge alle passate posizioni comuni (32). In una lettera che Coleridge scrisse a Southey nel 1802, si possono rintracciare dei segni di discordia tra i due già all’epoca della stesura delle Lyrical Ballads: “benché la prefazione di Wordsworth sia per metà parto del mio cervello, … sono incline al sospetto che, per un verso o per un altro, vi sia una differenza radicale nelle nostre teorie poetiche; ed è questo che desidero soprattutto chiarire …” (33).
Riprendendo le posizioni sulla concezione del linguaggio e del metro poetico di Wordsworth, le possiamo ora considerare come punto di discordia tra i due poeti. Come abbiamo già visto infatti, nella sua Prefazione Wordsworth considerò il metro come qualcosa di rigido e di artificioso che intralcia l’adeguata espressione delle passioni, dei sentimenti umani più autentici associandolo sempre con la retorica neoclassica. Coleridge, al contrario, si oppose nettamente a questa posizione innalzando il metro ad elemento fondamentale della produzione poetica e ristabilendo così una netta separazione tra poesia e prosa.
Questo significato che Coleridge attribuì al metro poetico non avvenne nel senso di un ritorno, da parte sua, alla teoria neoclassica dell’arte, ma derivò dalla sua concezione dell’opera d’arte come organismo. Come sottolinea anche Abrams infatti, per Coleridge “il metro non è affatto, come Wordsworth e molti altri teorici a lui precedenti avevano sostenuto, semplicemente un’attrattiva supplementare: in un complesso armonioso ed organico, il mutamento di una parte implica un’alterazione in tutto il resto” (34). Il metro quindi è una parte indispensabile al tutto. Di questa concezione organica dell’opera d’arte, Coleridge parlò in quasi tutti i suoi scritti di teoria e critica letteraria. Nella Biographia literaria per esempio, parlando della poesia di Milton e di Shakespeare, ci dice: “Solevo affermare con precisione che sarebbe quasi più facile estrarre una pietra dalle piramidi con le mani, che non alterare una parola, o una posizione di una parola, in Milton o in Shakespeare (per lo meno nelle opere più importanti) senza far dire all’autore una cosa diversa, e di minor valore, rispetto a quella che dice” (35).
La concezione organica dell’arte in Coleridge, va inquadrata, da un punto di vista filosofico più generale, nella polemica con la mentalità illuminista che abbiamo già definito più volte come costitutiva del pensiero romantico. Tutta la riflessione poetica di Coleridge infatti, è impostata in contrapposizione alle teorie associazioniste del funzionamento della psiche. La stessa distinzione tra Fancy e Imagination, è la distinzione tra una facoltà meccanica e una facoltà organica e in tutti i suoi scritti inoltre, si aiuta continuamente con delle metafore organiche della pianta per descrivere il processo di formazione della poesia (36). Il termine Fancy venne attribuito ad un’attività meccanica che ha sede nella memoria e che opera secondo le leggi dell’associazione delle idee, espressione della poetica neoclassica. Imagination invece designò, in Coleridge, una facoltà produttrice di forme e di significati, creativa, immediata, espressione della libera creatività e della genialità dell’artista. Il potere creativo dell’Imagination non consiste quindi nel semplice riproduzione della realtà ma, attraverso i simboli e le metafore, consiste nell’illuminare e nel dare senso alle cose ricombinando i dati sensoriali in modo creativo. Questa fu una concezione estetica tipicamente romantica. Essa presuppone quella concezione della natura come organismo che fu, come abbiamo visto, parte integrante di tutto il pensiero romantico: “La Fancy opera, poi, dentro le ‘regole’ poetiche e nel ‘decorum’ neoclassico, mentre la Imagination produce libere forme che si adattano alla propria materia. In sostanza si tratta di un trasferimento in campo estetico dell’opposizione – variamente discussa nel Settecento e nel secolo successivo – fra concezione ‘meccanicistica’ del mondo e concezione ‘organicistica’. L’opera d’arte è un analogo dell’avverarsi del mondo, un’attività che procede verso le proprie forme in base all’energia vitale che la sottende. L’atto della Fantasia somiglia per questo al fiat del Creatore dell’universo. E l’analogia ricorrente è quella degli organismi viventi” (37).
La distinzione tra Fancy e Imagination infine, rappresentò l’altro grande punto di contrasto tra Coleridge e Wordsworth. Quest’ultimo infatti, secondo Coleridge, non aveva distinto chiaramente l’immaginazione dalla fantasia, in quanto definiva entrambe le due facoltà come associative ed aggregative.
