Tra i suoi maggiori (discendeva da un ramo di antica famiglia normanna, i de Buron) non mancavano violenti e stravaganti, e la madre Catherine Gordon of Gicht, con la quale soprattutto si trovò a contatto nei primi anni, aveva un temperamento passionale e strambo: l’ambiente scozzese materno (passò la fanciullezza ad Aberdeen, in condizioni economiche disagiate a causa della dissipazioni del padre, il capitano John Byron, soprannominato “mad Jack” per la sua vita sregolata), il cupo calvinismo che caratterizzava quella società, una deformità fisica (contrazione del tendine d’Achille del piede destro), sono tutti elementi che contribuirono alla formazione di un carattere fondamentalmente melanconico, che trovava il suo ritmo vitale nella trasgressione, carattere di cui il poeta stesso dette un quadro, a tinte cupe e calcate, ma sostanzialmente fedeli, nel 1° canto del suo racconto in versi Lara.
La melanconia innata di Byron, il suo senso d’una predestinazione tragica, il suo bisogno di palliare come sovrumana energia la fondamentale staticità dal suo essere, questi motivi il poeta li amplificò e fissò nelle tante figure di eslege “outlaw” da lui cantate nel periodo della maggior fioritura, ma se ne possono trovare accenni anche nei primi amori (soprattutto quello per Mary Ann Chaworth nel 1803) e nei versi satirici, che uscirono nel 1807 (Ore d’ozio) e nel 1808 (Bardi inglesi e dei censori scozzesi): anche a Harrow (1801-’05) e alTrinity College di Cambridge, dove fece gli studi, lasciò ricordo di carattere stravagante e pugnace. Nel 1798 era succeduto nel titolo e nei beni del prozio, William, quinto lord Byron, nell’aprile 1808 prese possesso del romantico maniero degli avi, Newstead Abbey, e nel marzo 1809 occupò il suo seggio alla Camera dei Pari (vi doveva pronunziare il primo discorso nel febbraio 1812). La maturazione del Byron si fece durante il giro d’istruzione sul continente (il consueto “grand tour” dei giovani nobili) che agli iniziò nell’estate del 1809: da Palmouth a Lisbona, indi a Siviglia e Cadice, poi nel Levante, donde tornò nel luglio 1811. Nel marzo 1812 apparvero i primi due canti del Pellegrinaggio di Aroldo il cavaliere il cui enorme successo fu certo favorito dalla società aristocratica di cui il Byron era intrinseco: per lui concepì una passione, cha ebbe molti aspetti insensati e grotteschi, lady Carolina Lamb, moglie di colui che doveva poi divenire lord Melbourne. Ai successi del Pellegrinaggio fecero seguito tra il giugno 1813 e l’agosto 1814 quelli delle novelle in versi (Giaurro, Sposa d’Abido, Corsaro, Loro), e, nel gennaio e febbraio 1816, L’assedio di Corinto e Parisina.
Le figure dei tenebrosi personaggi si confusero con quella del poeta nella mente dei lettori, e nacque il mito byroniano che in definitiva, allorché si fu dissipata la febbre romantica, nocque al poeta almeno quanto gli aveva giovato in un primo tempo. Ma cominciò a nuocergli anche prima, all’epoca del matrimonio. Il mito, l’aveva favorito lui stesso divenendo il dandy delle proprie emozioni; ché, se è vero che egli era convinto che una maledizione pesasse su sé e i suoi e che lui stesso sarebbe finito demente, è anche innegabile che egli atteggiò questo nucleo sincero in una posa, e si studiò di trarre sensazioni perverse dall’unione con una donna positiva e la mano adatta a tal genere di vita, Anne Isabella Milbanke, cercando d’indurre in lei con ogni specie d’allusioni e d’insinuazioni il sospetto del suo incesto con la sorellastra Augusta Leigh (figlia della prima moglie del padre di Byron, che nel 1807 si sposò col cugino George Leigh). Il matrimonio con miss Milbanke, celebrato il 2 gennaio
1815, non resse che un anno: il 15 gennaio 1816 lady Byron – che nel dicembre aveva dato alla luce una bimba, Augusta Ada – abbandonò il tetto coniugale e inoltrò istanza di separazione. Byron, che già s’era alienato la borghesia conservatrice per aver satireggiato il reggente in alcuni versi sulla principessa Carlotta, fu ora messo al bando dall’aristocrazia, presso cui guadagnò terreno l’accusa d’incesto con la sorellastra Augusta: la pubblicazione, a insaputa del Byron, di due poesie ispirate alle sue circostanze domestiche (Fare Thee Well e A Sketch), e la diffusione di versi che andavano contro corrente al patriottismo di quegli anni (l’Ode from the French e l’apostrofe alla Star of the Legion of Honour) inasprirono vieppiù gli animi, e il poeta il 24 aprile 1816, dopo aver firmato, non senza riluttanza, l’atto di separazione dalla moglie, lasciò per sempre l’Inghilterra. Da Bruxelles il Byron visitò il campo di battaglia di Waterloo, indi si recò a Ginevra dove abitò a Villa Diodati, s’incontrò con gli Shelley e miss Clare Clermont: questa si diede al Byron e ne ebbe una figlia, Allegra, nata nel gennaio 1817. Shelley, e la lettura di Wordsworth raccomandata dallo Shelley, aprirono gli occhi di Byron alle bellezze della natura: ne risenti il terzo canto del Pellegrinaggio di Araldo; mentre dell’influsso di Goethe risentì il dramma Manfredi. Frutto del soggiorno in Svizzera fu anche il Prigioniero di Chillon. Nell’ottobre 1816 Byron raggiunse Milano, quindi per Verona si recò a Venezia dove rimase per tre anni. Tra l’aprile e il maggio del 1817 per tre settimane dimorò a Roma, ove si recò passando per Ferrara (la visita a questa città ispirò il Lamento del Tasso, (v. Torquato Tasso). La vita licenziosa del Byron nel rilassato ambiente veneziano è ampiamente documentata dalle sue lettere piene di “serve” che potrebbero mettersi in efficace contrasto con la tortuosità psicologica delle lettere inglesi a lady Melbourne: in quelle lettere sfilano le compagne delle facili avventure del poeta, soprattutto Marianna Segati e la popolana Margherita Cogni la Fornarina (quest’ultima relazione è narrata per disteso in quella che è forse la più celebre lettera del Byron, a John Murray, del 1° agosto 1819: un racconto che non sfigurerebbe vicino alla Carmen di Mérimée).
