Risulta essere la maggiore opera teatrale del grande Puskin. Scritta nel ritiro di Michajlovskoe nel 1825 (colà il poeta era costretto a risiedere per ordine dello zar Nicola I, che sapeva delle sue simpatie per i decabristi), essa venne integralmente pubblicata nel 1831. In questo dramma Puskin evoca le vicende del cosiddetto “tempo dei torbidi” che seguì la scomparsa dello zar Ivan il Terribile, centrandosi sulla figura di Boris Godunov (1552-1605), divenuto zar nel 1598. Dovendo scrivere un dramma storico, Puskin rifiutò i modelli del teatro classicista e volle ispirarsi a Shakespeare. Trasse il materiale storico sia dalla Storia dello Stato russo del Karamzin, sia dalle antiche Cronache russe. Come sempre, Puskin si documentò ampiamente (lo stesso fece per rievocare l’epoca della rivolta di Pugačev, divenuta lo sfondo del romanzo La figlia del Capitano; lo stesso per quanto si riferisce all’epoca di Pietro il Grande, artisticamente rappresentata nel poemetto Poltava e nel Moro di Pietro il Grande). Shakespeare dette a Puskin una grande libertà dalle pastoie del classicismo e, in questo senso, l’opera può considerarsi romantica anche per la fortuna romantica del grande drammaturgo inglese. Tuttavia il senso della misura e dell’arte spinsero Puskin a scelte assai lontane dall’estremismo romantico: per questo il metodo con cui il Boris è scritto è realista nella sua essenza, con alcune strisce più spiccatamente romantiche. L’opera non è divisa in atti, ma in ventitrè quadri, introdotti ciascuno da un titolo contenente un’indicazione di luogo (come, per esempio, “Camere del Cremlino”, “Piazza Rossa”, “Notte: una cella nel monastero di Čudovo”, “Osteria al confine lituano”, “Mosca: casa di Sujskij”, “Cracovia: casa di Visneveckij” ecc.), secondo un sistema tipicamente shakespeariano: da tali indicazioni si può dedurre quale sia la libertà dall'”unità di luogo” espressa nel dramma. E’ possibile anche fare una divisione in tre parti: il prologo, la parte centrale, l’epilogo. Nel prologo si narrano gli eventi del 1598, come la proclamazione a zar di Boris.
Nella parte centrale si seguono gli avvenimenti del 1603: questa parte è introdotta dal monaco Pimen, il “cronista”, e dalla conversazione fra Pimen e Grigorij Otrep’ev, colui che, fuggendo dal monastero si autoproclamerà figlio redivivo dello zar Ivan (il “falso Demetrio”) e, con l’appoggio dei Polacchi, tenterà la scalata al trono di Mosca. Grigorij si considera il vendicatore di colui che ritiene l’usurpatore, Boris, e così dice nella scena: “Boris, Boris, tutto davanti a te trema, / nessuno osa ricordare davanti a te / il destino dell’infelice fanciullo, / e intanto un vendicatore in un’oscura cella / contro di te scrive una terribile denuncia: / e non ti salverai dal giudizio degli uomini / come non ti salverai dal giudizio di Dio”. Secondo la voce popolare, diffusa del resto dai boiari, Boris avrebbe fatto sopprimere il figlio di Ivan, Demetrio, per non avere intralci nella sua ascesa verso il trono. Grigorij, proclamatosi l’erede di Ivan, e cioè affermando di essere Dmitrij, compare in Polonia, per avere aiuti, e qui si innamora di Marina Mniszek, la figlia di un magnate polacco. Il 16 ottobre 1604 l’usurpatore Dmitrij, con il principe Kurbskij e l’armata polacca, passa di nuovo il confine lituano ed entra in Moscovia. Boris organizza la difesa, ma scompare, mentre il popolo, sobillato, acclama Dmitrij e vuole uccidere la zarina e lo zarevič : ma essi, come annuncia il cortigiano Mosal’skij, si sono uccisi con il veleno. Mosal’skij, dato l’annuncio, incita il popolo a gridare “Viva lo zar Dmitrij Ivanovič!”, ma il popolo, turbato, tace. Fra i molteplici problemi suscitati da questa tragedia o “cronaca drammatica” è relativamente importante, dal punto di vista della verità artistica, quello, proprio della storia, se veramente Boris avesse fatto uccidere il piccolo zarevič, tesi del Karamzin e fatta propria da Puskin. Nel dramma questa tesi ha naturalmente una funzione, come l’ha la concezione del popolo. Nonostante i modi con cui Boris è divenuto zar, lodevoli sono i suoi sforzi nei confronti del popolo: tuttavia il suo vago “illuminismo” viene presto schiacciato, così come lo sarà quello del falso Demetrio. Il popolo abbatte Boris, sperando che il nuovo zar sia portatore di libertà. Ma il nuovo sovrano risulta essere un despota come gli altri, per di più succube dei Polacchi: forse qui si riflette la problematica delle vicende del popolo francese (dalla libertà al nuovo dispotismo di Napoleone). L’opera segna un momento di grande importanza nella storia del teatro nazionale russo.
Al Boris Godunov di Puskin si ispirò il musicista russo Modest PetrovičMusorgskij (1839-1881), che compose l’opera omonima (1868-1869; edizioni succesive del 1896 e 1908 rivedute e modificate da Rimskij Korsakov). L’edizione definitiva, ottenuta sulla base del testo di Musorgskij, è del 1928. L’opera musicale segue, in genere, il testo puskiano, ma con notevole libertà: molte scene sono fuse, altre spostate, nuove scene sono introdotte. La visione di Musorgskij è assai meno “classica” di quella di Puskin: l’aspetto religioso-sentimentale è più accentuato, e sottolineato, anche dall’importanza maggiore attribuita a personaggi emblematici come l’Innocente (l’Idiota) che accusa lo zar del delitto. L’opera di Musorgskij è senz’altro una delle più grandi manifestazioni musicali fra Ottocento e Novecento.