L’autrice, che fondò assieme al marito, l’editore Leonard Woolf, il famoso gruppo di Bloomsbury (un sodalizio culturale di cui fecero parte gli uomini di lettere più significativi dell’epoca), rivela in quest’opera il clima tipico di ricerca letteraria, di sperimentazione stilistica che era propria del gruppo. Anche se il romanzo ha un impianto realistico e non psicologico, come nelle precedenti fatiche narrative, ed è in pratica un ritorno alla costruzione tradizionale del personaggio, troviamo ancora quel clima di sperimentazione, specialmente per quanto riguarda il tempo narrativo. In effetti Gita al faro, anche se realistico, non ha una vera e propria azione, non si muove su un piano strettamente cronologico, ma sul piano della memoria: il tempo reale è compreso nelle ventiquattr’ore di un giorno estivo, ma ciò che fa muovere tutta la macchina del racconto è il tempo mentale, per cui tutto viene dilatato fino all’esasperazione. Riemergono qui quelle tecniche, allora di moda, adottate da scrittori della coscienza come Proust e Joyce, e rielaborate da una fine sensibilità moderna come quella della Woolf. Inoltre, un altro aspetto non secondario è la visionarietà misticheggiante della scrittrice, una vena che fa perno su una ricerca dei motivi e delle ansie della sua epoca. In sostanza il tema sempre ricorrente e mai abbandonato è l’individuazione del significato della vita: spesso i suoi principali personaggi (nel caso di Gita al faro, la signora Ramsay), chiedono: “Ma che cosa ho fatto della mia vita?”, come se ogni momento dell’esistenza comportasse una revisione della stessa per poter continuare a vivere. Motivo che sarà addirittura ossessivo in Mrs. Dalloway. Gita al faro inizia con un quadro familiare, un nucleo borghese, i Ramsay; madre sui cinquant’anni, ancora affascinante, che dà segrete emozioni a chi l’avvicina; un marito e padre un po’ filosofo: otto figli, uno diverso dall’altro, microcosmo di caratteri in continua trasformazione. Il gruppo è in gita su un’isoletta delle Ebridi. Attorno a loro girano altri personaggi: una pittrice, la Briscoe, che cerca di superare una crisi artistica, e due giovani innamorati, Minta e Paolo. La signora Ramsay ha promesso al minore dei suoi figli di portarlo a fare una gita al faro che vede brillare ogni sera in lontananza. La promessa però viene contrastata dall’intervento del padre che prevede per il giorno dopo un temporale. Il contrasto è un pretesto per la Woolf: è qui che inizia tutto uno scavo in profondità dei vari personaggi. Si apre una discussione in cui interviene tutta la famiglia, con motivazioni e dichiarazioni diverse. Il contrasto però non ha tinte forti: è un continuo lampeggiare sotterraneo, un accendersi e spegnersi attraverso i meandri della coscienza di ognuno. Parole e silenzi si alternano proprio come le improvvise illuminazioni e le conseguenti oscurità del faro. Risultato: un trapelare di insoddisfazioni, di odi, di slanci, di disprezzo, di aspirazioni. Da questa partita casalinga emerge chiara e decisa la figura della signora Ramsay, che ha una parola di comprensione e di apprezzamento per tutti, e la serata termina con il ritorno della serenità familiare. Poi tutto passa rapidamente, come in un film proiettato a velocità accelerata: di nuovo giorno, poi di nuovo notte, poi i giorni si susseguono nell’accavallarsi delle stagioni, degli anni, del-le tempeste naturali e degli scontri familiari, finchè la storia si placa sulla scomparsa, una notte, della signora Ramsay. In seguito scompare la figlia mentre sta dando alla luce un bambino e il figlio Andrea viene ucciso in un’azione di guerra. La casa è in rovina, tutto è decadenza, e quando ormai la fine è vicina, un’esplosione della natura corrisponde al ritorno della fa-miglia Ramsay. Essi scoprono che tutto è cambiato; solo il faro in lontananza è lì, immobile, uguale a quello di una volta. Ora la gita, progettata tanti anni prima, si potrà fare. Giacomo, a cui nell’infanzia era stata promessa, vi si dirige con il padre, un po’ di malavoglia e con un grande risentimento nei confronti del genitore che si è chiuso, dopo la scomparsa della moglie, in un egoistico dolore. Sulla riva a guardarli c’è la pittrice, Briscoe, che assume in queste ultime pagine la voce e il gesto di un coro greco e ricorda la figura della splendida signora Ramsay, la sua straordinaria capacità di trasformare le minuzie della vita, i minimi particolari delle gioie dell’essere in profonde emozioni, capaci di resistere all’usura del tempo e all’inarrestabile dissoluzione di tutte le cose.