Opera fondamentale di Gadamer (1960), con l’obiettivo principale di presentare un nuovo modello di verità e conoscenza, che si allontani dall’orientamento della tradizione moderna fondatosi sulla priorità del metodo scientifico e ponga in secondo piano gli aspetti pratici e il ruolo della storia.
Nella prima parte — intitolata Messa in chiaro della verità in base all’esperienza dell’arte e suddivisa in due sezioni: Il trascendimento della dimensione estetica e Ontologia dell’opera d’arte e suo significato ermeneutico —, Gadamer sottolinea come l’esperienza estetica sia una ricerca di verità sotto varie forme espressive che non può essere ridotta “a semplice momento della cultura estetica, in modo da neutralizzarla in ciò che autenticamente vuol essere”. Nell’esperienza dell’arte si ha una trasformazione sia del creatore («nell’esperienza dell’arte vediamo attuarsi un’esperienza che modifica realmente chi la fa») sia del fruitore, e la consapevolezza di tale modificarsi porta all’autoconsapevolezza umana. Inoltre, l’immagine estetica è un fatto ontologico, cioè non solo è oggetto di una coscienza estetica (punto di vista alquanto limitato, che non tiene presente l’opera in rapporto al suo mondo ma tende a privilegiarla come oggetto di collezionismo) ma può essere colta “in base a fenomeni come quello della rappresentazione”. Di qui il concetto di originale, come momento essenziale «che è fondato nel carattere di rappresentazione che ha l’arte».
La seconda parte dell’opera, intitolata Il problema della verità e le scienze dello spirito, comprende le sezioni Preparazione storica e Elementi di una teoria dell’esperienza ermeneutica . Ivi si procede, con lo stesso procedimento utilizzato per l’arte, per la storia, rivalutandone il ruolo secondo l’indagine di Hegel (anche se Gadamer ne rifiuta la necessità teleologica del raggiungimento di una sintesi finale), come luogo dell’esistenza dell’uomo. Così l’esperienza storica, sempre aperta e in fieri, è da un lato confronto tra uomini che deve portare a una “fusione di orizzonti” (nel superamento de singoli pregiudizi — «linea orientativa che rende possibile ogni nostra esperienza» — di fronte a un testo, per giungere dialetticamente a un accordo interpretativo su di esso) e dall’al tro a una “storia degli effetti” (cioè dei diversi studi interpretativi e al non detto del testo, che sono essenziali per la sua comprensione).
Fondamentale in tale contesto è il modello della dialettica platonica, che mette in luce il carattere preliminare della domanda rispetto a ogni conoscenza e a ogni discorso veri. Così attraverso il dialogo, si giunge al « trasformarsi in ciò che si ha in comune, trasformazione nella quale non si resta quelli che si era».
La terza e ultima parte è intitolata Dall’ermeneutica all’ontologia e il suo filo conduttore è il linguaggio. Comprende tre sezioni: Il linguaggio come mezzo dell’esperienza ermeneutica, il concetto di “linguaggio” nella storia del pensiero occidentale, Il linguaggio come orizzonte di un’ontologia ermeneutica. L’introduzione è affidata a un significativo pensiero di Schleiermacher: «Nell’ermeneutica c’è un solo presupposto: il linguaggio», per il quale la funzione del linguaggio era centrale sia nel mondo espressivo dell’uomo sia nel processo di comprensione dei testi, che deve tener presente sia l’oggetto e le interpretazioni sia il soggetto-autore, per giungere a una interdipendenza tra i due aspetti. Gadamer sostiene che il linguaggio è l’ambiente adibito alla comprensione della cultura storica umana, cosa che colloca l’uomo costantemente “nel linguaggio”. In tal modo l’ermeneutica è un aspetto universale della filosofia, e non solo la base metodologica delle cosiddette scienze dello spirito.