Nella letteratura greca, genere di poesia lirica cantata o recitata con accompagnamento di iambúke ( specie di arpa), dal tono aggressivo e spregiudicato, ricca spesso di tratti realistici o giocosi.
Prende nome da «giambo», poiché nei versi giambici (specie trimetri) dal ritmo concitato e prossimo al conversare comune essa trovò la sua più naturale espressione (si ricordi che il trimetro giambico venne poi usato anche nella tragedia e nella commedia).
Si considera iniziatore del genere Archiloco di Paro (sec. VII a.C.), la cui prepotente individualità impresse un timbro inconfondibile alla poesia d’invettiva, che venne poi continuata da Semonide di Amorgo e da Ipponatte.
Tra i latini composero in metro giambico Nevio, Lucilio, Catullo e specialmente Orazio; ma il loro stile, piuttosto pacato, risulta lontano dalla irruenza dei giambografi greci.
Nelle letterature moderne toni e adattamenti metrici del genere classico furono tentati da poeti d’ispirazione politica vissuti tra la fine del sec. XVIII e la prima metà del XIX: in Francia A. Chénier e H.-A. Barbier. Sul loro esempio G. Carducci scrisse in metro «barbaro» i Giambi ed epodi (1882).