Bèla Bartók nasce a Nàgyszentmikiós, in Transilvania (allora ungherese, oggi in Romania). Inizia lo studio del pianoforte sotto la guida della madre e a dieci anni si esibisce in pubblico. Bèla continua intanto gli studi musicali a Bratislava con Làzsló Erkel e li completa all’Accademia di musica di Budapest. Nel 1905 si stabilisce a Budapest e inizia, con Zoltan Kodàly, le ricerche e gli studi sull’etnofonia magiara, estesi nel decennio successivo anche al canto popolare di altri popoli (Bulgari, Rumeni, Slovacchi, Serbi). Nel 1907 succede al suo maestro István Thomán nell’insegnamento del pianoforte all’Accademia di Budapest e quattro anni più tardi si fa trasferire all’Ispettorato del Museo etnografico.
Da quel momento la sua attività si svolge parallela in due campi: quello della composizione e quello della ricerca etno-musicologica. Nel 1923 intraprende viaggi all’estero, sia per concerti (in duo pianistico con la seconda moglie Ditta Pastory, col violinista Szigeti e il clarinettista Goodmann) sia presentando proprie composizioni. A causa della situazione politica nel 1940 lascia l’Ungheria e si trasferisce negli Stati Uniti; ove insegna alla Columbia University e continua l’attività di compositore pianista.
Delle composizioni i sei Quartetti per archi sono tra le opere più significative dell’arte di Bartók. Distribuiti lungo un trentennio, essi accompagnano la maturazione dell’artista, ne registrano i problemi e le aspirazioni che si presentano alla sua coscienza e interpretano il suo pensiero. Il Mikrokosmos (1926-37), invece, è la più importante opera didattica moderna per pianoforte. I singoli brani, in ordine crescente di difficoltà, sviluppano la tecnica pianistica ma presentano anche numerosi elementi del linguaggio e della tecnica contemporanea. Per il teatro vanno ricordati Il castello del Principe Barbablù (opera in un atto di Balázs, 1918) e Il mandarino meraviglioso (balletto in un atto di Lengyel, 1925).
All’inizio del XX secolo il problema dominante, per i musicisti che operavano nei paesi ancora sotto l’influenza egemonica di culture straniere o in quelli in cui la cultura nazionale era in via di formazione, era la ricerca di caratteri musicali autoctoni. Mentre tuttavia la maggioranza si era avvicinata ai canti popolari nazionali con lo spirito della rievocazione romantica, Bartók e i contemporanei compresero che il fine da perseguire era quello di ricercare i caratteri etnici della musica popolare allo stato puro e autentico, per poterli poi introdurre e rielaborare nella produzione moderna, onde rinvigorirla. Bartòk acquisì a tal punto i caratteri morfologici delle musiche etniche e contadine, da inserirli nella sua ispirazione compositiva e, nelle opere della maturità, giunse all’integrazione totale fra canto popolare dell’Europa orientale e tradizione dotta dell’Europa occidentale. Lo studio dei canti popolari gli fece comprendere che la ricchezza degli spunti tonali in essi contenuti (scale pentafoniche, modi greci ed ecclesiastici) avrebbe permesso un completo affrancamento dall’egemonia del sistema tonale basata sul bipolarismo maggiore-minore, facilitando inedite soluzioni armoniche e favorendo soluzioni ritmiche sconosciute alla musica occidentale. L’appropriazione di tali moduli avvenne gradualmente. Prima si manifestò come semplice armonizzazione di melodie popolari; poi il materiale venne trasposto, modificato ed elaborato; infine si pervenne alla creazione originale di musiche con caratteri del canto popolare. Nelle opere giovanili Bartòk risente ancora dell’influenza romantica (subì, peraltro, l’influsso di Strauss e il fascino dell’impressionismo debussyano) mentre l’appropriazione e reinvenzione dei materiali etnofonici può dirsi compiuta nelle opere posteriori al 1918. Dopo il 1926 aumentò in lui l’interesse per le orditure contrappuntistiche e dal 1930 in poi si notano disegni formali più lineari con una comunicabilità meno spigolosa e un tessuto strumentale più trasparente.