L’opera venne concepita da Bacon come la seconda delle nove parti in cui si sarebbe dovuta strutturare la Grande instaurazione del sapere, da lui progettata ma non recata a compimento. Fu pubblicata nel 1620, quando il filosofo, gran cancelliere del regno, era al culmine del successo e del prestigio, sia come studioso che come uomo politico: pochi mesi più tardi sarebbe venuta la sua clamorosa caduta, provocata dallo scandalo del processo per corruzione al quale venne sottoposto, e in cui egli stesso si riconobbe colpevole. Il Nuovo organo, che fin nel titolo proclama l’intenzione dell’autore di riformare il tradizionale metodo della scienza, rappresentato dall’ Organo aristotelico, si divide in due libri, il primo dei quali ha una funzione prevalentemente introduttiva, mentre il secondo sviluppa in concreto le articolazioni del nuovo metodo. L’intera opera si compone di aforismi, talvolta brevi, talvolta molto estesi.
I primi aforismi del primo libro caratterizzano molto bene la concezione baconiana del sapere, in cui è impossibile scindere il momento pratico da quello teorico: “La scienza e la potenza umana coincidono, perchè l’ignoranza della causa preclude l’effetto, e alla natura si comanda solo ubbidendole: quello che nella teoria fa da causa, nell’operazione pratica diviene regola”. A ciò fa riscontro la precisa consapevolezza della fondamentale differenza della tecnica dalla magia e da ogni forma di occultismo: “L’uomo non può operare altrimenti che avvicinando o allontanando i corpi naturali: il resto è mosso solo dalla potenza della natura stessa, dall’interno delle cose”. Bacon è poco soddisfatto del modo in cui i filosofi hanno portato avanti fino ad allora la conoscenza della natura: in genere la via seguita dai ricercatori è consistita nel generalizzare senza mediazioni alcuni dati sensibili acquisiti sporadicamente, trasformandoli in principi primi necessari, da cui dedurre poi tutte le altre proposizioni scientifiche attraverso il sillogismo. Questo modo frettoloso di procedere dà luogo, secondo Bacon, a semplici “anticipazioni della natura” destituite di fondamento, benchè riescano a ottenere l’assenso degli uomini, in quanto fanno leva sull’immaginazione. Egli propone invece un metodo che consenta di giungere a vere e proprie “interpretazioni della natura”: il procedimento che vi conduce parte anch’esso dal senso, ma ne trae i principi “risalendo per gradi e ininterrottamente la scala della generalizzazione, fino a pervenire agli assiomi generalissimi”; in altre parole, siamo di fronte alla codificazione del metodo induttivo, proprio delle moderne scienze sperimentali. Prima di passare alla specificazione di tale metodo, Bacon mette in guardia il lettore contro gli impedimenti naturali e acquisiti che ostacolano il retto uso della conoscenza da parte dell’uomo: si tratta della famosa teoria baconiana degli “idoli”, sorta di ombre e pregiudizi che deformano appunto il rapporto tra la mente umana e i suoi oggetti. Bacon ne distingue quattro specie, che definisce immaginosamente idoli della tribù, della spelonca, del foro e del teatro. Gli idoli della tribù “sono fondati sulla natura umana stessa, e sulla stessa famiglia umana, o tribù”, in quanto l’intelletto umano “è uno specchio ineguale rispetto ai raggi delle cose”: si tratta quindi di un condizionamento che investe in generale tutti gli appartenenti alla specie umana. Gli idoli della spelonca “derivano dall’individuo singolo. Ciascuno di noi, oltre le aberrazioni comuni al genere umano, ha una spelonca o grotta particolare in cui la luce della natura si disperde e si corrompe”: le cause di tali corruzioni del giudizio possono essere svariate, e risiedere sia nell’indole particolare dell’individuo, sia nell’educazione, nell’ambiente, nelle letture, o anche nel particolare momento in cui l’individuo considera una questione.
Gli idoli del foro “dipendono per così dire da un contratto e dai reciproci contatti del genere umano”, vale a dire dal linguaggio, che spesso confonde e travisa le idee: “Perchè le parole fanno gran violenza all’intelletto e turbano i ragionamenti, trascinando gli uomini a innumerevoli controversie e considerazioni vane”. Gli idoli del teatro vengono così definiti in quanto Bacon considera “tutti i sistemi filosofici che sono stati accolti o escogitati come altrettante favole preparate per essere rappresentate sulla scena, buone a costruire mondi di finzione e di teatro”. Tra queste dottrine spiccano quelle dei filosofi intellettualistici esemplificate in Aristotele, “che con la sua dialettica ha corrotto la filosofia naturale”; ma gli empiristi (esemplificati negli alchimisti) non sono certo meglio, anche se la categoria più esiziale di filosofi è rappresentata da coloro che mescolano filosofia e teologia, quando non addirittura filosofia e superstizione, a proposito dei quali Bacon fa l’esempio di Pitagora e Platone. Il secondo libro dell’opera sviluppa come si è detto la parte costruttiva ed esemplificativa del nuovo metodo. Bacon distingue nei corpi naturali le “forme” e le “nature”: le nature sono le proprietà dei corpi stessi (per esempio la malleabilità e la pesantezza dell’oro e così via); il momento pratico della scienza consisterà nel trasferire talune nature di certi corpi in altri (per esempio la durezza dal ferro al vetro o le qualità dell’oro a un altro metallo meno nobile): l’antico sogno dell’alchimia trovava così una ritraduzione razionalizzata nella funzione assegnata da Bacon alla scienza. Per operare sulle nature, tuttavia, occorre conoscerne la causa interna che il filosofo inglese chiama appunto “forma” e che consiste nello “schematismo latente” o struttura intima e particellare del corpo: se si vogliono provocare mutamenti nel corpo, occorre quindi conoscerne la forma e anche il modo in cui le strutture particellari mutano assetto, attraverso movimenti che Bacon chiama “processi latenti”.
L’individuazione delle forme ha luogo attraverso un procedimento induttivo che non lascia alcuno spazio a una considerazione quantitativa della realtà quale veniva esaltata proprio in quell’epoca dal Galilei, ma opera secondo criteri di successive selezioni del materiale offerto dall’esperienza. E’ questo il momento teorico del metodo baconiano che precede e integra quello pratico. Bacon descrive in concreto l’articolazione di questo procedimento attraverso l’analisi del calore: incomincia col raccogliere tutti i fenomeni in cui è presente il calore nelle “tavole della presenza”, indi discrimina i fenomeni che hanno attinenza con i fenomeni collegati al calore ma non lo contengono (per esempio i raggi della luna) nelle “tavole delle assenze in prossimità”. Nella “tavola dei gradi” indica poi il grado maggiore o minore di calore riscontrabile nei vari fenomeni: di qui si passerà all’elaborazione di una prima ipotesi, seppure provvisoria, circa la natura del calore: ipotesi che Bacon chiama “prima vendemmia” e che sarà suscettibile di ulteriori elaborazioni e raffinamenti. La conclusione sarà che il calore è il risultato del movimento rapido delle particelle elementari che compongono i corpi. Sebbene superato già al suo tempo dal punto di vista metodologico a causa dell’indifferenza baconiana per l’uso della matematica nell’interpretazione della natura, il Novum organum è diventato un manifesto del nuovo indirizzo volto alla trasformazione del mondo da parte dell’uomo che caratterizza la scienza “moderna” nel suo complesso: come tale è stato recepito ancora dagli illuministi che hanno fatto di Bacon il padre della scienza sperimentale.