Meng Tse viene definito il “filosofo democratico”: credeva nella bontà dell’animo umano, pensava che la pietà e il bisogno di agire per gli altri fossero innati nell’animo umano. Per questo riteneva che non fosse necessaria tanto la cultura dei libri quanto la cultura dell’anima, consistente nello sviluppare le naturali virtù dell’uomo. Pertanto la società perfetta è quella che favorisce lo sviluppo di queste virtù, l’esplicarsi della saggezza comune a tutti gli uomini. Il Libro di questo Rousseau cinese vissuto nella stessa epoca in cui in Grecia operavano Platone e Aristotele, e vicino per alcuni aspetti appunto a Platone (se è possibile fare un’analogia indipendente da considerazioni storiche), esprime questi concetti di base. Il posto d’onore tra le virtù naturali dell’uomo è dato alla pietà, che ci distingue dagli animali. Nel libro si afferma che gli uomini sono tutti uguali, che il popolo è l’elemento più importante degli Stati e i governanti l’elemento meno importante; pene e castighi devono essere comminati in base al volere del popolo e non alle decisioni dei governanti, il re deve condividere i suoi divertimenti con il popolo; quando il re è un tiranno, è giusto ribellarsi. Inoltre il sovrano è tale per volontà del Cielo e in caso di cattivo governo perde questa celeste protezione: tale idea è alla base della dottrina politica espressa nel Libro delle storie. La dottrina del “governo benevolo” e tollerante divenne l’ideologia fondamentale (almeno proclamata) di molti governi cinesi del passato: la democrazia espressa da Mencio nel suo libro fu dunque una componente fondamentale della cultura cinese, e lo stesso Mencio venne sempre considerato secondo solo a Confucio. Ecco come Mencio, nel secondo libro della sua opera (parte I, capitolo VI), tratta il problema della pietà: “Tutti gli uomini hanno il cuore ricolmo di pietà. Gli antichi re avevano questa pietà e il loro governo era fondato sulla pietà. Per questo era loro facile tenere l’ordine, facile come prendere e portare un oggetto di piccole dimensioni nel cavo della mano. Gli uomini sono naturalmente incapaci di sopportare la vista delle altrui sventure: difatti, se vedono che un bambino sta per cadere in un pozzo, si affliggono e cercano di salvarlo, non per interesse, ma per pura pietà. Chi non è capace di provare misericordia e pietà per gli altri non è uomo, così non sono uomini coloro che non hanno il senso della vergogna, coloro che sono immodesti, coloro che non sono in grado di distinguere ciò che è giusto da ciò che è ingiusto. I quattro principi che gli uomini hanno e dai quali devono essere guidati sono l’umanità (che nasce dalla pietà), la giustizia (che nasce dal senso della vergogna), l’esatta opportunità (che nasce dalla modestia), il sapere (che deriva dalla capacità di distinguere il giusto e l’ingiusto). Mencio fu anche un profondo conoscitore del cuore e delle reazioni umane e le sue affermazioni del tipo “il cuore dell’uomo è colmo di pietà” devono essere intese come “il cuore dell’uomo è naturalmente colmo di pietà”: il che vuol dire che, nel processo storico, nella realtà contingente, varie cause impediscono a questa pietà di manifestarsi e all’uomo di realizzarsi come tale. La pietà è pertanto per Mencio un “essere” allo stato puro, e un incitamento a questo essere, una didattica etica. Così, l’uomo deve cercare la verità: “La verità è come una strada ampia; la si riconosce facilmente. Però gli uomini non la cercano”. Accanto a centinaia di consigli minuti sul modo di comportarsi, sul rispetto verso gli anziani, sul senso della misura, Mencio ispira anche negli uomini l’idea della loro capacità, del valore del loro operare: “Quando il Cielo intende affidare a un uomo una grande impresa, dapprima gli colma il cuore di disperazione, lo affama, lo pone in mille difficoltà, gli fa andar male le prime imprese. Così facendo il Cielo stimola l’ambizione di quell’uomo, ne fortifica il carattere e quindi acuisce le sue capacità”. L’uomo così temprato riuscirà a compiere la grande impresa. Dal punto di vista dello stile, va osservato che l’opera di Mencio, scritta secondo la tecnica confuciana del “dialogo”, è però meno vivace degli scritti del grande maestro.