Romanzo picaresco di Hans Jacob Christoffel Grimmelshausen (1625?-1676), uscito in 5 libri nel 1668, in 6 l’anno seguente, sotto lo pseudonimo di German Schleifheim v. Sulsfort . Anche l’autore condusse vita varia e movimentata in quell’epoca avventurosa, e il racconto ha infatti la freschezza e la spontaneità della vita vissuta.
Simplex è nato a Spessart, si direbbe verso il 1622, da umili boscaioli e se ne vanta contro tutti i buffoni “che van pel mondo azzimandosi di nastrini multicolori e di antenati illustri”. La beata ignoranza della sua giovinezza, egli racconta, era tale che non poteva nemmeno accorgersi di non saper nulla. Ma intorno alla sua infanzia infuria la guerra dei Trent’anni, che non fu poca cosa: lo sa bene il povero Simplex che prende contatto col mondo e con gli uomini una notte in cui i soldati di non si sa quale parte, ché tutte erano ugualmente buone per saccheggiare e tormentare, invadono e bruciano anche la sua capanna.
Il fanciullo impaurito fugge e viene raccolto nel bosco da un eremita, che lo tiene presso di sé istruendolo nella religione e mettendolo in guardia contro il mondo, del quale d’altronde Simplex ha una paura folle. Ma l’eremita muore, la soldataglia invade anche l’eremo e porta con sé ad Hanau l’ingenuo ragazzo che, preso per spione, vien malmenato e torturato, e finalmente liberato da un pastore protestante che passa per caso e lo riconosce. Il governatore, cognato del defunto eremita, lo fa suo paggio ed egli riceve qui il cognome di “Simplicissimus” che a lui, ignaro persino della sua origine, va a pennello.
La fortuna dura poco: il suo padrone, vedendolo tanto balordo, vuol fargli perdere il senno addirittura e, dopo un violento trattamento per impaurirlo, ne fa il suo pazzo buffone. Simplex, avvertito dal suo pastore, riesce a tener salda la ragione, ed eccolo nella sua parte di finto folle che approfitta dell’impunità concessa alla stoltezza per dire in faccia a tutti ciò che gli aggrada.
Le avventure continuano a ritmo sempre più incalzante: rubato dai Croati che lo regalano, buffone, al loro colonnello, Simplex riesce a fuggire e ricomincia la vita solitaria nel bosco, non più da eremita ma da brigante; dopo strane avventure di stregonerie finisce ancora buffone a Magdeburgo presso gli imperiali, donde fugge di nuovo travestito da donna tra le più comiche peripezie; riconosciuto e preso, sarebbe spacciato se non sopraggiungessero gli Svedesi a salvarlo. Prende parte alla celebre battaglia di Wittsbach della quale ci dà una descrizione vivacissima e passa un brutto quarto d’ora: “Eravamo così prossimi alla nostra brigata”, racconta, “da riconoscerne le uniformi e seguirne le mosse: e quando uno squadrone svedese caricò i nostri, fummo in pericolo quanto i combattenti, poiché l’aria s’oscurò in un baleno per le gran palle che fischiavano intorno, sì che pareva si volesse onorarci con una salva straordinaria”.
Viene ancora catturato dagli imperiali. Qui comincia la sua brillante carriera di soldato nella quale si acquista con mezzi più o meno leciti denaro e gloria: Simplex, ora chiamato il “cacciatore di Soest”, è celebre ovunque. E le avventure si susseguono ancora finché l’eroe ritorna malconcio dal viaggio a Parigi, dove ha avuto straordinarie fortune d’amore, è stato svaligiato dai briganti e rovinato dal vaiuolo. Non gli resta che arruolarsi nuovamente moschettiere. Ma via via si rifà brigante e poi di nuovo soldato, si converte per burla al cattolicesimo, e l’altalena della fortuna lo porta ancora ora in alto ora in basso, senza fargli perdere il suo magnifico ottimismo. Passa per l’epica e straordinaria avventura di Mummelsee (il lago senza fondo) e scende fino al centro della terra dove s’intrattiene col re dei Silfi sulle tristi condizioni del mondo. Col tesoro che questi gli dona, compra il campicello in riva al lago per riposare finalmente coi genitori ritrovati.
Qui il romanzo parrebbe finito, ma l’autore volle ancora continuarlo con altre avventure di viaggi e altri sogni allegorici, dopo di che ritroviamo finalmente il nostro Simplicissimus nell’isola deserta dove s’industria a lavorare. Quest’ultima parte precorre il gusto per le avventure alla Robinson Crusoe ; la più interessante e riuscita rimane però quella che riguarda l’ambiente soldatesco, per la vivace e fresca rappresentazione realistica. Si sentono qui una vera originalità e un progresso sulle altre precedenti opere del genere, come per esempio il Till Eulenspiegel : questo rimane anonimo popolare, il Simplicissimus porta l’impronta della personalità del suo autore.
Il Grimmelshausen conobbe certamente, attraverso il Moscherosch, col quale ebbe rapporti personali, i romanzi picareschi spagnoli e, introducendo e ambientando in Germania il romanzo d’avventura, creò un tipo che unisce allo sbandato e spregiudicato vagabondaggio dei picari, una ingenuità generosa alla Parsifal, un elementare senso di bontà e di giustizia che le varie vicende non sommergono mai completamente. I dotti contemporanei sdegnarono il romanzo per la sua ribellione a ogni regola e non capirono quanto valore esso avesse anche stilisticamente per la sua presa di contatto con la viva lingua della borghesia, ormai unica custode dell’antico idioma locale, degenerato nel popolino per le troppe invasioni straniere e nei letterati che gli avevano preferito il francese e il latino o l’avevano irrigidito nelle norme e nelle regole dell’Opitz e dei grammatici suoi seguaci.
Il Simplicissimus può considerarsi “oasi nel deserto” della letteratura tedesca dell’epoca, e la sua immensa popolarità spiega le continuazioni che il Grimmelshausen diede al romanzo con il Mirabile saltincampo e la Biografia mirabile dell’arcitruffatrice e rivoluzionaria Courasche.