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Branca della linguistica che si occupa della comparazione fra le lingue e della grammatica storica, in particolare nel campo delle lingue indoeuropee. In una accezione più ampia il termine ‘glottologia’ è sinonimo di ‘linguistica’. Intesa come grammatica storica, la glottologia è essenzialmente una disciplina volta allo studio del cambiamento linguistico: considera cioè la lingua dal punto di vista diacronico e si occupa di stabilire come si passi da uno stato di lingua precedente a uno successivo.
LE PRIME COMPARAZIONI
Studi glottologici autonomi dalla filologia e impostati su base scientifica furono possibili in Europa dalla fine del Settecento, quando William Jones, un giurista e orientalista inglese, notò forti somiglianze nel lessico e nella grammatica fra sanscrito, latino e greco, che gli fecero ipotizzare un’origine comune per le tre lingue. Già nel Cinquecento la felice intuizione di una lontana origine comune tra sanscrito e italiano era stata espressa dal mercante italiano Filippo Sassetti, nel corso del suo prolungato soggiorno in India. Ma a Jones si deve la prima formulazione dell’ipotesi dell’esistenza di un archetipo comune tra le lingue indiane e quelle europee. Il grande interesse suscitato da queste scoperte diede inizio a una fase di studi comparativi fra lingue diverse, alla ricerca di corrispondenze precise. Importanti furono, agli inizi dell’Ottocento, gli studi dei tedeschi Friederich Schlegel e Franz Bopp: a loro si deve l’impostazione di un metodo rigoroso di analisi, basato sulle corrispondenze fonetiche e grammaticali, e l’individuazione della famiglia linguistica indoeuropea, che allora veniva chiamata indogermanica (vedi Classificazione delle lingue); attorno al 1815 il danese Rasmus Rask dimostrò l’unità delle lingue nordiche e i loro rapporti con il tedesco e l’inglese, all’interno delle lingue germaniche; qualche decennio più tardi, il tedesco Friedrich Diez (1794-1876) fece altrettanto ricostruendo la famiglia delle lingue romanze, derivate dal latino (Grammatica delle lingue romanze, 1836-1843, e Dizionario etimologico delle lingue romanze, 1854).
Le leggi fonetiche
Figura centrale di questi studi fu Jacob Grimm, che elaborò il concetto di legge fonetica, cioè la constatazione di parallelismi regolari nella fonetica delle lingue. Ad esempio, per ‘pesce’ si ha il latino piscis (che si pronunciava ‘piskis’), l’antico inglese fisc, l’antico alto tedesco fisk; oppure per ‘nipote’ il latino nepos, l’antico inglese nefa, l’antico alto tedesco nefo; oppure per ‘tre’ il latino tres e l’antico inglese thrie; o per ‘cane’ il latino canis (kanis), l’inglese hound, il tedesco Hund e così via. Dunque sempre, o quasi, a una ‘p’ del latino corrisponde nelle lingue germaniche una ‘f’, a una ‘t’ latina corrisponde una ‘th’ e a una ‘k’ una ‘h’. Si può ritenere che questa sia una regola generale, formulata in questi termini: ‘alle consonanti occlusive sorde del latino (e delle lingue derivate) corrispondono nelle lingue germaniche delle fricative sorde’ (legge di Grimm).
LA TEORIA DELL’ALBERO GENEALOGICO
All’inizio degli studi glottologici, quando ancora l’idea di ‘lingua madre’ era molto forte, si pensò, pur nella nuova consapevolezza scientifica, che fosse il sanscrito il progenitore delle lingue europee, soprattutto per il suo carattere di lingua complessa e arcaica, molto codificata e provvista di suoni e costrutti poi perduti nelle altre lingue.
Alla metà del XIX secolo il tedesco August Schleicher (1821-1868) mutuò dalla botanica una classificazione delle lingue con molti punti di contatto con le scienze naturali e in particolare con le recenti teorie evolutive darwiniane. Le lingue, all’interno di ogni famiglia linguistica, si organizzerebbero in una sorta di ‘albero genealogico’, con progenitori e discendenti. Alla base dell’albero Schleicher non poneva più il sanscrito, bensì una lingua ipotetica, ricostruita, denominata ‘protoindoeuropeo’, da cui per filiazioni successive avrebbero avuto origine le lingue attuali. Una prima divisione avrebbe dato luogo ad altre protolingue più ristrette; le lingue indoarie (tra cui trovava posto il sanscrito), le lingue celtiche, germaniche, slave e così via. Ognuna di queste suddivisioni sarebbe a sua volta una protolingua ricostruita, da cui sorsero le lingue effettive.
