Le origini del giornalismo letterario sono state di volta in volta indicate in esempi cinquecenteschi (i Catalogi librorum dei librai italiani, la Bibliotheca universalis, 1545, di C. Gesner, le Lettere, 1537-57, di P. Aretino, le Librarie, 1550-51, di A. F. Doni) o del primo Seicento (Ragguagli di Parnaso, 1612-13. di T. Boccalini), quando non più antichi (Myriobiblon o Bibliotheca di Fozio, sec. IX).
Di fato, però, il primo giornale letterario nel senso moderno della parola è il «Gournal des Savants», nato nel 1665 ad opera di M. Hendouville (pseud. di Denis de Sallo) sotto gli auspici di Colbert, in concomitanza con la nascita dell’Académie des Sciences. Al giornale parigino fece seguito, sempre nel 1665, il periodico «Philosophical Transactions» di Londra — la cui pubblicazione prosegue tuttora – che si occupava di scienza e ospitò, tra il Sei e il Settecento, dibattiti sui temi dell’ottica, della dinamica e dell’elettricità.
Oltre a questi giornali ufficiali o semiufficiali prosperò in Europa tutta una serie di gazzettini e di estratti librari, che talora ospitavano anche testi originali, come nel caso degli -«Acta eruditorum» di Lipsia (1682-1731 ), dove furono pubblicati gli interventi di Leibniz e Newton sul calcolo infinitesimale.
Per quanto riguarda l’Italia, la prima fortunata pubblicazione di estratti è il «Giornale de’ letterati» di Roma (1668-81 fondato dall’abate bergamasco Francesco Nazari. Va detto, a questo proposito, che col termine «letterato» si traduceva, al tempo, il francese «savant», che equivarrebbe, più a rigore, ai nostri termini «dotto» o «erudito»: e che, di conseguenza, i giornali letterari si occupavano non solo di letteratura, quanto piuttosto di cultura in genere, con una propensione iniziale per il mondo delle scienze e dell’antiquaria. Sul modello di quello di Nazari, fiorirono poi, tra il 1671 e il 1692, altri cinque «giornali de’ letterati» uno a Venezia, uno a Parma, uno a Modena e ben due a Ferrara. Tutti questi giornali consistevano in resoconti, per lo più anonimi, di opere, avvenimenti accademici e scoperte scientifiche. Tra la fine del sec. XVII e l’inizio del XVIII, i centri più attivi, per quanto riguarda il giornalismo erudito, furono comunque Firenze e Venezia, dove più solido era il supporto sia dal punto di vista tecnico (per il numero e la qualità delle stamperie) che da quello commerciale.
Nel Settecento nacque, soprattutto in Francia e in Inghilterra, un nuovo tipo di pubblicazione periodica, che si potrebbe dire l’antenato delle moderne «riviste»: si trattava infatti di giornali a carattere letterario dove sull’aspetto erudito o informativo prevaleva quello d’intervento e dibattito culturale. Con l’avvento dei Lumi in Francia fiorirono numerose iniziative editoriali, dalle quali divampò la polemica filosofica pro o contro l’illuminismo: si possono ricordare le «Nouvelles de la République des Lettres», pubblicate ad Amsterdam tra il 1684 e il 1706 dall’esule calvinista P. Bayle, dove anche le semplici recensioni portano l’impronta del pensiero critico del filosofo: «Le pour et le contre» (1733-40) dell’Abbé Prévost: la «Gazette littéraire» (1764-66 ), sorta di bollettino ufficiale dell’illuminismo. Voci contrarie furono le gesuitiche «Mémoires de Trévoux» (dal 1701 alla cacciata dei Gesuiti dalla Francia) e le «Observations sur les écrits modernes» (1735-43) dell’antivolterriano P.F. Guyot Desfontaines. In Inghilterra, dove il clima sociale e politico era ben diverso, prevalsero i periodici improntati a programmi di divulgazione culturale e rinnovamento civile. Tra essi «The Tatler» 1709-11) di R. Steele e il successivo «The Spectator» (1711-12) di Steele e J. Addison. Soprattutto quest’ultimo, per l’ispirazione razionalista e per il tono affabile e arguto, servì da modello a gran parte del giornalismo settecentesco.
