La ricerca presentata in quest’opera dagli sforzi congiunti di un biologo (Varela), un filosofo (Thompson) e una psicologa (Rosch) si pone, assieme agli altri, anche lo scopo di tentare di sciogliere uno dei più discussi nodi concettuali dei nostri tempi: la relazione fra tradizioni filosofiche occidentali e orientali.
Il percorso seguito in questo specifico caso dagli autori manifesta indubbia originalità, suscitando nel contempo problematiche molto interessanti. Gli interrogativi di fondo da cui il testo prende le mosse sono i seguenti: qual è il possibile sbocco filosofico cui si è condotti dalle moderne scienze cognitive? Qual è la relazione profonda che si stabilisce tra l’esperienza umana e la cognizione? Qual è il fondamento ultimo (se ne esiste uno) dell’Io cosciente e delle sue molteplici relazioni col mondo?
Per rispondere a tali questioni non si può che iniziare stendendo una sorta di bilancio consuntivo sullo «stato dell’arte» in cui si vengono a trovare attualmente le scienze cognitive. Il libro risulta estremamente utile sotto questo profilo, in quanto consente al lettore di rendersi conto sia del profondo intreccio esistente tra discipline affatto diverse dell (come la fisica, l’intelligenza artificiale, la neurobiologia, la psicologia, l’epistemologia), sia di quelli che sono i punti di riferimento più significativi all’interno di un percorso di ricerca ancora aperto e ricco di possibilità di approfondimento. Tra gli elementi fondanti delle attuali scienze cognitive bisogna senz’altro ricordare i contributi determinanti forniti da Varela per quanto attiene al legame esistente tra il processo conoscitivo e la nozione biologica di vita intesa come autopoiesi. La circolarità che infatti caratterizza tale concezione dell’essere vivente, in cui l’autopoiesi rappresenta l’insieme dei processi dell’organismo vivente che producono le condizioni che rendono possibili questi stessi processi, viene riconosciuta come peculiare anche del sistema cognitivo, proprio perchè la conoscenza della conoscenza (da sempre oggetto dell’indagine epistemologica) è un processo in cui l’oggetto che si vuole indagare (la conoscenza) coincide con lo strumento che si deve utilizzare per farlo (cioè, sempre la conoscenza). Riconoscere e assumere tale circolarità è quindi il punto di partenza essenziale per tentare di ricomporre la dicotomia tra l’indagine scientifica del mondo e l’esperienza esistenziale dell’osservatore, tra una presunta ricerca di oggettività descrittiva e una dichiarata soggettività individuale. Per sottolineare ulteriormente tale esigenza di unità e interdipendenza tra soggetto conoscente e oggetto conosciuto, tra mente e mondo, gli autori prendono in esame molti e approfonditi esempi, tra i quali l’emergenza, nei sistemi complessi, di proprietà irriducibili a quelle dei singoli componenti, l’evoluzione biologica (sia dal punto di vista ontogenetico sia da quello filogenetico) e, soprattutto, il fenomeno della percezione visiva del colore (un settore in cui Varela ha ottenuto recentemente risultati molto significativi). Al termine delle argomentazioni svolte dai tre autori emerge dunque la conclusione che il problema fondamentale della scienza e dell’epistemologia non è tanto quello di descrivere un mondo quanto di costruire mondi compatibili con i meccanismi interni di autoregolazione biologica del soggetto conoscente: la conoscenza dunque è una modalità di comportamento dell’organismo vivente.
Stabilito, quindi, che la realtà che cerchiamo di descrivere è un mondo senza fondamenti, gli autori rivolgono la loro attenzione alla ricerca di un punto di riferimento filosofico che consenta di ricomporre la tradizionale dicotomia tra conoscenza ed esperienza umana, tra gnosi e azione. Essi dunque tracciano un percorso che parte dalla fenomenologia pura di Edmund Husserl, attraversa l’esistenzialismo di Martin Heidegger e approda alla fenomenologia dell’esperienza vissuta di Maurice Merleau-Ponty, nel cui pensiero si possono trovare, secondo l’opinione di Varela, Thompson e Rosch, i momenti di sintesi filosofica più elevata tra la riflessione conoscitiva e l’esperienza della corporeità. Il sistema ,filosofico di Merleau-Ponty viene quindi considerato come l’approdo più naturale del cognitivismo, anche se non risulta pienamente sufficiente a rispondere a tutti gli interrogativi posti. In particolare gli autori osservano che l’epistemologia contemporanea si trova dinnanzi a un problema intorno al quale pare che essa non abbia riflettuto abbastanza e che invece rappresenta una vera e propria sfida intellettuale ed esistenziale. Tale problema nasce dalla seguente constatazione: se le teorie cognitiviste più recenti sottolineano la mancanza di fondamento del mondo verso il quale la nostra conoscenza si rivolge, come è possibile invece che ognuno di noi abbia la piena consapevolezza dell’esistenza di un lo cosciente che rappresenta il fondamento ultimo del Sé? Detto in altri termini, come è possibile che il mondo non abbia fondamenti mentre 1’Io ne possiede uno ben stabile? Varela, Thompson e Rosch decidono quindi di liberarsi anche da questa remora assumendo che pure l’Io debba seguire la stessa sorte del mondo, riconoscendo dunque che anch’esso è privo di fondamenti e che la presenza di un centro unificatore delle nostre percezioni ed esperienze, di una mente che si trovi «da qualche parte» nel nostro cervello, è semplicemente il frutto di un’illusione. Si tratta, come si può constatare, di un’assunzione molto forte, destinata senza dubbio a suscitare un grosso dibattito tra gli epistemologi e gli studiosi di intelligenza artificiale: il merito degli autori di questo libro risiede non tanto nelle specifiche motivazioni da essi addotte a sostegno della propria tesi, quanto nell’aver essi coraggiosamente suscitato una discussione che non mancherà di avere un seguito sicuramente interessante. Anche perchè nell’affrontare la questione essi fanno uso di molte tesi e contenuti culturali tipici delle tradizioni filosofiche orientali, in particolare la tradizione buddhista della consapevolezza e della presenza della scuola Madhyamika (la «via di mezzo» della tradizione buddhista cui accenna anche il titolo del libro) e la filosofia del nipponico Nishitani Keiji, uno tra i pochi pensatori contemporanei che ha cercato una sintesi delle tradizioni filosofiche orientali e occidentali.
Senza dubbio molte considerazioni esposte in questo saggio vanno prese come semplici ipotesi di lavoro o addirittura come vere e proprie provocazioni intellettuali; in ogni caso, la via di mezzo della conoscenza proposta da Varela, Thompson e Rosch merita un’attenta esplorazione.