I linguisti derivavano il meccanismo della ricostruzione dall’esempio delle lingue romanze: come è dimostrabile che italiano, francese, spagnolo, rumeno e così via provengono dal latino, così si postulò che lingue quali il tedesco, l’inglese, il danese, l’islandese, il gotico ecc. avessero un progenitore nel protogermanico, che tuttavia, a differenza del latino, non è giunto fino a noi.
Per la comparazione i glottologi ritennero necessario considerare le fasi più antiche attestate delle lingue, più vicine alla lingua madre. Ad esempio, considerando la parola ‘rosso’ in inglese red, in tedesco Rot, in olandese rood, in islandese raudhur, in svedese röd, in gotico rauths e così via, attraverso l’applicazione delle leggi fonetiche è possibile ricostruire ipoteticamente l’esistenza di un vocabolo protogermanico, r(a)udh, che risulta essere assai prossimo all’islandese e al gotico a causa della maggiore antichità di queste lingue; questo a sua volta può essere comparato con il latino rubru(m), da cui derivano ad esempio l’italiano rosso, il francese rouge, lo spagnolo rojo, con il greco antico erythrós, con il sanscrito rudhiras, con l’antico irlandese, ruad, come esempio della famiglia di lingue celtiche, con l’antico bulgaro rudu, per le lingue slave, con il lituano raudas, per le baltiche e così via. Questo porta a postulare una forma protoindoeuropea ruthra-.
Il metodo ricostruttivo ebbe grande fortuna anche al di fuori della famiglia indoeuropea, e fu posto alla base della grammatica storica, di qualunque lingua ci si occupasse.
LA TEORIA DELLE ONDE
Un’ipotesi sulla formazione delle lingue, contrapposta a quella dell’albero genealogico, fu avanzata intorno al 1875 dal tedesco Johannes Schmidt e prese il nome di ‘teoria delle onde’. Secondo Schmidt, lingue originariamente diverse ma vicine sul territorio si influenzano reciprocamente mediante la circolazione di innovazioni linguistiche che, partendo da un centro, si propagano verso l’esterno in cerchi concentrici come le onde di uno specchio d’acqua in cui siano stati gettati dei sassi. L’intersecarsi di queste onde, e il fatto che col tempo perdono la loro forza propulsiva (perciò le lingue più lontane non sono toccate dall’innovazione), dà luogo all’uniformità di una famiglia linguistica e alla diversità interna dei suoi membri. La teoria delle onde trovò poi conferme nel campo della dialettologia e della geografia linguistica.
LA SCUOLA NEOGRAMMATICA
La sistemazione della linguistica ottocentesca fu fatta dalla scuola detta dei neogrammatici, fiorita a Lipsia negli anni Settanta e Ottanta del XIX secolo. Questi studiosi chiarirono meglio il concetto di legge linguistica (che consideravano ineccepibile, alla stregua delle leggi fisiche) e proseguirono in modo assai rigoroso la ricostruzione dell’indoeuropeo. L’influenza di questa scuola sulla linguistica storica fu enorme, e si può dire che dura ancora oggi, pur con le necessarie revisioni concettuali. Anche molte altre discipline, dalla dialettologia alla sociolinguistica hanno dovuto a lungo confrontarsi con le acquisizioni dei neogrammatici.
IL FUNZIONALISMO
Nel Novecento l’incontro fra grammatica storica e strutturalismo diede origine alla corrente detta funzionalismo. Secondo tale teoria, che pone al centro della riflessione linguistica il parlante e l’uso che egli fa della lingua, il mutamento fonetico o grammaticale dipende da fattori di economia: il parlante tenderebbe infatti a ridurre le difficoltà mediante semplificazioni che tendono alla regolarità e al conseguimento di una comunicazione soddisfacente con il minimo sforzo. È dunque impossibile studiare un solo cambiamento, perché ogni lingua si configura in un dato momento della sua evoluzione come un sistema, che presenta parti stabili e parti in mutamento.