Note
(1) Cfr. M. Cortelazzo, Storia di un ‘romantico’, in U. Cardinale, Problemi del romanticismo, Milano, 1983, vol. II, pp. 541 e segg.
(2) P. D’Angelo, L’estetica del romanticismo, Bologna, 1997, pp. 20, 21.
(3) A. De Paz, La rivoluzione romantica, Napoli, 1988, p.17.
(4) Cfr. A. De Paz, op. cit., p. 18.
(5) Ibid.
(6) E’ importante precisare però che nell’illuminismo la categoria del sentimento non fu totalmente esclusa e ignorata. Come sottolinea Elio Franzini infatti, se da un lato l’illuminismo valorizzò il potere della ragione, dall’altro non sottovalutò “l’importanza della passione e del sentimento come naturalità soggettive che sfuggono ai limiti della ragione, […]”. E. Franzini, L’estetica del settecento, Bologna, 1995, p. 52.
(7) A. De Paz, op. cit., p. 21.
(8) Ib., p. 30.
(9) S. Lupi, Il romanticismo tedesco, Firenze, 1993, p. 52.
(10) P. Palmero, Romanticismo inglese e destino del soggetto (Keats, Coleridge, Turner), in <>, n. 31, 1989, anno XXIX, p. 67.
(11) N. Frye, Favole d’identità. Studi di mitologia poetica, Torino, 1973, pp. 179, 180.
(12) M. Butler, Il romanticismo inglese: quale innovazione?, in AA.VV., Modernità dei romantici, Napoli, 1988, p. 123.
(13) Ivi, p. 124.
(14) M. Praz, Storia della letteratura inglese, Milano, 1994, p. 425.
(15) Ivi, pp. 487 e segg.
(16) Ivi, pp. 594 e segg.
(17) M. Pagnini, Per una sistemazione culturale del movimento romantico inglese, in U. Cardinale, op.cit., p. 392.
(18) Ivi, p. 388.
(19) P. D’Angelo, op. cit., pp. 29, 30.
(20) W. Wordsworth, Sul sublime e sulla poesia. Saggi di estetica e di poetica, a cura di M. Bacigalupo e F. Nasi, Firenze, 1992, p.117.
(21) Ivi, p. 118.
(22) Ivi, p. 129.
(23) Ivi, p. 131.
(24) Ivi, p. 125.
(25) Un esempio illuminante della concezione della poesia come prodotto dell’espressività del poeta nei teorici tedeschi, è dato per esempio da Novalis: “La poesia è rappresentazione dell’animo-del mondo interiore nel suo insieme. Già il suo medium, le parole, sono il segno di ciò, in quanto esse sono appunto la rivelazione esteriore di quel regno di forze interiori”. Novalis, Opera filosofica, Torino, Einaudi, 1993, vol. II, p. 738.
(26) W. Wordsworth, op. cit., p. 126.
(27) P. D’Angelo, op. cit., p. 124.
(28) W. Wordsworth, op. cit., p. 143.
(29) Ivi, p. 126.
(30) Ivi, p. 133.
(31) Ivi, p. 122.
(32) Cfr. S. T. Coleridge, Biographia literaria. Ovvero schizzi biografici della mia vita e opinioni letterarie, Roma, 1991, pp. 59 e segg.
(33) Cfr. M. H. Abrams, Lo specchio e la lampada. La teoria romantica e la tradizione critica, Bologna, 1976, p. 188.
(34) Ivi, p. 190.
(35) S. T. Coleridge, op. cit., p. 18.
(36) Negli Aids to reflection per esempio, disse: “Nel mondo si riconoscono ovunque prove di una Unità che le parti componenti sono ben lungi dal giustificare; una Unità che esse necessariamente presuppongono come causa e condizione della loro esistenza in quanto parti, o del loro esistere stesso […] Il fatto che la radice, lo stelo, le foglie, i petali, ecc., formino insieme una unica pianta è dovuto ad una Forza, o Principio, che è dentro al Seme, ed esisteva ancora prima che una singola particella delle materie che costituiscono la forma e la visibilità del croco fossero attratte dal terreno, dall’aria e dall’umidità circostanti”. Cfr. M. Pagnini, cit. p. 389.
(37) M. Pagnini, cit., p. 389.