Ogni riferimento interno a un enunciato, ossia alla persona che produce l’enunciato (locutore), alla persona cui è diretto l’enunciato (interlocutore), al momento (tempo) e al luogo (spazio) in cui l’enunciato viene prodotto. I deittici sono quegli elementi del discorso che collegano il discorso stesso al contesto spazio-temporale e ai protagonisti di quello specifico atto comunicativo.
Possono avere la funzione di deittici elementi come i pronomi ‘io’ e ‘tu’, avverbi quali ‘qui’, ‘ora’, ‘ieri’, pronomi e aggettivi dimostrativi e possessivi come ‘mio’, ‘questo’ e quello’, e anche verbi come ‘andare’ e ‘venire’.
La presenza dei deittici influenza fortemente il valore di verità di un discorso o di un singolo enunciato. La deissi può essere considerata una vera e propria azione poiché è un atto linguistico dimostrativo e ostensivo, cioè definisce un oggetto ‘mostrandolo’. Pertanto i deittici sono anche definiti ‘indicatori’ e per essere interpretati correttamente devono essere associati a un contesto extralinguistico.
Funziona spesso come un deittico anche il ‘gesto ostensivo’ (‘deissi mimica’), quello ad esempio di indicare un cane dicendo ‘guarda!’ e sottintendendo ‘guarda quel cane’. Lo psicologo tedesco Karl Bühler, che ha compiuto studi fondamentali sulla deissi, parla di ‘deissi fantasmatica’ per i casi in cui si fa uso di gesti o termini di indicazione che mirano a suscitare l’immagine di oggetti assenti. Anche in queste circostanze ciascuno è in grado di comprendere a che cosa alludono i termini (o gli sguardi) di indicazione, come ad esempio avviene quando si indica la parete all’interno di un’abitazione per mostrare la direzione della collocazione di un monumento in una città. In questa situazione i partecipanti alla conversazione non vedono il monumento, ma sono comunque in grado di compiere l’esatta individuazione del referente grazie al gesto ostensivo.