Lettera di vario contenuto (morale, politico, letterario, personale) destinata di solito alla pubblicazione e quindi composta con particolare cura letteraria.
Sulla scia della tradizione classica, la lettera si configurò ben presto come un genere letterario autonomo che prese il nome di epistolografia, dal vocabolo dotto Ğepistolağ (in latino epistula).
Mentre poco resta dell’epistolografia greca, di contenuto letterario o dottrinale, un’importante eredità ci ha lasciato la cultura romana. L’epistolario di Cicerone evidenzia le tre componenti principali dell’e. latina: la comunicazione di carattere personale (lettere Ad Atticum, Ad familiares); il rapporto ufficiale, militare o burocratico (presente in varie raccolte); la propaganda politica (lettere Ad M. Brutum).
Dopo Cicerone l’e. accentua il suo carattere letterario fino a conoscere con Orazio la forma in versi. Si tratta di un componimento indirizzato a un amico o a un protettore, in cui argomenti satirici o dottrinali o personali sono esposti nella lingua della conversazione (particolarmente notevole l’Epistula ad Pisones, meglio nota come Ars poetica).
Con Ovidio (Heroides) l’e. divenne confessione romanzesca e sentimentale ed ebbe grande fortuna, indipendentemente dalla sua forma in versi, fino all’epoca moderna.
Nel medioevo la corrispondenza tra Alcuino e il suo discepolo Carlo Magno costituisce un importante documento della civiltà carolingia, mentre l’epistolario tra Abelardo ed Eloisa (sec. XII) è l’espressione del delicato intreccio tra amore e fede. L’e. medievale in latino trovò nelle artes dictandi la sua codificazione (secondo lo schema: salutatio, exordium, elocutio, narratio, conclusio) e in tale forma fu praticata da Dante. Con le Epistolae metricae di F. Petrarca si tornò all’esempio oraziano, continuato poi da umanisti come C. Salutati, E.S. Piccolomini, P. Bracciolini ecc.
Nel Cinquecento il genere ebbe interpreti significativi in P. Bembo, A. Muret e C. Celtis, conoscendo poi nuove formulazioni nelle Lettere di P. Aretino e nelle Lettere familiari (1572-74) di A. Caro, documenti importantissimi della vita sociale del tempo (notevoli anche le antologie di lettere pubblicate in questo secolo). Nel Seicento l’e. divenne voce di dispute filosofiche (Le provinciali, 1656-57, di B. Pascal) o religiose (Epistole sulla tolleranza, 1689-1705, di J. Locke). Contemporaneamente ci fu una ripresa dell’e. oraziana in versi, soprattutto in Francia con le 12 Epistole (1674-94) di N. Boileau e in Inghilterra con alcuni componimenti di B. Jonson, J. Donne, J. Dryden.
Sterminata è la produzione epistolare settecentesca. Sotto forma di e. verme trattato ogni aspetto della cultura: dalla critica sociale e di costume (Lettere persiane, 1721, di Ch. Montesquieu; Lettere di un drappiere, 1724, di J. Swift) alla divulgazione filosofica (Lettere filosofiche, 1734, di Voltaire) e scientifica (B. Franklin, G.E. Lambert ecc.), dalla relazione di viaggio (Ch. de Brosses, F. Algarotti, G. Baretti) alla polemica letteraria (Lettere virgiliane, 1757, di S. Bettinelli) o religiosa (Lettere scritte dalla montagna, 1764, di J.-J. Rousseau).
Anche l’e. in versi (dottrinale, sentimentale, moraleggiante) ebbe cultori illustri, come A. Pope e Voltane. Nacque poi in questo periodo il romanzo epistolare (imbastito sullo scambio di lettere tra due o più personaggi), un genere nuovo che conta più di un capolavoro: Pamela (1740) di S. Richardson, La nuova Eloisa (1761) di Rousseau, I dolori del giovane Werther (1774) di Goethe, Ultime lettere di Jacopo Ortis (I ed. 1798) di Foscolo.
Dopo il Settecento l’e. come genere letterario si è andata a poco a poco estinguendo; si è invece accresciuto, dall’Ottocento a oggi, l’interesse per gli epistolari privati, che, a parte il loro valore documentario, spesso hanno anche intrinseci pregi letterari: tali i carteggi di Foscolo e di Leopardi, di Goethe e di Schiller, di Joyce e di Kafka (celebri, di quest’ultimo, le Lettere a Milena, 1920-22).
Innumerevoli, poi, gli epistolari d’importanza storica e politica: tra i più noti, le Lettere dal carcere di A. Gramsci.