Il potlach indica, in termini generali, una pratica interna ad un circuito di reciprocità. Il termine è derivato dalla lingua di una popolazione nativa dell’America settentrionale (ma lo stesso fenomeno è stato studiato anche in un arcipelago della Melanesia) ed ha rapporto con le pratiche che, secondo le nostre categorie, vengono definite di natura commerciale.
Studiata dall’etnologo Marcel Mauss (Saggio sul dono, in Teoria generale della magia e altri saggi, traduzione italiana Torino, Einaudi 1965, ristampato anche come volumetto singolo con il titolo di Saggio sul dono, Torino, 2002) presso alcune popolazioni di indiani che vivevano sulla costa del Pacifico dell’America settentrionale, la pratica del potlach si articola in una complessa rete di prestazioni e controprestazioni di carattere circolare, utile ad affermare e riaffermare le gerarchie sociali interne ai gruppi coinvolti, e a determinare le gerarchie “tra” i gruppi in questione.
Vediamo il funzionamento del potlach
La nozione di potlach è in rapporto con la nozione del “dare” e consiste in una serie di rituali dal chiaro significato religioso nei quali un personaggio di prestigio (il capo della tribù) offre doni in abbondanza ai membri del suo gruppo, distribuendo i beni secondo un criterio di proporzionalità commisurato al rango sociale: coloro che contano di più ottengono quindi un maggior numero di doni, oppure doni di maggiore prestigio. La pratica di distribuzione e consegna dei doni avviene secondo un cerimoniale ben preciso, trasmesso di generazione in generazione, e spesso il complesso rituale consiste nel momento in cui vengono tramandati racconti tradizionali. La cerimonia si svolge presso il villaggio del personaggio di maggior prestigio, che invita presso di sé anche i membri degli altri villaggi, generando così un complesso meccanismo di reciproco riconoscimento di prerogative e prestigio, tale da determinare un’articolata consuetudine la cui violazione sarebbe interpretata come offesa.
Il potlach è anche una occasione di dispendio “gratuito”, finalizzato semplicemente all’affermazione del prestigio personale, e può giungere a forme particolarmente esasperate come la distruzione di propri beni di fronte agli occhi degli altri capi villaggio, in modo da riaffermare prestigio e potere sugli altri.
Il meccanismo connesso con il potlach è quello, noto a partire da uno studio di Mauss pubblicato sull’Année Sociologique del 1925 (si è indicata sopra la traduzione italiana del saggio), di “etica del dono”. Si tratta di un meccanismo psicologico che stabilisce il principio della reciprocità obbligatoria e vincolante: chi riceve un dono deve restituire un altro dono, se non vuole restare ‘assoggettato’ nei confronti di colui che per primo ha generato il circuito di donazione. Donare corrisponde, infatti, a donare una parte di sé che, una volta ‘passata’ nelle mani del destinatario diviene funesta, e deve per questo essere restituita. Gli studi sul potlach, così come formulati nel Saggio sul dono di Mauss, hanno influenzato a fondo molte generazioni di antropologi, tra i quali ricordiamo Radcliffe-Brown, Malinowski, Evans-Pritchard.
Se è in grado di farlo, colui che riceve il dono deve addirittura offrirne uno di valore ancora maggiore, contribuendo in questo modo a porre enfasi su un tratto ‘agonistico’ del meccanismo, che è stato individuato da Mauss come essenziale per il principio di reciprocità da lui descritto. Non si tratta, insomma, solo di restituire, ma di restituire “di più” rispetto a quanto si è ricevuto.
Il meccanismo della reciprocità studiato da Mauss nel 1923-24 è stato alla base delle ricerche di Claude Lévi-Strauss (il quale, pure, criticò alcuni aspetti delle conclusioni alle quali Mauss era giunto) sulle Strutture elementari della parentela e di Karl Polanyi per lo studio degli scambi commerciali (La sussistenza dell’uomo, Il ruolo dell’economia nelle società antiche). Nell’ambito delle scienze dell’antichità, la ricerca dell’etica del dono entro l’epica greca arcaica ha prodotto il volume di Evelyne Scheid-Tissinier, Les usages du don chez Homère. Vocabulaire et pratiques, Paris 1994, nel quale si possono leggere le osservazioni di Riccardo Di Donato in Aristeuein. Premesse antropologiche ad Omero, Pisa 2006.
L’etica del dono è stata studiata in quanto meccanismo di circolazione dei beni in società che non conoscono il commercio nella forma dello scambio monetario, ed è stata applicata anche a società lontane nel tempo e nello spazio dalla popolazione Kwakiutl (costa settentrionale dell’America), presso la quale il fenomeno è stato per la prima volta osservato, descritto e studiato.
Analizzato in termini più generali, infatti, il meccanismo ha rapporto con un circuito di reciprocità entro il quale lo scambio di doni costituisce un momento essenziale, fino a poter essere definito come incipitario di ogni pratica di scambio. Si pensi, per esempio, al caso dell’ospitalità nella Grecia antica: ricevere un ospite era considerata una pratica sacra, la cui violazione era sanzionata dall’intervento di Zeus Xenios (Zeus “protettore degli ospiti”). Ma ogni rapporto di ospitalità si fondava, prima di tutto, su uno scambio di doni che coinvolgeva sia colui che veniva ospitato sia colui che forniva ospitalità: se nel celeberrimo caso di Odisseo presso il Ciclope (narrato nel canto IX dell’ Odissea) il dono offerto dal primo al secondo si rivela essere uno stratagemma per addormentare Polifemo (e quindi una sorta di ‘dono’ avvelenato), l’episodio di Glauco e Diomede (nel canto VI dell’Iliade) mostra come un remoto legame di ospitalità possa estendere il vincolo anche alle generazioni future. Glauco e Diomede non combattono perché i loro padri erano stati vincolati da un legame di ospitalità che essi stessi rinsaldano scambiandosi a loro volta doni.