La canzonetta è una composizione musicale le cui origini più lontane risalgono al Medioevo. Inizialmente il termine non era collegato alla musica, i suoi riferimenti stilistici e formali più immediati erano quelli della poesia. In origine si possono individuare alcune linee principali: si parla di un’evoluzione da alcune forme compositive nate in epoca medioevale e poi confluite nella musica colta e nel melodramma; di un’evoluzione da forme consolidate della tradizione francese; di un’origine nella musica e nelle forme canore di tradizionali, soprattutto in area partenopea.
I primi esempi di canzonetta musicale appaiono nei sec. XII e XIII e consistono in pochi versi cantati a una sola voce su schemi ritmici semplici, in un limitato ambito melodico. È nel momento in cui assume struttura polifonica, ossia nel Cinquecento, che la canzonetta assurge a genere completamente autonomo e definito. Si tratta di una composizione vocale da due a sei voci ispirata a ritmi di danza leggera di carattere popolare, simile alla “villanella”. Maggiori esponenti del genere furono Palestrina, Vecchi, Monteverdi.
Nel Seicento, a Venezia, “canzonetta” era il nome più diffuso del canto solistico (non recitativo) presente nel dramma per musica, accanto ai termini “arietta”, “aria” e “scherzo”. Da un censimento effettuato da Paolo Fabbri, nel 1640 se ne contano quindici all’interno di uno spettacolo; intorno alla metà del secolo circa una trentina, e nella seconda metà oltre sessanta. Il filone teatrale in cui la canzonetta si sviluppa a partire dal Settecento riflette più da vicino costume e vita quotidiana. Col passare del tempo l’aria si organizza, si amplia e decresce il numero di inserimenti all’interno di un’opera, la canzonetta perde terreno e sopravvive soltanto nel “caffé concerto” come numero dello spettacolo con aspetti più o meno scenici, o se chiamata in causa (Canzonetta sull’aria, duetto tra Susanna e la Contessa dalle Nozze di Figaro di Mozart; Canzonetta / di fresco data fuori, aria di Dulcamara dall’Elisir d’amore di Donizetti; canzonetta russa e francese nella Fedora di Giordano).
Ebbe notevole fortuna in Inghilterra dove, nel sec. XVIII, il termine fu adoperato per indicare una composizione monodica di carattere leggero. Si può trovare una reminiscenza del genere anche nella musica romantica, infatti è una canzonetta (andante) il secondo movimento del Concerto in re maggiore op. 35 per violino e orchestra di Ciajkovskij.
Oggi il vocabolo si riferisce quasi sempre ad una composizione di facile orecchiabilità, con versi di semplice fattura, spesso senza alcun valore e destinata all’uso commerciale. I temi sono perlopiù standardizzati intorno alla narrazione di pene e gioie d’amore intrecciate in modo vario. In questo ambito si può postulare una classificazione ternaria per filoni: a) “filone folclorico”, influenzato dalla musica della tradizione popolare; b) “filone dei ritmi di danza”, dove prevale la musica sulla parola, in cui i testi sono generici, in quanto i brani sono destinati all’utilizzo nelle sale da ballo; c) “filone poetico”, in cui la parola è espressione di sentimenti e problematiche dell’epoca cui il brano appartiene. A questo filone appartengono le composizioni dei cantautori italiani (Modugno; Endrigo; Gaber; la “Scuola genovese” – Bindi, Paoli, Tenco, Lauzi, de Andrè; Battisti; Baglioni, ecc…).
Da un punto di vista letterario la canzonetta rappresenta una varietà della canzone, di struttura più agile (settenari e ottonari perlopiù), introdotta dai poeti siciliani del sec. XIII. Ripresa in epoca posteriore, nel Seicento fu adottata e definita nella sua forma metrica dal Chiabrera e dai suoi seguaci. Agli endecasillabi e settenari furono sostituite combinazioni di versi più rapidi e sonori (ternari, quadrisillabi, quinari, settenari, ottonari) con brevi strofe di stringati versi, costituendo così quella forma metrica classica è stata inserita nel melodramma con il nome di arietta.