Influenzati dallo «Spectator» nacquero in Italia periodici come l’«Osservatorio veneto» (1761-62) di G. Gozzi, o la «Frusta letteraria» (1763-65) del Baretti, o il «Giornale de’ letterati d’Italia» (1710-40) di A. Zeno, A. Vallisneri, S. Maffei, mentre l’impegno critico e polemico si fece prevalente, sotto il segno dei Lumi, a partire dalle «Novelle letterarie» (1740-92) di G. Lami e M. Lastri, fino a pubblicazioni spiccatamente «di tendenza», organi di gruppi e movimenti culturali dalle caratteristiche ben definite, come «Il Caffè» (1764-66) dei fratelli Verri, autentico manifesto dell’illuminismo milanese e prototipo di importanti periodici letterari del XIX secolo: «La biblioteca italiana» (1816-59) di V. Monti, P. Giordani e G. Acerbi, «Il conciliatore» (1818-19), organo dei romantici milanesi, cui seguirono il «Crepuscolo» (1850-59) di C. Tenca e il «Politecnico» (1839-44 e 1859-68) di C. Cattaneo, tutti editi a Milano. All’egemonia milanese faceva eccezione la fiorentina «Antologia» di P. Viesseux, che raccoglieva la voce dei liberali moderati toscani, alla quale collaborò occasionalmente anche G. Leopardi. Sono da ricordare anche «La giovine Italia», fondata da Mazzini a Marsiglia nel 1832 e il quindicinale gesuita «La Civiltà Cattolica», nato a Napoli nel 1850 e trasferitosi poi a Roma, voce semiufficiale della Santa Sede. Tra i periodici a carattere politico si segnala «Critica sociale», fondata nel 1891 a Milano da F. Turati, che, costretta al silenzio dal fascismo, rinascerà nel 1945.
Per alcuni aspetti, si può dire che con «Il Caffè», si varcò il confine, per altro labile e contraddittorio, tra giornali e riviste letterari, intendendo con «rivista» quei periodici – sorti soprattutto nel Novecento – che esprimono sia le posizioni di movimenti organizzati o di tendenze ideologiche, sia le attività di ricerche specialistiche nei diversi settori accademici.
In Italia, in ambito positivista, si stamparono a fine secolo le prime riviste erudite e universitarie, ancor oggi fondamentali nel loro campo: l’«Archivio glottologico italiano» (Firenze 1873) di G.I. Ascoli, il «Giornale storico della letteratura italiana» (Torino I883) di A. Graf, F. Novati, e R. Renier e, sempre a Torino, nel 1884, la «Rivista storica italiana». Tra filologia e letteratura militante si pose «La cultura» ( 1882 ), diretta da R. Bonghi e poi da C. De Lollis, destinata a subire l’influsso decisivo del pensiero crociano. Proprio nel nome di Croce si aprì la ricca stagione delle riviste di primo Novecento.
La «Critica» (1903-44: seguì la serie dei «Quaderni», 1945-52), in gran parte redatta dal suo infaticabile fondatore, ebbe il merito di «unificare» la cultura italiana e negli anni della dittatura fascista fu una delle poche voci di (cauto) dissenso. Tra le molte pubblicazioni nate nello stesso giro d’anni meritano d’essere menzionate il «Leonardo» (1903-07) di G. Papini e G. Prezzolini. «Hermes» (1904-06) diretta da G.A. Borgese, il «Regno» (1903-06), di tendenza nazionalista e antisocialista, «Lacerba» (1913-15) di G.Papini e A. Soffici.
Più importante d’ogni altra fu «La Voce» (1908-15 ), cui collaborarono scrittori di comune ispirazione idealista ma di assai varia fede politica (Papini, Einaudi, Salvemini); da una costola della «Voce» uscì l’«Unità» di Salvemini (1911-22) che, partendo dalla denuncia della guerra di Libia, contribuì a formare nel decennio prefascista un’opinione laico-democratica.
Ideale luogo di raccolta delle tendenze neoclassiche e «restauratrici» in letteratura fu «La Ronda» (1919-22, R. Bacchelli, V. Cardarelli. E. Cecchi) che influenzò grandemente gli scrittori italiani degli anni Venti e Trenta. La stagione delle riviste del primo Novecento si chiuse degnamente con due pubblicazioni torinesi in cui l’urgenza dell’attualità politica e dell’impegno morale faceva ormai premio sulle discussioni letterarie e filosofiche: l’«Ordine nuovo» (1919-25) di A. Gramsci e «La Rivoluzione liberale» (1922-25) di P. Gobetti. Sbarrata la strada della discussione politica, sarà la letteratura militante a offrire i migliori spunti: «900» (1926-29) di M. Bontempelli. «La Fiera letteraria» (1925, più volte morta e risorta) di U. Fracchia, da ascriversi più propriamente tra i giornali letterari e non tra le riviste, «Solaria» (1926-36), fondata da A. Carocci, «Il Frontespizio» (1929-40, P. Bargellini e C. Bo), «Letteratura» (1937, proseguita irregolarmente fino al 1968) di A. Bonsanti, dove si raccolsero le voci più vive della cultura italiana, tra rappel à l’ordre, ermetismo e critica stilistica. Un singolare ruolo di fronda interna al fascismo giocarono «Il Selvaggio» di L. Longanesi e M. Maccari (1924-34) e soprattutto, negli ultimi anni del regime, «Primato» (1940-43) di G. Bottai, cui collaborarono tra gli altri C. Pavese, C. Muscetta e V. Brancati.
