Come spesso accade per gli autori greci o latini di cui possediamo solo frammenti, non abbiamo molte notizie sulla vita e sulle opere di Mimnermo. Con tutta probabilità egli visse tra la fine del VII secolo e l’inizio del VI secolo a.C. a Colofone (oppure a Smirne), sulle coste dell’Asia Minore (un’area che fu soggetta ad una massiccia colonizzazione da parte dei Greci). Compose in prevalenza poesie brevi, in distici elegiaci (cioè in metri che alternano un esametro dattilico e un pentametro dattilico), e un poema più esteso, intitolato Nannò dal nome della donna (una flautista) amata dal poeta. La tradizione vuole che anche egli fosse un flautista.
Della Nannò non abbiamo molti frammenti, e va rilevato che – a dispetto della fama del poeta (a Roma noto soprattutto per i suoi componimenti d’amore) – i pochi testi che ci rimangono sono per noi preziosi soprattutto per il tema della vecchiaia (su cui torneremo) e per le informazioni storiche sulle colonie ioniche di Colofone e di Smirne.
A Mimnermo è attribuita anche una Smirneide, in cui viene celebrata la resistenza della colonia greca di Asia minore contro le pressioni di Gige, il re della Lidia, la cui ricchezza è disprezzata in nome di un nuovo ideale aristocratico da Archiloco. Secondo alcuni studiosi, il nome del poeta significa “colui che resiste sull’Ermo”, un fiume intorno al quale si assestò la resistenza dei Greci contro i Lidi.
Mimnermo fece dell’amore uno dei temi principali della propria produzione poetica: alcuni studiosi parlano di una vera e propria contrapposizione tra l’ideale eroico e guerriero proposto nell’epica greca arcaica e il modello tratteggiato dal poeta di Colofone, basato sulla consapevolezza struggente del trascorrere della giovinezza e sulla necessità di fruirne al meglio al momento opportuno. Questa visione “decadente” di un poeta che sostituirebbe i valori del coraggio guerriero con la lode dell’amore e della necessità di fruirne per tempo è stata tuttavia di recente superata dalla critica a favore di una contestualizzazione dell’opera di Mimnermo all’interno della tradizione letteraria greca arcaica, dove questi temi tornano a più riprese, soprattutto in ambito simposiale.
Nel frammento 31 il poeta celebra, con versi simili a quelli di un celebre frammento di Saffo (anche per Saffo il numero del frammento è il 31), la sintomatologia dell’amore, contrapposta da Mimnermo in modo netto all’arrivo rapido della vecchiaia. La vita non ha senso se privata dell’amore (frammento 7: “quale è la vita, quale è la gioia senza Afrodite d’oro? Possa io morire, il giorno in cui non avrò più a cuore queste cose”). La giovinezza è paragonata, con un riuso di una celebre metafora omerica (Iliade 9, 411) che sarà ripresa anche da Virgilio (Eneide VI, vv. 309 e seguenti) e da Dante (Inferno III, 112-114), alla rapidità del ciclo delle foglie, che crescono veloci in primavera ai raggi del sole e subito scompaiono al trascorrere della stagione. All’arrivo della vecchiaia – dice il poeta nel frammento 2 – è meglio morire che continuare a sopravvivere. La vecchiaia costituisce un peso insopportabile per l’uomo: anche il principe troiano Titono, che non aveva chiesto anche la giovinezza eterna, visse infelice accanto alla sempre giovane dea, fino a che gli dei lo trasformarono in cicala (frammento 1).
La lingua usata da Mimnermo è quella dell’epos, sia per il dialetto greco utilizzato (con prevalenza di ionico) sia per l’abbondanza di formule, che vengono riprese direttamente dall’epos (come nel caso di “aurora dalle dita di rosa”) oppure variate.
La fama di Mimnermo è molto diffusa presso gli autori greci e latini: alcuni suoi versi furono ripresi nella raccolta nota come Teognide e, come abbiamo visto, egli doveva essere noto a Saffo. In età ellenistica, cioè a partire dal III secolo a.C., Callimaco individuerà, nella propria dichiarazione di poetica, proprio in Mimnermo il modello da seguire, per la brevità dei suoi componimenti e per i temi trattati.