Albrecht Dürer, pittore e incisore tedesco, nacque a Norimberga nel 1471. Il padre, che lavorava come orafo, gli insegnò i fondamenti della tecnica a bulino. All’età di quindici anni fu accolto da Michael Wolgemut nella propria bottega, vivacissimo centro di produzione xilografica. Nel 1490 il giovane artista partì per un lungo viaggio d’istruzione che lo condusse, quattro anni dopo, nella città di Venezia, dove ebbe modo di conoscere ed apprezzare le opere di Andrea Mantegna e di Giovanni Bellini. Se il soggiorno in l’Italia stimolò l’interesse di Dürer per l’arte classica e rinascimentale, e in particolare per l’indagine sulle proporzioni del corpo umano, altrettanto suggestivi dovettero apparirgli i paesaggi naturalistici, che egli riprodusse in schizzi ad acquerello tuttora conservati. Tornato a Norimberga nel 1495, l’artista riprese l’attività di incisore, rinnovando il proprio linguaggio nel tentativo di integrare la grande tradizione nordica con l’esempio italiano. Nei cinque anni successivi, terminò il ciclo delle quattordici xilografie dedicate al tema dell’Apocalisse e i sette fogli di grande formato della Grande passione: le due serie xilografiche sono caratterizzate da un vigore plastico e da una vitalità espressiva che le distingue ormai dalla rigidità dei lavori precedenti. Negli stessi anni l’artista si dedicò alla pittura, realizzando scene di argomento sacro, ritratti e autoritratti, tra i quali quello, straordinario e ardito, in cui egli si rappresenta come Cristo. Quando, nel 1505, Dürer intraprese il suo secondo viaggio in Italia, durato due anni, era un artista ormai affermato.
A Venezia ottenne, da parte dei mercanti del Fondaco dei Tedeschi, la commissione per la realizzazione della pala denominata Festa del rosario, che presenta un soggetto iconografico di matrice popolare reso attraverso un vivace utilizzo dei colori, frutto di una autonoma reinterpretazione della lezione belliniana. Nel 1510 l’incisore portò a termine la serie della Grande Passione, composta da undici xilografie che svelano una piena assimilazione della solidità monumentale italiana, unita a una raffinata sensibilità nella modulazione dei toni chiaroscurali. Il ciclo della Piccola Passione, completato l’anno successivo e composto da trentasei xilografie che trovarono ampia e immediata diffusione, è caratterizzato da una essenzialità descrittiva che si pone come simbolica scelta formale nella narrazione delle storie sacre. In questi anni Dürer si dedicò sempre di più all’attività incisoria, spinto anche da necessità di carattere economico, approfondendo le tecniche della xilografia e del bulino e sperimentando la puntasecca, particolarmente adatta alla resa di toni morbidi e vellutati. A partire dal 1512 l’artista lavorò al servizio dell’imperatore Massimiliano I, per il quale realizzò due ritratti e numerose xilografie celebrative della gloria asburgica. Tra il 1513 e il 1514 Dürer raggiunse il culmine della propria grandezza espressiva nella realizzazione dei tre bulini, San Girolamo nello studio e Melancolia I, che rimandano alle categorie scolastiche della virtù morale nel cammino imperturbabile del “miles christianus”, di quella teologica nell’attività di studio e di contemplazione religiosa del santo, e di quella intellettuale nell’atteggiamento inquieto della Melancolia, simboleggiante la vita spirituale del genio. La pittura fiamminga, con la quale Dürer entrò in contatto nel 1520, in occasione del viaggio in Olanda, stimolò il suo interesse per il genere del “ritratto”, nel quale si cimentò con risultati eccellenti negli ultimi anni di vita. Sin dall’esperienza del primo soggiorno italiano, l’artista si appassionò alla metodologie di rappresentazione del corpo umano e allo studio della prospettiva rinascimentale, temi cui dedicò, tra il 1525 e il 1528, anno della sua scomparsa, la stesura di trattati teorici. Al maestro di Norimberga, che rappresentò un costante modello di riferimento per artisti del livello di Jacopo de’ Barbari e Marcantonio Raimondi e influenzò lo stile di personalità come Tiziano, Michelangelo e Andrea del Sarto, si deve il merito di aver elaborato una complessa operazione di integrazione tra sensibilità nordica e gusto italiano.