Mentre il Byron aveva trasformato in un harem l’appartamento in cui abitava al palazzo Nani-Mocenigo, non tralasciava commerci più intellettuali, frequentando i salotti della contessa Albrizzi e poi della Benzoni, studiando
l’armeno, e attendendo alla composizione del quinto canto del Pellegrinaggio e di Beppo; nel settembre 1818 pose mano al maggiore dei suoi poemi, Don Juan, e scrisse Mazeppa. In Beppo e in Don Juan il Byron, dimessa la posa eroica, aveva preso a chiacchierare in verso, giungendo a uno stile poetico vicinissimo a quello della brillante prosa delle sue lettere. Nell’aprile del 1819 il Byron conobbe la giovane sposa del vecchio cavaliere Guiccioli, Teresa, figlia del conte Gamba di Ravenna: quella che poteva essere una avventura come le altre, si trasformò nella più permanente delle liaisons del Byron: libertino invecchiato anzi tempo, si adagiò con l’amata in un tenore di vita quasi borghese: ad alimentare lo spirito d’avventura fu solo oramai la politica. Stabilitosi verso la fine del 1819 a Ravenna, e stretta amicizia col fratello della Guiccioli, Pietro Gamba, il Byron prese parte alla cospirazione carbonara e fu capo del ramo della Carboneria detto degli Americani: la sua simpatia per la nuova Italia trovò espressione letteraria soprattutto nella Profezia di Dante, scritta sotto l’influsso della lettura della Divina Commedia, mentre l’esempio dell’Alfleri gli faceva concepire il dramma Marino Faliero. Nel luglio 1820, a istanza della famiglia Gamba, fu ottenuto dal papa un decreto di separazione di Teresa dal Guiccioli. Falliti i moti del 1821, il governo pontificio confiscò i beni dei Gamba; essi fuggirono a Pisa ove il Byron li raggiunse nel novembre 1821. A Pisa Il Byron compose Werner, Il deforme trasformato, e seguitò a scrivere il Don Juan, vincendo l’iniziale avversione della Guiccioli a questo poema che presentava l’immagine d’un autore scanzonato che urtava la sensibilità romantica della donna. Nel primo numero del Liberai, periodico per la cui pubblicazione il Byron si era associato a Leigh Hunt, apparve La visione del Giudizio; nel secondo, il “mistero” Cielo e Terra. Per una rissa tra un suo servo e un sergente dei dragoni (marzo 1822) il Byron dovette abbandonare Pisa per Montenero; il 20 aprile di quell’anno moriva Allegra, che il padre aveva messo in collegio a Bagnacavallo intendendo farne una cattolica romana; nel luglio moriva lo Shelley: il Byron fu presente alla cremazione del suo corpo. Infine l’antico tedio tornò a dominare l’animo di Byron; indebolito dalla malaria, sazio della Guiccioli, nel settembre del 1822 si trasferì a Genova: salutò l’impresa di Grecia come una liberazione allorché fu nominato membro del comitato per l’indipendenza greca formatosi a Londra nella primavera del 1823. Dopo qualche esitazione dovuta a motivi di salute, si decise a capitanare la rivolta, e, nonostante le proteste della Guiccioli che avrebbe voluto seguirlo, s’imbarcò a Genova il 15 luglio. Passò quattro mesi a Cefalonia, in attesa di veder chiaro nelle confuse fazioni dei rivoluzionari. Chiamato da Alessandro Maurocordato a Missolungi, vi giunse il 5 gennaio 1824, accolto con onori reali. Ma nulla di più triste dei tre mesi di residenza a Missolungi: nessun fatto d’armi, beghe coi Greci, e infine, in seguito agli strapazzi, una febbre reumatica, o, secondo altri, una meningite, che pose fine alla sua vita il 19 aprile. L’arrivo della salma a Londra provocò solenni manifestazioni di cordoglio; fu sepolto nella chiesa di Harrow-on-the-Hill.