Nella formazione di Tiberio Gracco erano confluite, per parentele di famiglia e per educazione ricevuta, le opposte tendenze che caratterizzavano nel II secolo la nobiltà senatoria.
Suo padre, uomo di autorità e disciplina, aveva domato le rivolte in Spagna; era stato uno dei più autorevoli esponenti della corrente conservatrice, affiancando Catone nell’opera di difesa della tradizione più genuina romana.
La madre, Cornelia, figlia di Scipione Africano, gli aveva aperto la strada all’assimilazione della cultura greca. Anche i suoi maestri greci avevano contribuito alla sua educazione.
Egli scoprì la sua vocazione di riformatore mentre prestava servizio militare a Numanzia, osservando quell’armata senz’armi costituita in prevalenza da volontari e clienti, reclutati perlopiù tra gente di poco conto.
Egli collegò la causa di tanta decadenza allo squallido spettacolo che gli si era offerto quando qualche mese prima per portarsi al campo aveva attraversato la campagna dell’Etruria: in quei desolati latifondi aveva visto pascolare mandrie di animali, vigilate da schiavi.
Allora egli si rese conto che, per riportare l’esercito all’efficienza del passato, bisognava ripopolare l’Italia. Così maturò in lui il proposito di una grande riforma agraria per rinsaldare l’esercito. Era appoggiato in questo dal suocero Appio Claudio Pulero , princeps del senato, e dai giuristi Publio Scevola e Publio Virginio Crasso.
Eletto tribuno della plebe nel 133 a . C . presentò il suo progetto di riforma sui limiti del possesso dell’ Ager Publicus (territori dello Stato che venivano dati in fitto): divieto di possedere più di 500 iugeri (iugeri: unità di misura dell’antica Roma) con l’aggiuntiva di 250 iugeri per ogni figlio, fino a un massimo di 1000 iugeri.
Entro questi limiti il possesso si sarebbe trasformato in proprietà piena senza canone da parte dello Stato; la terra recuperata doveva essere distribuita ai cittadini nullatenenti in lotti di 30 iugeri a testa. Su ogni lotto si doveva versare allo Stato un modesto tributo perché era una concessione e non una proprietà piena. I lotti erano inalienabili, non potevano essere ceduti, una cautela per assicurarsi che i grandi proprietari terrieri non se li accaparrassero.
Il compito di attuare la riforma sarebbe stato affidato ad una commissione di tre persone. Veniva escluso dalla riforma l’ Ager Campanus, perché l’erario non poteva privarsi degli introiti di quei terreni fertili.
Il senato fu contro la riforma
-lo Stato avrebbe perduto il denaro degli affitti;
-molte terre erano senza valore al momento che venivano prese in possesso ed ora valevano per le migliori introdotte con lavori di disboscamento e bonifica;
-vi erano poi delle terre recintate a titolo di proprietà occupata secoli prima;
-molto dell’Ager Publicus era posseduto dagli italici e la distribuzione veniva fatta solo ai cittadini romani. Questo avrebbe turbato i buoni rapporti con essi.
Tiberio fece a meno dell’assenso del senato e presentò la sua riforma all’assemblea tributa.
L’altro tribuno, Marco Ottavio, grande possidente, però, appoggiando il senato oppose il veto a Tiberio e Tiberio accusò il compagno di non difendere gli interessi del popolo, e ne chiese le dimissioni. Questo era un atto incostituzionale perché un magistrato non poteva essere rimosso dalla carica.
Ottavio, con il voto favorevole di tutte e 35 le tribù venne dimesso e la riforma approvata (perché erano affluiti i contadini dalle campagne).
La commissione si mise al lavoro. Per fornire alle nuove piccole aziende delle scorte, si propose di utilizzare il tesoro di Attalo (re di Pergamo) in eredità allo Stato Romano.
Anche questo era un atto contro la tradizione, perché dalla seconda guerra punica la finanza era amministrata dal senato. Intanto era giunto il tempo delle elezioni tribunizie.
Per portare avanti la riforma, Tiberio si ripropose come candidato per ultimare la riforma. Questa candidatura era un attentato alla tradizione costituzionale: le iterazioni erano infatti consentite tra un intervallo tra l’una e l’altra. Tiberio insistette e fu accusato di tirannide. Corse voce che da Pergamo il mantello di porpora e il diadema da re per Tiberio stesse per arrivare.
Al momento della votazione non affluirono molti contadini perché trattenuti dai lavori agricoli. Tiberio si trovò isolato. Un suo gesto fatto con la mano avvicinata alla testa per far capire che era in pericolo venne interpretato dagli avversari come richiesta della corona.
I senatori erano riuniti nel tempio di Fides. Un gruppo di essi comandato dal pontefice lo assalì mentre egli fuggiva verso il clivo Capitolino e lo eliminarono con una randellata alla testa. Il suo corpo e quello di 300 partigiani furono gettati nel Tevere.
Caio Gracco e il suo programma di riforme.
Riprese l’azione riformatrice con l’avvento di Caio Gracco al tribunato. Era un autentico uomo politico e con le sue riforme voleva far uscire lo Stato Romano dalle angustie strutturali dello Stato- Città e dagli strumenti politici necessari a reggere il peso di un Impero Mediterraneo.
