Volume di racconti di Giovanni Testori (1923-1993), pubblicato nel 1958 come prima parte de I segreti di Milano.
L’ Avvertenza precisa che “questi racconti, dei quali solo alcuni sono qui direttamente conclusi, mentre i più verranno ripresi e portati avanti nelle raccolte successive, formano la prima parte d’un disegno più ampio e più complesso, una sorta di lungo e praticamente interminabile ciclo di intrecci multipli”. Il titolo della raccolta, che comprende 20 racconti, è dato dal XVI, che con il XVII e il XVIII costituisce un’unica trama: attraverso un lungo monologo interiore la protagonista, Enrica, giustifica, sia pure tra “ricordi e rimorsi”, il proprio adulterio compiuto con il giovane cognato Raffaele che, venuto dal Sud, si è dedicato al contrabbando. Enrica e Raffaele saranno presenti nella vicenda di Marino, il contrabbandiere eliminato, che lascia Luisa in La Gilda del Mac Mahon. Anche i racconti II, III, IV, V, VI, X, XI e XII formano un’unica storia: quella di Ivo Ballabio detto il Brianza, un bel ragazzo di Vialba, di cui gli amici parlano con simpatia e con invidia; di lui, cameriere in un bar di San Babila, si innamorano prima una prostituta, Wanda, poi la padrona del bar, Wally. Affezionato alla prima, Ivo è costretto a lasciarla quando si accorge di essere innamorato della seconda, che pretende di averlo tutto per sè. Un unico racconto costituiscono il VII e il IX, che delineano i difficili rapporti tra il ricco Duilio Morini, il “ras”, che domina i ring e i dancing, e l’esordiente boxeur Cornelio Binda; del rifiuto di questi a farsi sconfiggere sul ring Duilio si vendica illudendo la sorella Angelica e poi abbandonandola con un assegno; questa storia continua in La Gilda del Mac Mahon. Un difficile rapporto tra fratelli è narrato nei racconti XIII XIV, XV: Attilio si è sacrificato per favorire la carriera di cantante di Bob, detto Sinatra, però esige da lui la più totale soggezione. Brevi episodi sono i racconti VIII, XIX e XX. Il primo racconto, Il dio di Roserio è il più lungo e il più autonomo, anche se molti personaggi si ritrovano, poi, sia pur marginalmente, nelle altre raccolte di Testori. E’ la storia di un meccanico, dilettante corridore ciclista, Dante Pessina, che pur di vincere e far carriera non esita a provocare la caduta di un suo gregario, il Consonni, che intendeva approfittare di un suo momento di debolezza fisica per batterlo; solo però quando è certo che il Consonni è stato reso dalla caduta del tutto incapace di ragionare e soprattutto di ricordare, il Pessina si libera non dal rimorso, ma dalla paura, e riprende a correre, vincendo in modo clamoroso. Questo racconto era già stato pubblicato nel ’54 ne I Gettoni di E. Vittorini, ma con un linguaggio diverso; là l’autore si era infatti servito “spregiudicatamente del dialetto milanese cosiddetto arioso, che si parla alla periferia nord”. Identico invece è rimasto il significato: “Lo sport come rito collettivo che una folla anonima celebra, creandosi nuovi occasionali dei, come Dante Pessina, il nume ciclistico di Roserio, in vista di una liberazione momentanea ed esaltante dalla tetra servitù al lavoro” (E. Ghidetti). Questo volume di racconti intende rappresentare il proletariato di una città industrializzata intorno agli anni Cinquanta, ma è anche “illustrazione di una universale situazione umana considerata secondo l’ottica di un fatalismo astorico di indubbia matrice cattolica” (E. Ghidetti). I racconti de Il Ponte della Ghisolfa ispirarono il celebre film Rocco e i suoi fratelli, di Luchino Visconti (1960).