Guido Faba (o Fava), bolognese, vissuto nella prima metà del XIII secolo fu notaio e, soprattutto, insegnante di retorica. Le sue opere più importanti sono trattati di retorica che si occupano di epistole, ma anche di oratoria pubblica e privata. Fu infatti uno dei più famosi maestri dell’ars dictandi, disciplina che regolava la composizione dei testi in prosa e in particolare delle epistole. Dall’antica abitudine di elaborare i pensieri parlando a voce alta (e quindi dettando a sé stessi o a segretari), il verbo latino dictare passò a significare “comporre” e dictatio, dictatus (poi dictamen) “composizione retoricamente elaborata”. Di fatto però i trattatisti di ars dictandi si occupavano in particolare dell’epistola, anche perché nel Medioevo era un tipo di testo molto frequente nell’ambito dei rapporti giuridici e politici. Le scuole di ars dictandi fiorivano accanto a quelle di diritto e servivano per creare dei modelli di prosa elegante da usare nella giurisdizione e nella pubblica amministrazione.
Le due opere più importanti di Guido Faba sono la Gemma purpurea (databile tra il 1239 e il 1243) e i Parlamenta et epistole (1243 circa).
Nella Gemma purpurea Guido inserì nel testo latino brevi formule di lettere in volgare, mentre nei Parlamenta et epistole partì al contrario da formule volgari che poi tradusse in tre diverse redazioni latine (una maior, una minor e una minima), simili nell’argomento, ma diverse nell’ampiezza, nell’intonazione e nello stile.
Tra gli esempi più interessanti dei Parlamenta si possono ricordare la scambio di lettere tra Carnevale e Quaresima, una disputa fittizia, dove l’autore utilizza una ben regolata strutturazione, rime, cursus (prosa ritmica con particolare attenzione alle clausole dei periodi) e varie allusioni letterarie. L’opera di Guido Faba rappresenta dunque la prima consapevole affermazione del volgare nella prosa d’arte.