A fornirgli la carica emozionale fu il proposito di vendicare la memoria del fratello, ma il suo programma andò ben oltre quello del fratello. La sua elezione a tribuno (10 anni dopo il fratello) fu contrastata dal senato. La sua attività legislativa fu orientata in tre direzioni:
-riforma agraria;
-democratizzazione delle strutture politiche;
-concessione della cittadinanza agli italici (alleati).
Prima di tutto rivendicò il diritto all’integrità del cittadino, calpestata nel caso della soppressione del fratello (perché la figura del tribuno era inviolabile e il fratello invece era stato ucciso); poi presentò un altro provvedimento in base al quale doveva essere escluso da ogni carica politica chi fosse stato deposto per verdetto popolare, ma questa proposta fu ritirata per la pressione esercitata su Caio dalla madre.
La legge più importante fu la LEX FRUMENTARIA, in base alla quale ogni cittadino poteva prelevare dai granai dello Stato un quantitativo mensile di grano a un prezzo equo. (Frumentationes= distribuzione di grano a prezzo politico).
In questo modo egli cercava di ingraziarsi il popolo minuto per averlo dalla sua parte in assemblea. Era questa, senza dubbio, una legge demagogica (cioè a favore del popolo), ma egli cercava di convogliare i voti del popolo minuto verso l’interesse comune, sottraendoli alla nobiltà, che, anch’essa, con elargizioni generose, cercava invece di averli dalla sua parte.
Per ottenere questa legge bisognava prendere altre misure:
per favorire l’afflusso degli approvvigionamenti bisognava riordinare le vie di comunicazione e i mezzi di trasporto;
per disporre dei fonti necessari bisognava riordinare in modo diverso la riscossione delle imposte (tasse) nella nuova provincia dell’Asia, introducendo il sistema della Decima (cioè il versamento della decima parte del raccolto invece di una tassa fissa).
Gli appalti per la riscossione furono riservati ai pubblicani ma la concessione di essi non fu più di competenza del governatore, ma questa doveva avvenire mediante aste pubbliche indette a Roma dal censore alla presenza del popolo.
Si formarono così dei ceti finanziari svincolati dal senato (ordine equestre).
Per accrescere la loro importanza come forza concorrente del senato, Caio fece approvare una altra legge: LEX IUDICIARIA, con la quale le giurie venivano trasferite ai cavalieri. Il senato fu privato di un altro privilegio, del quale, in più di una occasione aveva fatto cattivo uso.
Un altro colpo al privilegio del senato fu l’assegnazione delle province per sorteggio, prima delle elezioni. Prime, invece, era il senato che faceva le assegnazioni dopo le elezioni.
Intanto, era caduto il divieto costituzionale dell’iterazione (cioè l’intervallo fra una carica e l’altra) e Caio poté essere rieletto anche nel 122 a . C . dai ceti popolari e dai ceti finanziari.
Completò la legge del fratello e promosse la fondazione di tre colonie cittadine: NEPTUMIA nel territorio di Taranto; MINERVIA nel Bruzio (Calabria); GIUNONIA sulla distrutta Cartagine.
Queste colonie dovevano essere degli empori (punti di commercio). Propose poi, di dare la cittadinanza ai latini e i diritti dei latini agli italici.
Con le sue leggi, Caio aveva invaso troppo il campo riservato del senato: troppi interessi calpestati, troppo malcontento, troppi rancori! Bisognava toglierlo di mezzo!
… Si cercò di batterlo sul suo stesso terreno gareggiando con lui con elargizioni per stornargli il favore (cioè per dirottare il favore che il popolo aveva per lui).
Il tribuno Livio Druso, suo avversario, fece passare una legge per la fondazione in Italia di dodici colonie esenti dal pagamento di ogni tributo sulla terra ricevuta (dei cittadini privilegiati).
I suoi avversari cercavano di fare notare ai cittadini romani come i loro privilegi dovevano essere divisi con altri, se la cittadinanza fosse stata estesa. La legge non passò anche perché il ceto equestre non fu con lui. L’oligarchia inoltre, si adoperò in ogni modo di non farlo rieleggere console. Fu eletto console un suo dichiarato avversario: Lucio Opinio.
Intanto i cippi della colonia Giunonia vennero rovesciati dai lupi e gli auspici non erano favorevoli (segni premonitori) prova dell’empietà del tribuno (che quindi non era il favorito dagli dei).
L’assemblea fu riunita per discutere la sorte della colonia, ma un littore del console(Coloro che accompagnavano i magistrati e che portavano l’arredo e i simboli del magistrato) fu ucciso dai partigiani di Caio e lo stesso Caio fece l’errore di distogliere la folla convocata per ascoltare un altro tribuno: violazione possibile di morte.
Il senato decretò la legge marziale per ristabilire l’ordine ed Opinio ebbe poteri dittatoriali. I graccani (seguaci di Caio Gracco) asserraiati sull’Aventino furono sopraffatti e Caio si fece eliminare da uno schiavo.