La parola deriva dal greco melos (= “canto”) ed è sinonimo di vocalizzo, fioritura, passaggio; in pratica designa un gruppo di note di abbellimento in cui la melodia cantata può espandersi sopra una sillaba o vocale del testo. Per Aristosseno (ca. 360 a.C.) comprendeva 2 o 3 note (qualche volta di più). H. Riemann lo definiva “di struttura melodica, più lungo degli ornamenti soliti e più corto di un vero vocalizzo”.
Il melisma è stato particolarmente applicato alle figurazioni melodiche che impreziosiscono molte cantilene solistiche del repertorio gregoriano.
Il termine (da cui deriva canto melismatico in contrapposizione a canto sillabico o recitativo) viene anche riferito a quel tipo di organum polifonico (organum melismatico), fiorito nel monastero di S.Marziale di Limoges nel sud della Francia e presso il santuario S.Giacomo Maggiore (Santiago) a Compostella nella Spagna nord occidentale, in cui la melodia superiore (vox organalis) si svolgeva liberamente con movimenti melodici ricchi di fioriture e quella inferiore, costituita dalla melodia originale gregoriana (cantus firmus) veniva eseguita con valori larghi e praticamente senza durate prestabilite. In seguito la parola perse i suoi connotati originari gregoriani e venne utilizzata in ambito vocale per indicare brani melodici di stampo virtuosistico. In particolare gli operistici, specie italiani, dai primi monodisti ai grandi romantici, se ne avvalsero come di un mezzo espressivo di vaste risorse.
Anzi nel XVIII secolo la degenerazione artistica del melodramma fu determinata in gran parte dall’abuso di melismi utilizzati dai cantanti al solo scopo di esibire le proprie prodigiose doti vocali. Infine non va dimenticato che la cadenza posta a conclusione di un brano o di un episodio all’interno del brano può essere un melisma.