Nella prima metà di questo secolo, la rivista si è rivelata strumento culturale di prim’ordine – di dibattito, di provocazione, di sintesi, di chiarificazione–in tutta l’Europa. Hanno svolto un ruolo fondamentale le francesi «Esprit» (1932) di E. Mounier, e «Temps modernes» (1945) di J.-P. Sartre, M. Merleau-Ponty e S. de Beauvoir, «Littérature» (1919-24) di L. Aragon, A. Breton, P. Soupault, che ha dato spazio alle prove d’esordio di importanti scrittori, o – in tempi più recenti – «Tel quel» (1962-80) di Ph. Sollers, palestra dell’ultima avanguardia e poi del postmoderno. In Germania, agli albori del Novecento fanno epoca le riviste legate all’espressionismo («Der Sturm, 1910; «Die Aktion», 1911). mentre in ambiente universitario «Erkenntnis» (1930) ha promosso un fecondo dibattito sulla filosofia del linguaggio. Nel secondo dopoguerra si imporranno invece le riviste politico-letterarie come il liberale «Merkur» (1947) di J.Moras e «Kursbuch» (1965) di H. M. Enzensberger, legata alla sinistra.
L’informazione culturale, letterario-scientifica e libraria, ha sempre prevalso nei periodici letterari inglesi, sul modello dello «Spectator» di Addison: si sono affermati «Criterion» (1922-29) e il «Times Literary Supplement» (1902), il celebre TLS, che è il più seguito periodico di recensioni, commenti e informazione libraria in Europa. Stessa funzione hanno svolto, negli Stati Uniti, il «New Yorker» (1925) e, nel dopoguerra, la «NewYork Review of Books» (1954).
Nell’Italia del dopoguerra, la vivacita del dibattito culturale ha contagiato le «terze pagine» dei quotidiani, caratterizzate dalla varietà «erudita» degli argomenti e dalla presenza dell’elzeviro. Notevole successo e rapida diffusione hanno ottenuto, sempre in Italia, nuove riviste politico-letterarie: «Il Ponte» di P. Calamandrei (1945: «un ponte gettato al di sopra dello squarcio operato nelle coscienze dalla ventennale dittatura fascista»); «Il Politecnico» di E. Vittorini (I946-47: lo spunto cattaneano si ferma al titolo, dato che l’ispirazione è prossima a un marxismo populistico e non dogmatico): «Belfagor» (fondata da L. Russo nel 1948): «Comunità» di A. Olivetti (1948), al centro, soprattutto nei primi anni, d’un coraggioso progetto di moderna politica industriale: «Paragone», nella doppia serie di arte e letteratura (1950, R. Longhi): «Il Mulino» (1951), originale punto d’incontro tra Cultura laica e cattolico-democratica: «Nuovi Argomenti» (1953: A. Carocci e A. Moravia). Tutte riviste, con l’eccezione del «Politecnico», ancora in vita, benché incidano molto meno sulla cultura italiana di quanto accadeva nei decenni passati. Nel 1956 L. Anceschi ha fondato «Il Verri», che proponeva un rinnovamento nel campo della poesia e del romanzo: la rivista ha tenuto a battesimo molti degli scrittori della cosiddetta «neoavanguardia» degli anni Sessanta (nel cui ambito si è sviluppato poi l’interessante esperimento di «Quindici», 1967-69). Altra rivista di notevole importanza nel dibattito culturale a cavallo del 1968 sono stati i «Quaderni piacentini» (1962-69), fondati da P. Bellocchio, G. Fofi e G. Cherchi.
Con gli anni Settanta il panorama si è arricchito di pubblicazioni d’area, come per es. «Il piccolo Hans» (1974), che indaga il campo relativamente nuovo dei rapporti tra letteratura e psicoanalisi, o il mensile «Poesia», che oltre a testi ospita veri e propri profili critici (con antologia), o come la rivista politico-culturale d’ispirazione postmarxista «MicroMega» (1980), fondata da G. Ruffolo e P. Flores d’Arcais.
Buon successo ottengono inoltre un giornale d’informazione letteraria come «L’Indice» (1984), «la Rivista dei libri» (1991), «Bookshop» (2001) o la rivista «Linea d’ombra», fondata da G. Fofi nel 1983, che per più di un decennio si è occupata di cultura (letteratura, teatro, cinema, costume) con rigore militante e apprezzabile leggibilità. Negli anni Ottanta e Novanta. definitivamente tramontata la «novecentesca» terza pagina, alcuni quotidiani, anche seguendo modelli stranieri quali «Le Monde», «Le Figaro». «The New York Times», la «Neue Zùrcher Zeitung». la «Sùddeutsche Zeitung» e altre) hanno prodotto supplementi di informazione culturale e libraria (il domenicale del «Sole 24 Ore», «Tuttolibri» della «Stampa», «La talpa» del «manifesto», diventato «Alias» dal 1997, «Almanacco dei libri» di «la Repubblica» ecc.), mentre altri hanno ampliato la foliazione dedicata ogni giorno ai fenomeni culturali in senso lato, a volte con una ricerca un po’ superficiale di scoop o dibattiti a sensazione.